"Les Huguenots" all'Opera: un'occasione persa

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L’Opéra-Bastille ha rimesso in scena, dopo oltre ottant’anni, Les Huguenots di Meyerbeer. Le aspettative erano altissime; ma un tardivo cambio degli interpreti ha compromesso la riuscita dell’opera

Meyerbeer Les Huguenots

Tra 1836 e 1936, più di 1100 recite de Les Huguenots di Meyerbeer a Parigi. E poi niente: questo titolo simbolo della “grande boutique” era assente da 82 anni. Sulla scia del Don Carlos della scorsa stagione, Parigi riconquista a poco a poco il suo repertorio “identitario”.

Per segnare l’avvenimento, Stéphane Lissner ha chiamato Michele Mariotti, che diresse Les Huguenots a Berlino nel 2016; il regista Andreas Kriegenburg, molto famoso in Germania per la sua prima regia a Parigi; nonché grandi cantanti capaci di raccogliere la sfida, come Diana Damrau e Brian Hymel nei panni di Marguerite de Valois e di Raoul de Nangis. Purtroppo hanno dato forfait. Lisette Oropesa (la recente Adina di Pesaro) e il giovane coreano Yosep Kang hanno accettato di sostituirli.

Bello da vedere, ma piatto

Il risultato non ha sempre risposto alle attese, per colpa di una regia certo elegante (scene bianche e stilizzate di Harald B.Thor) ma che racconta la storia senza sottolinearne l’aspetto umanistico, senza mettere in risalto i caratteri. Si succedono quadri da fotografare (uso intelligente dei colori, variazione sul rosso sangue – allusione al massacro di San Bartolomeo); ma non vanno aldilà della semplice illustrazione, a volte noiosa.

Interpreti

Il cast riunito invece è stato complessivamente più che dignitoso. La Marguerite eccezionale di Lisette Oropesa con acuti stratosferici e agilità non di meno apre la porta ai grandi ruoli belcantisti del repertorio; Karine Deshayes (Urbain) è anche lei straordinaria per potenza, tecnica, controllo della voce e presenza scenica; mentre Ermonela Jaho, forse non pienamente al suo aggio nella tessitura di Valentine, dava al personaggio un’intensità rara e una vibrazione scenica sconvolgente.

Tra i ruoli maschili notiamo il Marcel vigoroso di Nicolas Testé e il Conte di Nevers con voce calorosa e raffinata di Florian Sempey. Mentre il problema era il Raoul di Yosep Kang: bel timbro, bella voce chiara con dizione francese perfetta; ma incapace di rispondere alla sfida, una delle più difficili del repertorio. L’incapacità a dominare gli acuti micidiali lo mettono in grave difficoltà nello stupendo duetto «Tu l’as dit: oui, tu m’aimes!».

La riscoperta di Meyerbeer

Come mai l’Opéra di Parigi non avesse previsto un sostituto per Raoul rimane un mistero; ed è tutto merito del giovane tenore di aver osato la parte all’ultimo momento. Il coro preparato da José Luis Basso, che ha un ruolo essenziale, è veramente eccezionale di potenza, di chiarezza e di colori.

In buca Michele Mariotti, a capo di un’orchestra dell’Opera a dir poco straordinaria, si ricorda che Meyerbeer era un ammiratore di Rossini, e propone una direzione di rara raffinatezza; rendendo chiare l’intelligenza e l’abilità della composizione, forse qualche volta a dispetto della dinamica. Intanto, l’immenso successo dimostra che il pubblico è pronto per una Meyerbeer-Renaissance.

Guy Cherqui

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