Lo Staatsoper di Berlino riapre (e richiude) tra le polemiche

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È stata una riapertura assai discussa quella dello Staatsoper Unter den Linden di Berlino: dalla notizia dell’imminente richiusura del teatro, che dovrebbe avvenire a breve per la ridefinizione di alcune parti della struttura per le quali il restauro non è ancora giunto a termine, alla scelta della messa in scena, per la serata inaugurale, di “Szenen aus Goethes Faust” di Schumann, nella versione del Regisseur nonché sovrintendente del teatro Jürgen Flim.

Una proposta assai colorata e a metà tra il teatro di prosa e quello lirico, che comprendeva non solo il Faust I, ma anche il Faust II di Schumann. Quest’ultima, una parte poco nota persino al pubblico più esperto, e per questo motivo si ritiene possa considerarsi una scelta quantomeno innovativa nonostante i gusti.

A primeggiare però è una sensazione un po’ in bilico tra il macabro e l’onirico, con costumi ottocenteschi e colorati quasi sbucati fuori da un libro di fiabe, e le figure giganti del pittore tedesco Markus Lüpertz a fare da sfondo al tutto come cornice in stile neo-espressionista. Dal primo all’ultimo quadro però è un susseguirsi di nuovi elementi in contrapposizione, Gretchen davanti alla Mater Dolorosa, poi la scena del duomo dove compare la ragazza portata in processione da una carovana di suore dal gigante cappello bianco, e l’arrivo inaspettato di un fulmine dal cielo che fa piombare in scena cartoni della spazzatura e rifiuti sui personaggi, a questo punto giungono – sempre in pieno paesaggio fiabesco –  paramedici dal camice turchino e pompieri in divisa con estintori alla mano.

Gretchen, nel frattempo è diventata donna, in una scena nella quale Mephistopheles le mostra che ha del sangue nei pantaloni. Poi l’aggiunta dei doppi personaggi, due per ognuno, tra attore e cantante, entrambi apparentemente uguali, ma in sostanza differenti. La prima Gretchen, infatti, sembra la versione infantile della seconda, il primo Faust sembra la versione invecchiata dell’altro e così via…

Insomma, pare che le idee alquanto audaci di Jürgen Flimm abbiano suscitato un velo di curiosità anche da parte degli stessi cantanti e attori.

 

 

Sebbene interessante l’idea di mettere in scena l’oratorio profano di Schumann, il tutto è risultato un potpourri di storie nelle storie, di epoche nelle epoche e di stili, colori e sensazioni diversi, che hanno reso difficile al pubblico la comprensione di questo lavoro, da troppi definito inadatto per la riapertura di un teatro come quello in questione. Di certo non si può dire che ciascuno ne sia rimasto indifferente, accogliendo la regia al calare del sipario con sensazioni emotive tra le più svariate.

Apprezzamenti, invece, sono da considerarsi riscontrabili, per la scelta del cast: bravo René Pape (Mephistopheles) tecnicamente presente e con un notevole miglioramento rispetto a qualche anno fa, valida anche Elsa Dreisig (Gretchen) dalla tessitura soave in contrasto però con un Roman Trekel (Faust), il quale non solo si è mostrato carente di corposità vocale, ma ha persino corso il rischio di rimanere intrappolato in qualche acuto. Brava Katharina Kammerlohrer (Marthe). Daniel Barenboim, invece, al podio di una Staatskapelle apprezzabile, ma anche talvolta affezionata a un certo fare wagneriano. C’è da congratularsi però anche con l’altro Mephistopheles, l’attore Sven Eric Bechtolf, con Andrè Jung (l’altro Faust) e con Meike Droste (Gretchen).

La vecchia casa dello Staatsoper però è un autentico gioiellino dagli interni rococò, bella come i castelli di Charlottenburg e di Sanssouci dentro, e simile a un elegante tempio corinzio fuori, motivo questo, certamente di vanto per la riuscita dei restauri. Tuttavia pareri discordanti sono giunti per l’acustica del teatro, elemento non da poco conto. I più anziani del luogo, hanno ancora oggi memoria dell’acustica che conservava il vecchio teatro prima della chiusura “pessima a livelli quasi disarmanti” a detta di alcuni. Ed è stato proprio questo il motivo per il quale, nel corso dei sette anni di lavori di restauro, il tetto è stato rialzato di diversi metri per un tentativo di miglioramento. L’esito finale dei lavori però resta ancora legato a giudizi in contrasto.

Ma probabilmente, ci si domanda, forse è solo il caso che cantanti e orchestra prendano familiarità con questo nuovo aspetto della sala? Bisognerà un po’ pazientare.

Una “semi” riapertura, insomma, che ha suscitato non pochi dubbi, come quello sul perché non si sia preferito un concerto a una messa in scena così insolita? Anche se il pubblico tedesco avrebbe certamente preferito altro, come un Fidelio o un Wagner, ad esempio.

Insomma, appare chiaro, come sempre Tot capita, tot sententiae.

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