Giacomo Puccini e le arti visive: la mostra

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Non un interesse occasionale ma una passione attenta e profonda. Alla Fondazione Ragghianti di Lucca una mostra indaga il rapporto tra Giacomo Puccini e le arti visive. Un amore, si dice, iniziato sulle rive di Torre del Lago

Ferruccio Pagni, Canale di Torre del Lago, 1901 circa
Ferruccio Pagni, Canale di Torre del Lago, 1901 circa. L’opera sarà esposta a Lucca

Torre del Lago, ai tempi che vi capitò il Maestro, si chiamava il “Confino”: la terra estrema della podesteria di Viareggio confinante con quella di Pisa». Per Giacomo Puccini, il Maestro, quel Confino fu l’eden empireo a cui anelare nelle capitali d’Europa e del Nuovo Mondo; le sue opere iniziavano il glorioso cammino in presenza dell’Autore.

La sepoltura

All’arrivo sul lago di Massacciuccoli nel 1891, si narra che Puccini esclamasse «Ho l’impressione che qui ci starò bene». L’impressione divenne casa. Un luogo da cui si separò il giorno in cui dovette andare a Bruxelles per tentare la disperata operazione alla gola che finì solo per anticipare l’agonia.

Vi tornò due anni dopo la morte, dopo aver sostato nella cappella eretta da Leonardo Bistolfi per la famiglia Toscanini al Monumentale di Milano, la piovosa «mattina del 30 novembre del 1926, costretto in una cassetta d’abete, alzata verso il cielo diaccio e plumbeo dai fedelissimi. I boscaioli dai panni profumati di ragia di pino, i traghettatori del Lago tra cui v’era anche “Caronte”, i cacciatori, gli opranti, increduli quasi». Colà, in riva di lago, fu sepolto in una cappella gentilizia adiacente al suo studio.

Paesaggi pucciniani

Narratore e testimone oculare del silenzioso corteo funebre fu Lorenzo Viani. Pittore e scrittore, ebbe studio in un diruto stambugio accanto alla casa torrelaghese del compositore. All’abituro di quello che Puccini chiamava il “Viani delle bestie” («allora non disegnavo altro che bestie»), il Maestro s’arrampicava per una scala a pioli, canticchiando i dubbi pittorici di Marcello nella Bohème, «Se pingere mi piace, o cieli, o terre, o inverni o primavere».

Di lassù ammirava il paesaggio che lo aveva incantato: le «vertebre gigantesche impietrate delle Alpi Apuane», come scolpiva Viani; e poi «il pineto, le leccete, l’abbaglio del mare».

Nella prosa intitolata Cacciare e Cantare (raccolta da Carlo Cordié nel volume di scritti postumi, Il cipresso e la vite, Vallecchi, 1943), Viani schizza le memorie di una terra segnata anche nella toponomastica da illustri artisti.

«Poco lontano da Torre del Lago c’è Castelvecchio Pascoli; di qui si scorge la vetta della Pania sotto cui s’acchioccia la casa del Poeta, giù, nel cuore della Maremma. Si scorgono i piani di Pisa che sono come l’antemurale di quella terra, c’è la stazione di Castagneto Carducci». La proposta di mettere il nome del Maestro sulla stazione di Torre del Lago non ebbe corso vivente Puccini. Post mortem divenne Torre del lago Puccini. Perché «qui tutto è di lui (…) ogni pezzetto di terra ha contato i suoi passi, come tutti i folti di queste boscaglie».

Gaetano Previati, Notturno, 1908 mostra Puccini e le arti visive
Gaetano Previati, Notturno, 1908. Il quadro è tra le opere in mostra a Lucca

Per sogni e per chimere

Viani prosator-pittore consegna alla memoria il legame viscerale di Puccini con quei luoghi; molti sono presenti nelle sue opere (le Montagne della Sierra Nevada della Fanciulla sono le Alpi Apuane). E ci ricorda come il rapporto con le arti visive, non fu né episodico, né marginale. Tesi finalmente indagata con dovizia di materiali inediti e riferimenti nella mostra allestita dal 18 maggio presso la Fondazione Ragghianti di Lucca, Per sogni e per chimere. Giacomo Puccini e le arti visive, a cura di Fabio Benzi, Paolo Bolpagni e Maria Flora Giubilei.

La sensibilità di Puccini in materia visiva non fu solo legata a un cenacolo di goliardi amici, quello denominato “Club della Bohème”, raccolto attorno a quel capanno lacustre dove solevano divertirsi e lavorare. Quell’agreste ritrovo di caccia e pittura e musica che divenne il Confino.

«Era una lingua palustre, non più larga di quattro chilometri, e i torrelaghesi avevano, allora, dei cartaginesi la ruvidezza; chiusi in sè, schioppettavano l’uccellame nelle “bandite” e tiravano di fiocina ai lucci sguiscianti nel lago padronale. Sopra un bugnone di falaschi, taglienti come lame, fu eretto un capanno, e il Maestro alternava il bugnone col pianoforte».

La fine dell’idillio

L’idillio iniziò a dissolversi quando sorsero le Torbiere accanto alla proprietà del marchese Ginori- Lisci.
«L’uccellame spaurito andò oltre il monte di Quiesa, le acque intorbidate misero in fuga i pesci, il cielo si tenebrò. Sui falaschi gemevano non più le gru, ma aspe e maciulle. Torbati densi di fuliggine risommavano cagliati d’untume e di carbone. I rantoli dei macchinari sembravano mostruosi uccellacci d’acciaio che si attristassero in eterno. Ciminiere alte come campanili pennellarono il cielo di strisce a lutto».

Mutazione paesaggistica che indusse Puccini a edificare ai margini della pineta di Viareggio una villa (oggi male in arnese), descritta nella documentata ricerca di Marco Mei (Qui è nata Turandot. Villa Puccini a Viareggio). Villa che conserva traccia del legame molto importante che si stabilì tra Puccini, ormai celeberrimo, e Galileo Chini. Questi realizzò le formelle «quadrate, invetriate in grès porcellanato, riportanti a rilievo motivi decorativi orientaleggianti; raffigurano maschere tragiche e lire alternate a motivi ripresi dalla natura del luogo, come pigne, palmette e rosoni floreali» che corrono intorno alla facciata esterna.

Il Club della Bohème

Quegli amiconi sopra menzionati non erano un gruppo così provinciale. Il notevole paesaggista Ferruccio Pagni, i fratelli Tommasi, di cui Lodovico raffinato e colto musicofilo, non si limitarono a mandolinare la Bohème per beneficienza o a suonare i bicchieri di sciampagna per sentire l’effetto delle campane dell’alba di Tosca.

Formarono un sodalizio su modello di quanto Puccini aveva conosciuto nella vita artistica milanese, negli anni di apprendistato. Fra loro passò e soggiornò, prima di stabilirsi nella vicina Lido di Camaiore, un pittore di punta come Plinio Nomellini.
«Dalla sua amicizia, di cui lo incantano le ecloghe pastorali e simboliste, derivano i rapporti con l’ambiente genovese (Antonio Discovolo, col quale intratterrà rapporti amichevoli, Edoardo De Albertis, a cui commissionerà un meraviglioso bassorilievo liberty, L’autunno, per la sua casa di Torre del Lago, Luigi De Servi), e ovviamente la commissione per le decorazioni della casa di Torre del Lago, eseguite nel 1900»

Arti sorelle: la Scapigliatura

Un Puccini non più solo interessato alla musica, impermeabile al fermento artistico che Milano attraversava nella stagione autunnale della Scapigliatura, emerge nell’analisi di Giovanna Ginex (… come è bella Milano e che giovinezza. Puccini e gli artisti della “bohème milanese”).

Partendo dai rapporti del concittadino lucchese Alfredo Catalani, immortalato con la sua amante nel celebre abbraccio dell’Edera di Tranquillo Cremona, passando per le serate in Casa dell’editore e paterno mentore, Giulio Ricordi (che affida Manon, Bohème e Tosca alla sapiente mano liberty di Adolf Hohenstein), o nel salotto del mecenate Benedetto Junck, Giovanna Ginex mostra come Puccini entrasse in contatto diretto con l’autunno fertile della Scapigliatura. Il movimento predicava il mito della comunione delle “arti sorelle” (poesia, pittura e musica).

Era il fondamento estetico del movimento propugnato da Giuseppe Rovani, autore dei Cento anni e critico musicale fra i più ascoltati dall’epoca di Carlo Porta e Rossini a quella di Verdi. In Casa Junck, Benedetto e Teresa Garbagnati ricevevano «Catalani, Arrigo e Camillo Boito, i letterati e critici Carlo (Alberto Pisani) Dossi, Filippo Filippi e Ferdinando Fontana, giornalista e librettista [delle prime due opere “scapigliate” di Puccini, Le Villi ed Edgar].

Tra i pittori il primo posto spetta a Cremona – autore anche di uno splendido ritratto di Benedetto [esposto in mostra], Luigi Conconi, i fratelli Pietro e Paolo Troubetzkoy – quest’ultimo scultore, autore dei ritratti di Benedetto e Teresa, Arturo Rietti, Eugenio Gignous, Francesco Filippini, Filippo Carcano, Mosé Bianchi, Giuseppe Mentessi, Giuseppe Grandi».

La famiglia artistica Milanese

È probabilmente Ferdinando Fontana che introduce Puccini nel sodalizio della Famiglia Artistica Milanese. Vi erano sono iscritti tutti i più importanti pittori e scultori del tempo; si cantano brani delle Villi, e, nel 1893, festeggiandosi Giuseppe Verdi e il suo ultimo capolavoro, Falstaff, Giacomo Puccini accompagna al pianoforte Pietro Mascagni in brani della sua Manon Lescaut.

Mostra e catalogo c’insegnano a conoscere il mondo figurativo che interessava Puccini nella sua evoluzione. Un quadro di cui dovrebbero vivamente prendere conoscenza quanti oggi, registi, scenografi e costumisti, vogliano ancora non ignorare la raffinata e significativa cultura figurativa pucciniana.

La passione di Puccini per le arti visive

Indagine che spiega come l’aspetto visivo sia stato spesso ridotto nelle biografie del musicista a una generica adesione al fatto «che il liberty (o art nouveau) sia lo stile che più s’intreccia, con le sue volute e linee ondulate, alle melodie sinuose di Puccini.

O addirittura, in senso ancor più provinciale e parziale, il contesto dei cosiddetti “pittori del lago”, (…) che sono solo una parte (e non la più significativa) dell’ampio raggio di interessi del musicista». Così sintetizza uno dei curatori, Fabio Benzi (Percorso dal realismo scapigliato, al simbolismo e all’“impressionismo psicologico”).

Oltre all’amicizia con Nomellini, ci sono l’ammirazione per Gaetano Previati (molto amato da Toscanini) e il rapporto decisivo con Chini. Il pittore fiorentino, acquistò nel 1908 «una pineta a Lido di Camaiore assieme all’amico [Nomellini]. Entrambi avrebbero costruito le loro case di vacanza, a pochi chilometri dalla casa di Puccini. E Puccini compra il magnifico pannello in ceramica di Chini, che decora il camino di Torre del Lago, prima del 1907, su suggerimento di Nomellini».

Puccini penserà a lui già per il Trittico (non firmerà le scene alla prima del Met; ma l’impronta dei suoi bozzetti sul lavoro dello scenografo Pietro Stroppa è lampante).

L’Oriente interiorizzato

L’incontro per la Cina di Turandot con quell’Oriente che Chini aveva portato dal suo favoloso viaggio nel Siam era predestinato.
«Ciò che sedusse Puccini fu indubbiamente il materiale eccezionale che Chini aveva riportato dall’oriente. Quadri di straordinaria forza evocativa, di un simbolismo moderato dalla forza di un’evocazione di impressioni interiori piuttosto che di semplice colore esotico. Un Oriente interiorizzato, reinventato, non privo di connotazioni acutamente antropologiche, intellettuali; era la medesima direzione intrapresa da Puccini con la sua musica». Osmosi artistica: Benzi definisce l’ultimo Puccini “chiniano”; come “pucciniano” l’ultimo Chini.

di Giovanni Gavazzeni

la mostra

Per sogni e per chimere. Giacomo Puccini e le arti visive, è il titolo della mostra ideata dalla Fondazione Ragghianti di Lucca che si apre il 18 maggio e si chiuderà il 23 settembre. È curata da Fabio Benzi, Paolo Bolpagni (della Fondazione è il direttore ) e Maria Flora Giubilei. L’esposizione si avvale dell’allestimento di Margherita Palli; sono esposte oltre 120 opere provenienti dai più importanti musei e teatri italiani, più pezzi inediti da collezioni private.

La mostra è realizzata dalla Fondazione Ragghianti in collaborazione con la Fondazione Giacomo Puccini, il Centro Studi Giacomo Puccini, la Fondazione Simonetta Puccini per Giacomo Puccini, l’Associazione Musicale Lucchese e l’Archivio Storico Ricordi, con il patrocinio della Regione Toscana, della Provincia di Lucca, dei Comuni di Lucca, Viareggio, Massarosa e Pescaglia e della Fondazione Banca del Monte, e con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.Info: fondazioneragghianti.it

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