Chief conductor della Oslo Philharmonic Orchestra, Chief Conductor della Royal Liverpool Philharmonic Orchestra, Principal Guest Conductor della State Academic Symphony Orchestra of Russia e, in quest’occasione, Chief Conductor dell’European Union Youth Orchestra. Il curriculum del quarantunenne Vasily Petrénko è imponente e lo vede già interprete affermato del grande repertorio russo. Giunto a Bolzano per l’abituale residenza artistica della EUYO, ho occasione di intervistarlo nello splendido giardino del Park Hotel Laurin il 18 agosto, la mattina del primo dei due concerti per il Bolzano Festival Bozen.
Maestro Petrénko, questa tournée dell’EUYO vi ha visti impegnati nel progetto “Spirit of the North”. Qual è il filo conduttore dei programmi e cosa contraddistingue i brani del concerto di questa sera?
Si tratta di compositori nordici, che riflettono lo spirito delle loro nazioni. Siamo appena stati in tour nelle repubbliche baltiche, un’occasione che per me ha portato un tocco di nostalgia perché c’ero stato ancora ai tempi dell’Unione Sovietica. Con quest’occasione abbiamo suonato brani dei compositori locali e quindi abbiamo programmato Pärt dall’Estonia, Vasks dalla Lettonia, Čiurlionis dalla Lituania, che fu anche un grande pittore, Sibelius dalla Finlandia, Alfvén e Lindberg dalla Svezia, Nielsen dalla Danimarca e Čaikovskij dalla Russia. Nel primo concerto suoneremo l’ouverture Masquerade di Nielsen, un brano molto vivido e dal carattere quasi di danza, divertente in modo danese e quindi un po’ pesante, una sorta di Mozart ma coi muscoli. Poi con Baiba Skride suoneremo Fratres di Pärt, un brano esoterico e spirituale, e seguirà L’angelo solitario di Vasks , una meditazione per violino e archi, che è quasi una riflessione dell’angelo sulla sua propria solitudine. È un brano che fa sorgere alcune domande non semplici: è davvero solo oppure è l’unico angelo caduto? Di Sibelius invece eseguiremo la Prima Sinfonia op.39, un brano imponente, dai molti richiami a Čaikovskij, Dvořák e Beethoven naturalmente. Non è un pezzo di facile interpretazione per il suo tono drammatico ed il suo finale, non ancora convinto della possibilità di una vittoria e di una libertà del popolo finlandese. La Sinfonia è un lungo viaggio attraverso la natura finlandese, arricchito dall’intimo desiderio per l’indipendenza della propria nazione, che lottava per poter essere sulla cartina del mondo. Alfvén infine, che suoneremo solo nei bis qui a Bolzano, è un compositore che ha fatto un grande uso di temi, danze e stili popolari svedesi.
Come si svilupperà invece il percorso nel secondo concerto del 20 agosto?
Il secondo concerto parte con il poema sinfonico In the forest di Čiurlionis e rappresenta davvero una foresta incredibile, con grandi spazi, sole, aria, sembra ricordare una imponente foresta di pini. Siamo passati attraverso milioni di alberi e molte foreste simili a quella che lui dipinge, in Lituania e Lettonia. Diversamente dalla vostra natura rigogliosa, lì a causa dei rigidi inverni, della scarsità di sole e del terreno sabbioso, hai praticamente solo questi grandi pini. Ma se vai nelle foreste, le chiome degli alberi sono così in alto che tutto ciò che vedi sono i tronchi, simili a pilastri. È quasi come camminare in un’imponente cattedrale piena di sole e di aria, come ciò che Čiurlionis dipinge. Non è un approccio strettamente religioso, ma c’è una componente di panteismo nel poema, è come un glorificare la foresta e la meraviglia della natura. Passeremo poi a Golden Eagle, il concerto per trombone e orchestra di Lindberg che suonerò con Lindberg stesso allo strumento. Pieno di energia, Lindberg è un compositore sempre giovane nello spirito, il concerto è un brano funky, rapido e con un sacco di virtuosismi al trombone. Si ha davvero la sensazione che quest’aquila stia danzando e stia volando ed è molto divertente da suonare. Poi ovviamente Čaikovskij, qualcosa da casa (ride). Penso sia veramente importante dare ai ragazzi della EUYO e di ogni orchestra giovanile il vero sentimento di Čaikovskij, che non è solo un isterico compositore russo, ma anche un filosofo, specialmente nelle ultime sinfonie. Quarta, Quinta, Sesta e Manfred sono una discussione dell’autore con se stesso su cosa ci sia dopo la morte, su come sovrastare la morte. L’inciso iniziale della Quarta altro non è che una dichiarazione dell’ineluttabile mortalità e attraverso le battaglie ed i contrasti all’interno dei movimenti, l’autore alla fine giunge ad un’ottimistica vittoria. Se ci pensi, nella Quinta vi è un simile schema, ma non sei così sicuro della positività del finale. Nel Manfred, che sta fra la Quinta e la Sesta, la morte è una rivelazione per l’eroe, che è infelice, alla ricerca dell’amore e del perdono. La morte per lui è il mezzo per raggiungere i suoi scopi e questa rivelazione è manifestata da quell’accordo di Do maggiore. Nella Sesta, infine, il messaggio è chiaro: alla fine moriremo e basta. Per me è davvero importante dare questo stimolo ai giovani musicisti, di modo che sappiano che non è solo musica rumorosa con tante note e tanto vibrato, ma che serve precisione, serve filosofia, serve profondità di pensiero.
Lei è infatti un esperto del sinfonismo russo e oltre alle Sinfonie di Čaikovskij, ha inciso anche tutte quelle di Rachmaninov e Šostakovič. Perché ritiene che ci sia stata questa esplosione di capolavori sinfonici nella Russia di fine Ottocento e poi nel pieno Novecento?
Penso che sia partito dal fatto che il mondo ad occidente abbia cominciato ad essere più capitalizzato. Se si osserva la storia della musica, si può notare come solo Haydn sia stato capace di scrivere dei capolavori sinfonici dietro richiesta. Esterházy gli chiedeva della musica per il pranzo domenicale e Haydn gli provvedeva con sinfonie fantastiche. Già a partire da Beethoven quasi nessun compositore ha scritto grandi sinfonie dietro commissione o obbligo. Se si osserva il ventesimo secolo, poi, gran parte del repertorio sinfonico era commissionato e gli autori si sono spostati su balletti, concerti per pianoforte, poemi sinfonici e altre cose più piccole. Mentre nell’Unione Sovietica i compositori avevano ancora la possibilità di scrivere sinfonie quando volevano e come volevano. Potevano venire aspramente criticati per esse, ma l’iniziativa era loro. Credo che sia molto importante: se fai qualcosa commissionato, spesso ti devi forzare; se lo fai senza commissioni, ma solo perché senti l’esigenza di farlo, quello è il momento in cui la tua voce interiore è più vera e chiara. Questo è il perché, credo, nel Novecento ci sono stati così tanti capolavori sinfonici nell’Unione Sovietica.
Com’è iniziato dunque questo percorso sinfonico in Russia e cosa lo contraddistingue?
La sinfonia russa comincia ancora dai tempi di Glinka, autore incredibile anche se non così conosciuto, che ha scritto opere, poemi sinfonici e ouverture fantastiche, come l’Ouverture Spagnola. Poi, essendo la Russia una nazione molto ricca, più o meno chiunque passava da quelle parti. Johann Strauss e figlio hanno passato molti anni vicino a San Pietroburgo, Liszt ci passava spesso, anche Schumann ci andò, pure Wagner, insomma chiunque. I compositori russi acquisirono questi stimoli culturali e iniziarono a produrre le proprie idee. Le orchestre stabili non esistevano, ma esisteva l’opera e ci lavoravano moltissimi musicisti italiani, forse perché era probabilmente il lavoro meglio retribuito. Glinka, poi Dargomyžskij, fino a Čaikovskij, tutti sono partiti scrivendo opera. In seguito nacquero le stagioni concertistiche e in quel momento i compositori hanno realizzato che finalmente le loro sinfonie potevano essere eseguite. Credo che la prima sinfonia ad affermarsi a livello internazionale sia stata la Prima di Čaikovskij. Ce n’erano alcune prima, ma meno importanti, e ne vennero poi molte altre, fra cui anche quelle meno eseguite di Kalinnikov, Borodin, Taneev, Arenskij. Così la forma ha iniziato a diventare via via sempre più popolare. E proseguì dopo la Rivoluzione. La maggior parte della popolazione russa all’epoca era analfabeta e uno degli obiettivi del Comunismo fu diffondere la cultura come strumento di progresso dell’intera nazione. E questo è ciò che fecero, organizzando concerti nelle fabbriche e altrove. Fu anche la ragione dell’intenso sperimentalismo dei compositori russi degli anni ’30, che ha portato una rapida evoluzione. A proposito di evoluzione, sto completando un progetto su Skrjabin. A mio avviso, non fosse morto così giovane, tutta la musica del Novecento sarebbe stata completamente diversa, nessuno dopo di lui continuò la sua ricerca in quella armonia. Ogni tanto è bello riflettere su come la musica avrebbe potuto prendere strade completamente diverse, se solo qualcosa fosse andato diversamente.