Pasionaria: Morau riporta gli automi sul palco

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Non solo Coppelia. Maschere e bambole sono le protagoniste di Pasionaria, nuovo spettacolo del coreografo e regista Marcus Morau

Pasionaria: Morau riporta gli automi sul palco
Una foto dallo spettacolo Pasionaria

L’androide che un tempo abbiamo con curiosità ammirato e a cui oggi, senza accorgerci, stiamo tristemente assomigliando, è stato e resta oggetto (o soggetto?) di fantasie coreografiche. Senza ombra di noia, un’appassionata mimesi dei dispositivi che popolano la nostra quotidianità si è ormai impadronita di noi. Marcus Morau, coreografo e regista spagnolo, con la sua compagnia La Veronal vi riflette in Pasionaria. Appuntamento il 2 settembre al Festival Oriente Occidente, Rovereto, Teatro Zandonai e poi in tour europeo.

Gli automi sul palco: da Coppelia a Pasionaria

Il mito romantico di Coppelia, la bambola semovente detta “fille aux yeux d’émail” per la bellezza fallace, prefigurava un mondo di là da venire. Benché graziosamente epurato degli inquietanti risvolti della novella di Hoffmann, il balletto metteva in guardia dalla fascinazione per gli automi, relegati a meccaniche eccentricità nel laboratorio del folle dottor Coppelius. All’invaghito Franz venivano a noia le inanimate sembianze della poupée; le preferiva una fanciulla in carne ed ossa, Swanilda.

«Non possiamo negare che ognuno di noi sia in qualche misura attratto dalla realtà tecnologica in cui viviamo», ammette Morau.
«Ma dobbiamo renderci conto di quanto stiamo perdendo: umanità e relazioni. Vittime del sistema, i personaggi che porto in scena appaiono molto simili a noi esseri umani. Però ormai sono diventati androidi: vuoti, distanti; non hanno nulla nella testa e non stanno vivendo».

Tra maschere e bambole

La metafora si gioca attraverso maschere indossate dai danzatori e bambole abbandonate qua e là. Sono iperrealistiche, fatte in fibra di vetro da Gadget, uno studio spagnolo che realizza parti anatomiche, arti e manichini per il cinema e la fiction.

«Sono simulacri, immagini fasulle di ciò che sembra vero ma non lo è. Vogliono dirci: noi umani non siamo più presenti, ciò che vedete è solo superficie. Le maschere coprono sentimenti ed espressioni dei danzatori; le bambole non hanno relazioni tra loro».

Attratto dalla geografia artistica dei luoghi tanto da aver dedicato molte sue pièces a paesi e città (Siena, Mosca, Copenhagen), Morau colloca spazialmente anche i suoi androidi: «in un pianeta dei futuro, chiamato Pasionaria, che stiamo cercando di creare per infine trasferirci».

Parlare del futuro con nostalgia

Curioso – come ci spiega – che non abbia quell’estetica fredda da stereotipo avveniristico, bensì la patina triste degli interni di qualche decennio fa.
«Voglio parlare del futuro con nostalgia», afferma il regista-coreografo. Una nota poetica che lo rivela ancora fiducioso nell’azione dell’artista-intellettuale, da cui dice di essere “ossessionato” dopo creazioni su Picasso, Pasolini, Munch. Tutti capaci di generare arte del proprio tempo, come Morau intende fare, per conquistare i giovani e capire la loro idea di futuro.

«La danza diventerà atto rivoluzionario se riuscirà ancora a spingerci ad andare a teatro a vedere corpi veri, con facce espressive e pelli che si toccano, danzare insieme, vicini a noi e senza schermi». A qualcuno il processo in atto continuerà ad apparire irreversibile. Gli automi di Coppelius si mettevano in moto soltanto girando una chiave; gli androidi intorno a noi ci sono ormai sfuggiti di mano.

di Valentina Bonelli

danza@belviveremedia.com

 

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