“Lontano da qui”, di Filippo Perocco, è un atto unico dedicato al terremoto del 2016. La recensione di Paolo Petazzi, inviato al Teatro Caio Melisso di Spoleto

Al Caio Melisso la novità del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto (in coproduzione con i Teatri di Reggio Emilia) era Lontano da qui di Filippo Perocco. Due anni dopo Aquagranda, Perocco torna al teatro musicale in una dimensione cameristica (tre voci e ensemble), con un progetto elaborato insieme a Muta Imago, con Riccardo Fazi (drammaturgia), Claudia Sorace (regia, scene e luci), Maria Elena Fusacchia (realizzazione scene e video).
Il terremoto del 2016
Il tema indicato dai committenti (il terremoto del 2016) non è evocato in modo esplicito. Ci sono una Figlia e una Madre in scena e la Natura in orchestra. Il breve testo cantato si basa quasi tutto su versi di Emily Dickinson (su fragile precarietà, sul tempo e altre suggestioni), mentre dialoghi di carattere quotidiano sono proiettati su uno schermo.
Al centro dell’atto unico dobbiamo immaginare un evento naturale sconvolgente. Il terremoto e la morte della madre non si vedono; ma sparisce il velo su cui erano proiettate immagini di un paese della Valnerina. Poi si tenta di rimettere ordine, riprendere la vita, tornando indietro nel tempo. Alcuni frammenti di dialoghi vengono proiettati di nuovo in ordine rovesciato, mentre qualcosa muta nei colori della musica e nella parte vocale.
Tornare indietro potrebbe consentire di liberarsi e andare “lontano”. Lo spettacolo, coerente e suggestivo, finisce con la proiezione del volto della Figlia (la protagonista più impegnata) in primo piano.
Il teatro dell’astrazione
La concezione teatrale rivolta alla riflessione e all’astrazione, non alla narrazione, si lega a una musica di sobria eleganza e controllata evidenza espressiva, incline a situazioni prevalentemente sospese, definite da rapporti non convenzionali tra voce e strumenti e da un lavoro sul testo che comporta ripetizioni e frammentazioni, sotto il segno di una tensione lirica forse più lineare che nelle prime esperienze vocali di Perocco.
Un momento di voluto alleggerimento prima della catastrofe è la citazione di uno strambotto del secolo XV; nella seconda parte la prolungata manipolazione di un Salterello assume una valenza ossessiva. Con molta discrezione affiora l’elaborazione del suono di campane (lo studio delle campane delle chiese della Valnerina danneggiate dal terremoto ha offerto materia di riflessione al compositore).
Eccellente la direzione di Marco Angius con un gruppo di strumentisti assai pregevoli; bravissime Livia Rado (Figlia), Daniela Nineva (Madre) e Emanuela Sgarlata (Natura).
Paolo Petazzi