L’occasione di intervistare il grande violinista Ilya Grubert nasce ad Asiagofestival, dove partecipa sia in qualità di esecutore che di insegnante all’interno del progetto L’Officina Cameristica.
Con altri musicisti quali Oliver Kern, Claudio Pasceri, Duccio Beluffi e Andreas Schmalhofer ha tenuto masterclass e suonato insieme a giovani musicisti selezionati dal Veneto e da tutta Italia. L’intervista mi consente dunque di indagare il suo sguardo sulle nuove generazioni di violinisti e confrontarlo con il suo stesso straordinario percorso artistico.
Com’è nata la sua lunga carriera di insegnante? Che cambiamenti ha notato rispetto a quando ha iniziato?
Cominciai ad insegnare appena emigrato dalla Russia, nell’88. Ho lavorato ai Conservatori di Rotterdam, per molti anni, credo dodici, e Amsterdam, dove insegno tuttora. In parallelo iniziai a tenere masterclass in Finlandia e qui in Italia, a Fiesole. Nove anni fa, poi, mi chiamarono a Portogruaro per tenere un corso presso la locale Accademia di Santa Cecilia. Si tratta di un percorso molto variegato che mi ha portato a insegnare in tanti Paesi e posso dire con certezza che in generale il livello dei violinisti cresce costantemente, soprattutto da quando tutti hanno realizzato che non c’è molto lavoro. L’ambizione è divenuta più importante, ora. Ma, ed è così in tutto il mondo, rispetto a quando ho iniziato ad insegnare la situazione è veramente diversa: gli studenti una volta erano molto più rilassati. Cent’anni fa i solisti erano pochissimi, si trattava di un gruppo di musicisti molto esclusivo. Oggi questo gruppo si è allargato e spesso studenti crescono con amici che riescono a fare carriera con successo e dunque la possibilità di arrivarci sembra più concreta. Anche il numero dei concorsi cresce.
Parlando di concorsi, quindi, le capiterà spesso di prepararne diversi con i suoi allievi. Su cosa deve fare forza un giovane violinista quando si presenta a un concorso?
La perfezione del suono. Questa è la prima qualità, poi occorrono precisione di ritmo, chiarezza di intenzione, sicurezza. Ecco, la sicurezza è molto importante. Per quanto riguarda i repertori trovo positivo che alcuni concorsi stiano offrendo una maggiore varietà di concerti fra cui scegliere. Il concerto da studiare, poi, dipende dal violinista e dal concorso, ma ce ne sono alcuni che ultimamente sono diventati molto popolari, come il Concerto di Shostakovich. Il Primo, non il Secondo, che si sente più raramente ed è strano, perché non è meno geniale del Primo. Li ho suonati entrambi più volte, purtroppo non con Maxim Shostakovich, con lui suonai invece un Concerto di Prokofiev.
Lei fece una carriera fulminante, vincendo di seguito due concorsi come il Paganini e il Čaikovskij. Quando un violinista vince dei concorsi così grandi, cosa accade dopo? Come si costruisce una carriera, vittoria a parte?
È una buona domanda. Ogni caso è diverso, ad esempio quando io vinsi il Čaikovskij non posso dire di essere stato veramente preparato per la vita concertistica, ero stato concentrato per anni più a preparare i concorsi stessi. Molti concorsi, però, non ti danno la possibilità di costruire una carriera, in genere ti danno un po’ di soldi, qualche concerto e qualche bella emozione, ma poi basta. Certo, se ne vinci uno veramente grande ti apre delle porte, senza dubbio, ma sono pochi i concorsi così. Purtroppo per fare carriera non c’è alcuna ricetta già fatta che si possa dare, ma ci sono un po’ di buoni casi che mostrano come non sia per forza necessario vincere un grande concorso per avere successo. Prendi per esempio la violinista olandese Janine Jansen. Lei è un ottimo esempio anche perché non ha studiato in altro conservatorio che quello di Utrecht, che è sicuramente un conservatorio molto bello e quando studiava c’erano alcuni meravigliosi musicisti ad insegnare. Questo giusto per dire come tutti cerchino di andare alla Juilliard, al Royal College o Academy, al Mozarteum, queste storiche accademie molto popolari, ma ci si può costruire una carriera anche con le proprie forze e alla fine dipende tutto dal carattere del violinista stesso.
Per quanto riguarda la sua carriera invece? Nell’arco di essa su che repertori si è trovato più a suo agio?
Non amo molto parlare della mia carriera, il concetto stesso non mi piace molto. C’è chi ama essere sempre al centro dell’attenzione, ma non tutti sono così. Meglio parlare di repertori! In questi anni ho avuto modo di metterne su un po’, circa una cinquantina di concerti. Quelli che mi sento più vicini sono sicuramente i grandi concerti che dal Romanticismo, come Brahms e Dvořák, vanno fino al Novecento di Shostakovich e Britten. Dvořák e Britten purtroppo non sono così comunemente eseguiti, ma ci sono delle ragioni. Dvořák è molto problematico per l’ensemble e richiede un buon direttore e una buona orchestra, che conoscano nei dettagli il brano, soprattutto il secondo movimento, e ti aiutino a tenere su tutta la forma del concerto, cosa che accade molto raramente. Quindi il risultato spesso non è molto soddisfacente. Britten è un po’ diverso, è un concerto tecnicamente estremamente difficile per un violinista e nonostante sia stato scritto lo stesso anno del Secondo di Prokofiev, che invece viene suonato spessissimo, è rimasto poco eseguito per più tempo. Ma ora anche giovani violinisti stanno cominciando a metterlo sempre più spesso in repertorio e ne sono contento.