L’autopiano meccanico, e i rulli che ne permettono l’utilizzo, hanno una storia importante da valorizzare e salvaguardare. Abbiamo intervistato su questo argomento Pietro Zappalà, Musicologo dell’Università degli Studi di Pavia e responsabile di “Play it (again!)”, il progetto che ha come obiettivo quello di salvaguardare il patrimonio dei rulli traforati per il funzionamento semiautomatico di questi antichi strumenti.
L’autopiano: un po’ di storia
In che anni sono nati gli autopiani e con quali scopi?
L’autopiano ha una data di nascita nel brevetto (1895) e nella successiva commercializzazione (1897) della Pianola da parte della ditta americana Aeolian. Ma questo strumento non nasce dal nulla e beneficia, migliorandola, della tecnologia del cartone forato già in uso per esempio negli organi di Barberia. Si passa cioè dai cartoni forati, ripiegati come pagine di un libro, al rullo cilindrico di carta a modulo continuo.
Dal rullo alla musica: come funziona un autopiano
Come avveniva la riproduzione?
Il meccanismo di riproduzione del rullo traforato è particolarmente complesso. Possiamo evidenziare innanzitutto l’azione di due pedali, che servono sia a dare movimento alle parti meccaniche del sistema (per l’avanzamento del rullo), sia a rifornire di aria i mantici per attivare la parte pneumatica del meccanismo. La parte pneumatica è forse quella più strabiliante. Ogni tasto del pianoforte è comandato da una valvola che, a sua volta, risponde ai comandi che derivano dalla cosiddetta tracker bar.
La tracker bar è una piastra metallica provvista da tanti fori quanti sono i tasti del pianoforte (in verità alcuni in più), laddove ogni foro è collegato con un circuito pneumatico a uno specifico tasto del pianoforte. Quando la carta del rullo passa sopra ai fori della tracker bar, se sopra i fori c’è appunto la carta, il sistema pneumatico è in equilibrio e i tasti del pianoforte rimangono inattivi. Ma non appena compare un foro sulla carta del rullo e questo foro va a sovrapporsi al foro presente sulla tracker bar, allora l’equilibrio del sistema pneumatico si altera e ciò attiva l’azione del tasto interessato.
Play it (again!): la collezione dell’Università di Pavia
Quanti rulli avete al momento?
La collezione di rulli del Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia, sede di Cremona, ammonta attualmente (luglio 2019) a quasi 4500 esemplari, con la speranza di poter presto ottenere un altro paio di fondi recentemente identificati, raggiungendo così un totale di circa 6000 rulli. Questo numero dovrebbe connotare la collezione di Cremona come la principale collezione pubblica italiana e una fra quelle più significative d’ambito europeo.
Oltre ai rulli, il Dipartimento conserva anche un autopiano della Aeolian, restaurato e in piena efficienza, in grado di leggere i rulli del formato standard a 88 note.
Preservare i rulli
Come avviene tecnicamente la digitalizzazione dei rulli per autopiano?
Sebbene il patrimonio di rulli sia in larga parte in buone condizioni di conservazione, il loro inevitabile deterioriarsi futuro ci ha indotto a studiare una maniera per salvaguardarli. Da qui è nato il progetto di digitalizzare l’intera collezione di rulli. Tale processo prevede due grandi fasi: la scansione del supporto cartaceo, ossia la fissazione in digitale dell’intero tracciato del rullo, e la successiva conversione dell’immagine in file sonoro equivalente a quello che si otterrebbe suonando analogicamente il rullo su un autopiano.
Il crowdfunding “Play it (again!)”
Avete lanciato un crowdfunding, come sta andando?
Abbiamo avviato un progetto di crowdfunding (che potete trovare qui) denominato “Play it (again!)”. Il progetto ha il duplice intento di dare visibilità all’iniziativa di salvaguardia e valorizzazione della nostra collezioni di rulli e al tempo stesso di recuperare fondi per consentire l’ingaggio di collaboratori. Bisogna tenere presente, infatti, che tutta l’attività svolta sino ad ora è stata condotta su base volontaria. Per questo abbiamo giocato la carta del crowdfunding, una pratica comunissima in America, ma ancora assai poco diffusa da noi, e ancor meno per progetti d’ambito umanistico. Confidiamo nella sensibilità di coloro che sono attenti alla salvaguardia di questi beni culturali.