Jeu de cartes
La funzione originaria della musica è comunicare con l’anima dell’ascoltatore. A volte, la solennità dell’evento può interrompere questo contatto
Durante un concerto di musica classica a volte capita qualche episodio che rompe il convenzionale svolgimento degli eventi: l’annuncio che il tenore malaticcio decide di cantare lo stesso; l’improvvisa sostituzione di una parte di programma; il pianista che parla direttamente al pubblico; una corda che si rompe nel bel mezzo della cadenza del Concerto per violino di Čajkovskij.
Contrariamente a quel che qualcuno pensa, questi episodi, di solito, aiutano notevolmente il buon esito dell’evento. Quel sipario invisibile che divide il palco dalla platea in questo modo si strappa e la musica scorre libera. Si riesce così, a volte, a riavvicinare il fatto musicale alla sua essenza primigenia, a quella funzione sociale e anzi quasi tribale dalla quale ha origine: comunicare condividendo l’abbraccio del suono.
Per i feti, per i neonati, per gli ipoudenti il suono è anche e soprattutto una sensazione tattile, si ascolta con il corpo (lo spiega bene la percussionista non udente Evelyn Glennie in una strabiliante conferenza disponibile in rete). La musica ti tocca e ti circonda. I musicisti e anzi i compositori dei quali si suona la musica in realtà “toccano” l’ascoltatore, lo accarezzano, lo massaggiano.
L’udito è l’esca ma il tatto l’amo
Il fenomeno è plasticamente evidente nel rock o nei concerti della nuova musica elettronica ai quali spesso insieme al biglietto viene distribuito un set di tappi per le orecchie. Ma lo stesso vale per Monteverdi o, anche più, per la ninnananna della mamma; o i piccoli eventi musicali che si organizzano per le donne in gravidanza.
Ciondolante nel liquido amniotico (che è un trasduttore del suono ben più efficace dell’aria) il nascituro è fisicamente immerso nel vibrazioni e ci abita dentro. E in fondo, il termine “toccata” indica certo l’atto del toccare lo strumento; ma ancor più, forse quello di toccare il corpo, il cuore e l’anima di chi ascolta.
Michele dall’Ongaro