L’Orquesta Sinfónica de la Universidad de Guanajuato compie 65 anni e li celebra con un piccolo tour europeo. Diretta dal M° Roberto Beltrán-Zavala, giunge a Milano grazie alle Serate Musicali del Conservatorio, ultima tappa di una serie di concerti che l’ha vista impegnata in Spagna (Oviedo e Santander), Francia (Anglet) e Brescia.
Fra le più antiche e importanti istituzioni musicali messicane, nelle due esibizioni italiane l’orchestra si è accompagnata a un solista d’eccezione, Shlomo Mintz, per l’esecuzione del celeberrimo Concerto per violino e orchestra in mi minore, op. 64 di Mendelssohn. E lo scorso 5 giugno l’interesse intorno all’ensemble era vivissimo, stando al numeroso pubblico che ha riempito quasi per intero la Sala Verdi; interesse ripagato dai copiosi applausi finali, al termine di un appassionato concerto dedicato al repertorio romantico della tradizione (Mendelssohn e Čajkovskij) e quello contemporaneo del Messico. Caratteristica di questa tournée, infatti, è stata proprio quella di presentare i compositori messicani in attività, alternandoli tra una tappa e l’altra.
Il concerto di Milano si apre con la prima italiana di Las mujeres de Pénjamo. La marcha de las rehenes di Francisco Javier González Compeán (classe 1978), allievo e assistente di Héctor Quintanar, il fondatore del primo laboratorio di musica elettroacustica in America Latina e uno dei più importanti compositori messicani del secondo Novecento.
Commissionato dalla stessa orchestra per la tournée, il lavoro di Compeán si riferisce a un episodio dell’indipendenza messicana, quando più di trecento donne di Pénjamo vennero arrestate dal generale Iturbide con l’accusa di essere mogli, sorelle e madri dei rivoluzionari. Per il compositore, l’arte «è un conduttore molto potente della memoria dei popoli»: forte di questa convinzione, il suo è un poema sinfonico di carattere celebrativo e programmatico che si riallaccia nell’uso della tonalità ai compositori di scuola americana che più hanno esplorato le radici folkloriche della loro terra (Aaron Copeland, Carlos Chavez), unito a uno stile epico che ricorda lo Šostakovič più legato alle esigenze del realismo socialista.
Come già accennato, è Shlomo Mintz il solista del Concerto di Mendelssohn: il violinista regala un’interpretazione esuberante ma rigorosa al tempo stesso, che tocca l’apice nella caratteristica cadenza al termine del primo movimento. La direzione di Beltrán-Zavala risulta, al contrario, piuttosto sommessa; ma non si direbbe un difetto, quanto piuttosto una precisa scelta interpretativa in un lavoro in cui all’orchestra è richiesto essenzialmente di assecondare il solista.
Conclude il programma la Sinfonia n. 4 in fa minore, op. 36 di Čajkovskij: ancora una volta un’interpretazione forse un po’ anonima dell’andante sostenuto iniziale, in cui il tema del Fato (come lo definì lo stesso Čajkovskij) non squilla così irruento come ci si aspetterebbe, non si presenta come «la forza inesorabile che impedisce alle nostre speranze di felicità di avverarsi» (da una lettera del compositore russo alla baronessa Von Meck, sua amica e mecenate). Tuttavia c’è come un crescendo emotivo che accompagna la sinfonia per tutti i suoi movimenti e, se all’inizio l’orchestra sembrava in qualche modo limitarsi, man mano che l’esecuzione procede, la direzione si fa più fluida e i musicisti maggiormente coinvolti. Il finale costringe a rileggere tutta l’opera come un climax sopra al quale il ritorno del tema del Fato gioca un ruolo oppressivo e inesorabile; e la cadenza conclusiva suona quasi liberatoria.
Foto di copertina: Roberto Beltrán-Zavala