Tra un debutto rossiniano e due ruoli verdiani arriva in Italia Lisette Oropesa. Il soprano Usa di origini cubane ha cambiato il suo corpo per non perdere se stessa
Si parla da tanti anni della “dittatura della bellezza” nel mondo dell’opera. L’abitudine all’immagine, tra cinema e tv, ha imposto canoni estetici imprescindibili, a volte assurdi. Non pochi cantanti e direttori artistici a malincuore riconoscono che oggi Luciano Pavarotti o Montserrat Caballé in alcune piazze avrebbero difficoltà a essere scritturati. È anacronistico lo stereotipo della cantante dalle taglie forti; ma può ancora succedere di vederle, soprattutto nel repertorio wagneriano. In molte sembrano modelle. Elīna Garanča, Aida Garifullina, Magdalena Kožená, Valentina Nafornita da poco uscita dall’ensemble della Staatsoper di Vienna per una importante carriera che l’ha portata al Festival di Salisburgo, o Anna Netrebko prima maniera, non sfigurerebbero in qualche passarella. Il simbolo di questo cambiamento è una cantante americana di origini cubane. Il suo nome è Lisette Oropesa.
Ha 34 anni e in cinque anni ha perso oltre quaranta chili. «Però io sono dimagrita in modo molto repentino di Maria Callas, che fu la prima artista del mondo dell’opera a a trasformarsi fisicamente in modo così radicale».

Il soprano Lisette Oropesa avrà nei prossimi mesi tre importanti impegni in Italia, il 12 agosto al Rossini Opera Festival di Pesaro, dove farà il suo debutto assoluto in Adina (più un recital); poco dopo alla Fenice di Venezia nella Traviata secondo Robert Carsen che viene ripresa ogni anno, e all’apertura di stagione del Teatro dell’Opera di Roma quando, nel Rigoletto diretto da Daniele Gatti e con la regia di Daniele Abbado, sarà Gilda. Lisette è una giovane donna dalla simpatia contagiosa che ha accettato di parlare della sua vita d’artiste ma anche della sua trasformazione fisica. «Quando vedo le mie vecchie foto, non mi riconosco, provo un senso di estraneità».
Ricorda quando ha preso la decisione di perdere chili?
«Sì, ero al Metropolitan di New York e mi hanno detto chiaro e tondo che avrei avuto difficoltà a trovare lavoro. E io non volevo perderlo».
Quanti sacrifici ha dovuto compiere?
«Mi nutro in modo diverso, sono diventata vegana e soprattutto mi alleno. Corro: dieci chilometri per cinque volte alla settimana. Puoi correre ovunque tu sia, nei parchi delle città in cui devo cantare, e non costa nulla. Mi scrivono tante donne, mi considerano un esempio da seguire. Partecipo alle maratone, anche se da qualche tempo i miei impegni professionali sono aumentati e faccio solo mezze maratone. Una volta ho cantato a Pittsburgh La figlia del reggimento e la mattina dopo ho corso una maratona».
Prima si era mai sentita umiliata?
«Ero timida, non praticavo sport e mi vergognavo di me stessa. A un’audizione per Don Giovanni mi hanno scartata dicendomi che volevano un cast giovane e sexy. Ci tengo a dire che non è una discriminazione di genere, se uno deve cantare Don Giovanni non può somigliare a Falstaff. Io dico che ci sono cantanti che non riescono a dimagrire e hanno diritto a cantare, tra l’altro come modelli, accanto a Anna Moffo e a Renata Scotto, ho avuto Montserrat Caballè. Non do giudizi, ma i tempi sono cambiati e bisogna prenderne atto».
Tra pochi mesi l’aspetta il debutto al ROF di Pesaro nell’anno in cui si celebrano i 150 anni dalla morte di Rossini.
«Sì, quella di Adina è una storia affascinante, simile al rapimento del Ratto dal Serraglio di Mozart. Adina è nelle mani del Califfo, lui la vuole sposare e lei sta quasi affrontando la cosa, fino a quando il suo amante si mostrerà. Il Califfo si è comportato bene con Adina, lei deve fare una scelta. Si scoprirà che il Califfo altri non è che suo padre, il quale rivedeva in lei l’amata moglie scomparsa tanti anni prima. Adina ritroverà l’amante, e il padre perduto. Rossini dovette scrivere quest’opera in fretta, così prese in prestito della sua musica precedente e la storia è simile a quella di analoghe storie popolari dell’epoca».
Il ruolo di Adina è scritto in una tessitura abbastanza centrale…
«Sì, e io sono più a mio agio nell’acuto, aggiungerò cadenze che si adattano alla mia voce, è sempre divertente aggiungerle».
Che cosa rappresenta Rossini per lei?
«È l’immagine della grazia e dell’eleganza. Sto ancora imparando parecchio sulle tante nuances della sua scrittura vocale. Non bisogna velocizzare il canto, si tratta di espressione, di mantenere il legato alla direzione di ogni frase, ovvero l’essenza del bel canto. È molto difficile da ottenere. Sono onorata di avere l’opportunità di debuttare in un ruolo così speciale e in un’opera così rara a Pesaro, la città di Rossini».
Lisette Oropesa, lei è cresciuta in Louisiana, nella terra del blues e del jazz.
«A dire il vero, la terra del bus è più il Mississippi mentre la Louisiana è la terra del jazz. Ma ho qualche ricordo al riguardo. Ho sempre suonato nelle bande fatte di ottoni, legni e percussioni che negli Stati Uniti trovano diffusione nei licei e nelle università, si distinguono da quelle tradizionali per gli impatti coreografici e gli effetti scenici. Nel periodi del Carnevale, a ogni martedì grasso, si marcia nelle parate di New Orleans, dove risuona musica jazz.
A volte, al liceo, col mio flauto mi sono unita nelle jazz band per brevi periodi; ma non avevo lo stile e l’abilità che avevano gli amici che suonavano il sassofono o la tromba. Più spesso cantavo, c’è un pezzo di Lonnie Donogan che si intitola I’ve got Rocks in my Bed, il direttore della band mi disse: “Hai una bella voce, dovresti cantare di più”».
Cosa significa, per una donna nata in Louisiana, essere una cantante d’opera?
«La mia famiglia è di Cuba, mia madre insegna canto, mio nonno aveva una grande collezione di dischi d’opera. Sono cresciuta con la lirica, molto più del blues o del jazz. Ascoltavamo anche tanta musica latino americana e in casa si ballava sempre!».
I suoi genitori le parlavano di Cuba?
«Mi dicevano che ha alcune tra le più belle spiagge del mondo. La gente è gentile e generosa. Fu triste per la mia famiglia lasciare la loro isola nel 1968, ma sono così riconoscente che l’abbiano fatto. Ho avuto tante maggiori opportunità nella vita, grazie a quella decisione. Sapevano che la cosa migliore per il futuro era di fuggire dal regime di Fidel Castro. La storia della mia famiglia è difficile, non sono mai ritornati a Cuba. Una possibilità del genere è ancora più remota per i cubani che si sono trasferiti negli Stati Uniti».
L’impressione è che lei canti più negli Usa che in Europa.
«Era vero fino a qualche tempo fa. Il pubblico americano è diverso da quello europeo, più ingenuo e meno severo e rigoroso, considera la lirica una forma di intrattenimento».
Lei prima ha menzionato Renata Scotto.
«Abbiamo lavorato insieme al Metropolitan nel “Lindemann Young Artist Program”. Mi ha dato tanti consigli sul bel canto e mi ha “allenato” per i miei ruoli. Renata si aspetta il meglio dai suoi allievi. Non è facile essere allo stesso tempo una grande musicista e una magnifica insegnante».
di Valerio Cappelli