Quando si spegne l’applauso per la compagnia di danza di Antonio Gades, alle Terme di Caracalla cala il buio. Il pubblico trattiene il fiato. Si sente solo qualche irriducibile cicala. Poi si accende una luce puntata sul fondo del palcoscenico. Placido Domingo appare con discrezione, senza gesti plateali. Sembra esitare. Avanza verso il centro della scena. Parte l’applauso del pubblico, un po’ timido, poi sempre più convinto. Al battimani si aggiunge il battere dei piedi. Eccolo, è tornato.
Era il 7 luglio del 1990 quando Domingo si esibì insieme a Luciano Pavarotti e a José Carreras sul palcoscenico incastonato fra le monumentali rovine delle Terme di Caracalla. Fu il celeberrimo concerto dei Tre Tenori. Dopo quella sera memorabile Domingo era tornato alle Terme di Caracalla solo una volta, nel 2005, come direttore d’orchestra di Aida.
Questa volta Domingo canta in uno spettacolo intitolato “Noche española”. È un omaggio al folklore spagnolo e alla zarzuela, un genere musicale che Domingo definisce “sorella o cugina dell’opera, un po’ simile all’operetta, drammatica ma non troppo, perché alla fine non muore nessuno”. Domingo ricorda sempre che i suoi genitori erano cantanti di zarzuela. “È la prima musica che ho sentito, anche quando stavo nella pancia di mia mamma, che infatti si è esibita in palcoscenico fino a pochi giorni prima della mia nascita”.
A Caracalla Domingo si presenta insieme al soprano Ana Maria Martinez e al tenore Arturo Chacón-Cruz, la Compagnia di ballo Antonio Gades aggiunge ritmo e colore, sbattere di tacchi e volteggiar di sottane. Lo spagnolo Jordi Bernàcer dirige l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma.
Domingo canta da solo e in duetti con Ana Maria Martinez. Nelle arie e nei dialoghi è tutto un risuonare di amor, corazón, te quiero, hasta la muerte, con toda mi alma, vida de mi vida. Storie di passione, desiderio e amori contrastati. Quando deve esibirsi in “Luche la fe por el triunfo”, dalla Luisa Fernanda di Moreno-Torroba, Domingo entra addirittura in scena con un fucile per dare forza alla drammaticità della situazione.
Il giovane tenore messicano, applauditissimo, canta quasi sempre vestito da torero o qualcosa di simile. Domingo non osa tanto, ma a un certo punto entra in scena in pantaloni neri attillati, fascia rossa ai fianchi, camicia bianca, panciotto e fazzoletto rosso al collo. Il quasi (o già) ottuagenario Placido Domingo, aitante come un giovanotto, fa un un figurone, esibendo una prestanza, una eleganza e una padronanza della scena che tanti suoi colleghi più giovani neppure si sognano. Diciamola tutta, è ancora un gran figo.
La voce, sia pure con l’amplificazione (come sempre a Caracalla), è quella inconfondibile di Domingo, calda e sensuale come un velluto. Alla fine ciascuno dei tre cantanti si esibisce in un bis, sempre attingendo al repertorio della zarzuela. Il grande tenore non ruba la scena a nessuno, non fa passerelle, raccoglie gli applausi tenendo per mano due ballerine, che quasi un po’ si stupiscono di trovarselo accanto, in fila come tutti gli altri e non al centro del palcoscenico. Una lezione di classe e di stile. “Voglio che il pubblico torni a casa felice”, aveva detto Domingo alla vigilia della serata. Ci è riuscito benissimo.