L’esperimento sociale di Graham Vick: Il flauto magico al MOF

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Si è chiusa il 12 agosto 2018, con un insolito allestimento del Flauto Magico mozartiano, nella traduzione poetica in italiano di Fedele D’Amico, la 54° edizione del Macerata Opera Festival. Nell’allestimento concepito da Graham Vick, il palcoscenico dello Sferisterio si è trasformato in una sorta di agorà: un luogo “politico”, nell’accezione più nobile del termine, di incontro fra persone (cantanti, coristi, comparse, musicisti e maestranze) dedite alla realizzazione dello spettacolo, del bene comune. Partecipazione, comunità, amicizia: tali le parole chiave emerse dalle testimonianze personali e commoventi, raccolte da Marta Negrini, dei cento Cittadini del Mondo, ovvero figuranti di ogni genere, età, provenienza culturale ed estrazione sociale, voluti dal regista per un’opera collettiva, atta a coinvolgere anche il pubblico nel ruolo di coro (all’inizio del secondo atto) e di sicuro impatto, visivo e simbolico.

Le scene di Stuart Nunn (curatore anche dei costumi), illuminate da Giuseppe Di Iorio, hanno presentato tre elementi architettonici, circondati da tendopoli di profughi e senzatetto: il palazzo del potere e della violenza, che  nasconde gli armamenti nucleari, quello della sapienza che fa riferimento a una nota industria di computer, e il tempio che ricorda la basilica di San Pietro e che nasconde la statua di una Madonna imbavagliata (a simbolizzare le donne ridotte al silenzio dalle varie credenze religiose, come esplicitato dal coro femminile, impossibilitato a cantare, nel secondo atto), ovvero i simboli di una civiltà capitalistica destinati al crollo finale, cui si aggiunge una ruspa, probabilmente in riferimento alla situazione politica attuale.

Pur sacrificando il lato meramente favolistico o esoterico dell’opera che segnò l’adesione mozartiana alla massoneria del XVIII secolo, l’attualizzazione proposta dal regista ne restituisce la matrice illuminista e utopistica: l’ideale di un mondo più giusto che il giovane Tamino, interpretato con grande sensibilità dal tenore Giovanni Sala, intende perseguire. Insieme a Papageno, uno spassoso Guido Loconsolo, diventato il ragazzo delle consegne di un fast food di pollo travestito da pennuto, il protagonista parte nel suo viaggio iniziatico per salvare la bella Pamina (il soprano Valentina Mastrangelo), nel pieno della trasformazione da bambina a donna, e superare le prove imposte da un ambiguo Sarastro (il basso Antonio Di Matteo), più simile a un predicatore televisivo che a un gran sacerdote. I paladini del bene sono ostacolati da Astrifiammante (il soprano Tetiana Zhuravel), da Monostato (il tenore Manuel Pierattelli) e dalle Tre Dame (Lucrezia Drei, Eleonora Cilli e Adriana Di Paola): un cast giovane e interessante (completato da Ilenia Silvestrelli, Caterina Piergiacomi, Emanuele Saltari, ovvero i tre Geni, nonché Marcell Bakonyi, Marco Miglietta e Seung Pil Choi), in cui hanno spiccato le voci morbide e duttili del Principe egiziano e della figlia della Regina della Notte, nonché la vis comica del buffo uccellatore, irresistibile nel duetto con Papagena (il soprano Paola Leoci), nonostante la versione italiana del libretto di Schikaneder, poco pregnante anche se giustificata dall’esigenza comunicativa di Vick.

Il Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”, diretto da Martino Faggiani e Massimo Fiocchi Malaspina, ha ben sostenuto le imponenti scene corali, mentre è risultata decisamente “neutra”, forse volutamente, la direzione di Daniel Cohen, sul podio dei Orchestra Regionale delle Marche.

Nonostante qualche imperfezione, in particolare nelle parti recitate del singspiel, dall’inconsueta lettura concepita dal regista inglese sono scaturiti innumerevoli spunti di riflessione su temi che, veicolati dalla sublime leggerezza della musica mozartiana, attraversano tempi e luoghi, restando ancora straordinariamente attuali.

Foto Ph. Tabocchini

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