La morte di un grande artista è sempre un lutto cui non si è preparati, si rimpiange di non averlo ascoltato di più dal vivo, conosciuto più da vicino. È così anche per Mariss Jansons, il grande direttore d’orchestra di origine lettone che si è spento lo scorso 1° dicembre nella sua casa di San Pietroburgo, stroncato all’età di 76 anni dalla grave malattia cardiaca di cui soffriva da tanto tempo, da sempre.
Nonostante il suo cuore fosse così fragile, Jansons non si è mai risparmiato. Il suo ultimo concerto risale a poche settimane prima alla Carnegie Hall: l’8 novembre vi aveva diretto la sua amatissima Orchestra sinfonica della Radio Bavarese e fa un certo effetto sapere che la sua ultima esibizione pubblica comprendeva, tra l’altro, gli ultimi 4 Lieder di R. Strauss (con la voce di Diana Damrau) quasi un’epitome della sua carriera e della sua vita.
Mariss Jansons, la morte di un grande artista
Considerato uno dei direttori più dotati e coinvolgenti della sua generazione, Jansons, formatosi nell’ex Unione Sovietica, fui chiamato da Herbert von Karajan come assistente ai Berliner Philharmoniker, ma dovette rinunciare per il divieto posto dalle autorità sovietiche. Divenne poi direttore principale dell’Orchestra Filarmonica di Oslo dal 1979 al 2000, ricoprendo molti altri incarichi di prestigio internazionale, tra cui dal 2003 la guida dell’Orchestra sinfonica della Radio bavarese (cui è rimasto legato sino alla fine) e dell’orchestra del Concertgebouw di Amsterdam dal 2004 al 2015.
Memorabile l’espressività tormentata e potente del suo Mahler, personalmente penso in particolare alla Sesta sinfonia, con la marcia spietata del movimento di apertura, e gli archi che scavano in profondità tra accenti e appoggiature, con precisione chirugica a incidere nella carne e toccare nervi. Di grande rilievo è poi la sua interpretazione di Shostakovich, basti pesare alla registrazione della Sinfonia n. 13 con l’orchestra e il coro bavaresi, con cui ha vinto un Grammy per la migliore perfomance orchestrale nel 2006.
Magniloquente ma mai ampollosa la sua lettura dei poemi sinfonici di Strauss, di cui non si può non menzionare Ein Heldenleben, per la brillantezza cristallina degli archi, il languore e la sensualità dei legni e la potenza degli ottoni.
La personalità spiccata di Jansons era evidente anche nel modo in cui forgiava il suono delle orchestre da lui dirette: ne è un esempio la trasformazione dell’orchestra del Concertgebouw dalla brillantezza trasparente ricercata da Riccardo Chailly al colore scuro, caldo e profondo, cifra stilistica inconfondibile del maestro lettone, insieme con la sua straordinaria capacità di concertatore e di narratore.