Beatrice Venezi, Alpesh Chauhan, Lorenzo Viotti: tutti nati nel 1990. Sono direttori d’orchestra e sono under 30. Li ascolterete presto in Italia e sentirete parlare di loro
Cosa distingue i direttori under 30? La carica, l’entusiasmo, la determinazione e la speranza propri della giovinezza. Di chi nel percorso della vita non ha ancora raggiunto la tappa dei trent’anni. Ma anche un grande talento e la dedizione che la loro scelta richiede. Professione direttore d’orchestra, classe 1990.
Le promesse della bacchetta in questione sono la ventisettenne italiana Beatrice Venezi, il ventiseienne anglo-indiano Alpesh Chauhan e il ventisettenne italo-svizzero Lorenzo Viotti. Per tutti loro i riconoscimenti sono diversi e le carriere in rapida ascesa.
Superata la “generazione dell’80” – di Daniele Rustioni, Michele Mariotti, Diego Matheuz, Alessandro Cadario, per citarne alcuni – già affermata nel panorama classico internazionale, lo scettro di giovani promesse passa a loro, i nuovi direttori “under 30”. Saranno impegnati nei prossimi mesi in appuntamenti importanti dei cartelloni sinfonici e operistici del nostro Paese. Ma indaghiamo sui loro percorsi, i loro successi e i loro sogni nel cassetto.
Beatrice Venezi
Partiamo da lei, unica italiana dei tre, Beatrice Venezi. Biondissima, sguardo volitivo, idee piuttosto chiare ma una visione gentile del suo ruolo. Studi di pianoforte, composizione e direzione d’orchestra. Si diploma in quest’ultima al Conservatorio “G. Verdi” di Milano sotto la guida di Vittorio Parisi per poi approfondire la propria tecnica con Gianluigi Gelmetti all’Accademia Chigiana di Siena, Oleg Caetani e John Axelrod, di cui è assistente. Diverse esperienze sul podio tra cui quella recente di “Chief Conductor” della Nuova Orchestra Scarlatti di Napoli.
Il 4 maggio è protagonista di “Prova d’orchestra” con musiche di Boccherini, Paisiello e Puccini per il Lucca Classica Music Festival. Dal prossimo mese di luglio, sarà direttore ospite principale del Festival Puccini di Torre del Lago, dove dirigerà Il Trittico dall’11 al 25 agosto. La incontriamo per domandarle di sé e della sua scelta, del passaggio dal pianoforte alla bacchetta.
«Non ricordo un momento preciso. Si tratta del risultato di una maturazione, della consapevolezza che per creare tutte le nuance di una tavolozza di colori non occorressero tasti. Del desiderio latente di esprimersi attraverso l’orchestra e trasmettere, in maniera quasi telepatica, la propria idea musicale senza bisogno di troppe parole».
Per il 2018 sarà direttore ospite principale del Festival Puccini
«Si tratta di un incarico importante e di grande responsabilità. Il mio legame con Puccini è particolarmente forte così come lo è con le Istituzioni pucciniane di Lucca; vorrei che la mia città diventasse una sorta di Salisburgo d’Italia». Con il grande operista toscano condivide i natali e l’humus culturale: «Ho cominciato ascoltando le sue opere. Percepisco chiaramente la modernità del suo linguaggio e della sua figura. La sua capacità di trascrivere in musica l’amore per la vita e di rappresentare i sentimenti con una sensibilità che definirei pre cinematografica».
Questione d’immagine
Sul podio sceglie di non indossare abiti austeri – come il frac maschile – di non rinunciare alla femminilità di un abito da sera.
«Non si tratta di un puro vezzo estetico ma di un forte messaggio veicolato da un’immagine. Indossare il frac significherebbe rinforzare l’idea che quello di direttore d’orchestra sia un mestiere da uomo. Non occorre mostrare i muscoli e questo non significa non avere carattere. La mia leadership ideale è più partecipativa rispetto ad un passato in cui a quel ruolo si associava il controllo. L’obiettivo è fare musica insieme, valorizzare le storie e le capacità dei singoli. Non perseguire a tutti i costi il proprio ideale ma tenere conto prima del materiale umano di cui si dispone. Essere autorevoli, non autoritari, insomma».
Alpesh Chauhan
Secondo del nostro trio di bacchette magiche è Alpesh Chauhan, dalla stagione 2017/18 direttore principale della Filarmonica Toscanini. Il 18 e 19 maggio sarà a Parma alla guida della sua orchestra; in programma il Concerto per orchestra di Lutosławski e la Prima sinfonia di Mahler.
Una rapida ascesa alla notorietà internazionale, la sua. Studi nel Regno Unito, tra i suoi mentori Andris Nelson ed Edward Gardner e all’attivo esperienze alla guida di compagini orchestrali tra cui Bbc Symphony, Bbc Scottish, Opéra National de Lorraine, Orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova e del Maggio Musicale Fiorentino. Anche lui vanta un passato da strumentista, violoncellista per l’esattezza.
«Già quando suonavo nelle orchestre giovanili a Birmingham ero affascinato dal ruolo del direttore d’orchestra e dalla sua capacità di condurre l’insieme. Poi formai un’orchestra e fui invitato a dirigere varie orchestre amatoriali e giovanili».
Da settembre 2017 è direttore principale della Filarmonica Toscanini
«La mia prima volta con la Toscanini fu una sostituzione, il Maestro Kazushi Ono dovette improvvisamente cancellare l’impegno per malattia. L’orchestra decise di investire su di me; ora ogni volta che lavoriamo insieme il feeling cresce. Loro capiscono sempre meglio cosa chiedo e io le loro esigenze, così da raggiungere insieme il miglior risultato. Amo quest’orchestra e penso sia una delle migliori in Italia al momento. Risponde come un’orchestra inglese ma ha lo speciale suono italiano fatto di energia, emozioni e passione».
Nonostante la sua giovane età mostra una precisa idea sul rapporto con l’orchestra e sulle caratteristiche di un buon direttore. «Nessun segreto. Credo occorra essere sicuri della propria interpretazione ma anche disposti ad accogliere le idee dei musicisti dell’orchestra. Essere capaci di dare loro una direzione ma anche lasciarli liberi di esprimersi in concerto; sono loro a suonare le note. Il miglior risultato possibile deriva dall’unione dei singoli pensieri musicali in una visione unitaria».
Lorenzo Viotti
A concludere la carrellata Lorenzo Viotti, vincitore nel 2015 del Nestlé and Salzburg Festival Young Conductors Awards e del “newcomers award” dell’International Opera Award 2017.
Nato a Losanna, figlio d’arte di Marcello Viotti, direttore musicale del Teatro La Fenice di Venezia scomparso nel 2005, studi di pianoforte, canto, percussioni e direzione d’orchestra, vanta già importanti collaborazioni con l’Orchestra del Royal Concertgebouw di Amsterdam, la Vienna Symphony Orchestra, Orchestre National de France, Leipzig Gewandhaus Orchestra. Sarà impegnato in Italia l’1 giugno 2018 nella programmazione del Maggio Musicale Fiorentino con un programma fascinoso che affianca Webern e Rachmaninov.
Per lui «provenire da un livello elevato come strumentista – in questo caso percussionista – e aver fatto l’esperienza di suonare in orchestra è stato un’ottima scuola di direzione».
In qualche modo continua la tradizione paterna
«L’amore e la passione senza limiti per la musica ci sono stati trasmessi da mio padre e mia madre, è questa probabilmente la più grande eredità che avremmo mai potuto ricevere». Nel mese di luglio dello scorso anno è stato alla guida dell’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala. «È stato un tour molto interessante poiché non si tratta della solita orchestra giovanile che ci si potrebbe aspettare. Erano tutti molto professionali, preparati e fieri di essere seduti nei loro posti».
A suo avviso la grandezza di un direttore si misura in «esperienza, conoscenza, duro lavoro e curiosità; ma, soprattutto, la capacità di leadership non si impara, si possiede».
Ma quali sono i miti del podio del passato per i direttori under 30?
«Bernstein, animale da palcoscenico, mente geniale e incredibile comunicatore», per la Venezi, che aggiunge insieme a Chauhan, «Kleiber per estetica, gesto e tecnica», ma anche «il primo Karajan e Harnoncourt, il più grande musicista del nostro secolo», secondo Viotti. Mentre “da giovani a giovani” i tre convengono nel mostrare speranza e ottimismo per il futuro della musica cosiddetta classica. Come conquistare nuovo pubblico?
Per esempio, «rendendo questo mondo più accessibile attraverso i canali social; aprendo il backstage ai giovanissimi così che siano rapiti dal fascino e dalla magia del teatro», secondo Venezi. D’altronde «a noi, come esecutori, il compito, se la musica è cibo per l’anima, di mettere l’anima nella musica che eseguiamo», spiega Chauhan. E, soprattutto «eliminare ogni sorta di barriera tra interpreti e pubblico», chiosa Viotti.
di Luisa Sclocchis