L’arte del dialogo: intervista a Fabio Vacchi

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Compositore ospite di Asiagofestival 2018, Fabio Vacchi è tra i più importanti autori italiani di oggi, con una produzione ampia che spazia dalla musica da camera all’opera, al melologo, al balletto. L’intervista è un’occasione per approfondire un tema centrale per l’autore: il dialogo.

Scambio e al contempo confronto tra compositore e regista, tra compositore e librettista, tra compositore e poeta: che ruolo ha per lei il dialogo?

Beh, direi che il dialogo ha un ruolo multiforme e fondamentale! Il primo dialogo, innanzitutto, è con se stessi: per produrre qualcosa di sensato bisogna guardarsi molto dentro e cercare di entrare in dialogo con la parte profonda di sé, quella che spesso conosciamo meno. E questo è il primo passo. Poi c’è il dialogo con gli esecutori, anche quello estremamente formativo perché permette di affinare i tuoi strumenti compositivi. Quindi viene il dialogo con gli esponenti delle altre discipline. Il più immediato è quello con gli autori dei testi. Vivi o morti che siano è sempre un dialogo, su questo non c’è dubbio! Dialogo con Shakespeare come con Amos Oz, anche se le risposte di Shakespeare le devo un po’ immaginare! (ride). Il dialogo con i librettisti, poi, è molto interessante e può essere molto problematico. Anche perché, a volte, più che un dialogo dev’essere un monologo, con il librettista che prende appunti! L’arte di scrivere un testo da musicare è complessa e si è un po’dispersa oggi.

Cosa rende un librettista un buon librettista?

Un buon librettista deve avere una scrittura che consenta un ritmo drammaturgico, il che vuol dire alternanza di scene, un vero divenire nella narrazione e un linguaggio teatrale. Questo comporta il dire il massimo numero di cose con il minor numero di parole. E il minor numero delle sillabe, anche! (ride) Ad esempio: capita con i miei librettisti qualche momento di dialogo maieutico, quando devo insegnare io qualcosa. Mi ricordo che una volta per far comprendere ciò che intendevo, mi misi al computer e aprii il file del libretto completo di “Così fan tutte”. Tolti tutti gli a capo, il testo di “Così fan tutte” si riduce a sole sei cartelle di Word. Ecco, questo è un buon esempio di libretto.

Quando le viene commissionata un’opera, dunque, come avviene la relazione con il librettista? E con i registi?

Ogni volta è diverso! Può capitare che sia il teatro a proporre un librettista o un testo già scritto: mi è successo e anche con esiti eccellenti. Oppure c’è il caso in cui è il compositore che si mette alla ricerca di testi da ridurre a libretto e solo dopo si entra in contatto con gli autori. Io ad esempio ho avuto la fortuna di costruire un bellissimo rapporto con Amos Oz, con cui ho collaborato per mettere in musica due romanzi, fra cui “Lo stesso mare” prodotto dal Petruzzelli di Bari. Adesso sto lavorando con Stefano Jacini, uno dei rari casi in cui un libretto è quasi perfetto già al suo nascere. Mi riferisco al libretto di “Jeanne Dark”, la mia prossima opera. “Dark”, perché partendo da un testo di Voltaire, con il suo tono ironico, sarcastico, dissacratorio, si andrà un po’ fuori dall’iconografia tradizionale di Giovanna d’Arco. Un altro librettista con cui il dialogo è stato di immediata intesa, anche perché sembra quasi che sia nato per fare libretti d’opera, è inaspettatamente Michele Serra. Con lui ho lavorato a tre progetti: due melologhi e un’opera, “La madre del mostro”, su un suo soggetto originale.

Quello con i registi è un altro dialogo interessante, in cui possono avvenire dei veri scontri, che poi spesso si ricompongono. Un regista con cui ho avuto un dialogo molto importante è Federico Tiezzi, mentre un altro con cui ho lavorato tanto nel cinema e una sola, importantissima volta nel teatro è stato Ermanno Olmi, per Teneke alla Scala nel 2007.

Come si è svolto il dialogo con Olmi?

È stato bellissimo. Molto spesso i registi, non sapendo leggere la musica, quando devono mettere in scena un’opera nuova, hanno il problema di non riuscire ad immaginarsi in cosa la musica consista. Ricordo quindi una giornata meravigliosa, quando Ermanno e Arnaldo Pomodoro, che doveva realizzare scene e costumi, mi chiesero di incontrarci perché io gli raccontassi tutta la musica dell’opera. Mi ricordo che ci vedemmo verso le 18 del pomeriggio a casa mia e io raccontai descrivendo, a volte canticchiando, a volte gesticolando, le quasi 500 pagine di partitura fitta fitta di Teneke. Finimmo verso le 11 di sera. E questi due anziani signori, diligentissimi, prendevano appunti e non si distraevano mai. Poi verso la fine della serata ci siamo messi a tavola. Anche perché avevo preparato una cena di quelle per cui sono abbastanza famoso tra i miei amici! Dopotutto è importante che il dialogo, dopo il primo impatto, superi le formalità e diventi un dialogo tra amici. Altrimenti è quasi impossibile lavorare.

Lei ad Asiagofestival è stato presente, oltre che per un omaggio a Ermanno Olmi, anche come compositore ospite, soprattutto come compositore di musica da camera.

Sì, per le esecuzioni dal vivo ero rappresentato dalla musica da camera, ma d’altronde portare al Teatro Millepini una grande orchestra sinfonica sarebbe stato un po’ complesso! Proprio per questo nell’incontro pubblico alla Sala Conciliare del Comune ho parlato della mia estetica con esempi di musiche sinfoniche ed operistiche, per dare un’idea un po’ allargata del mio modo di scrivere. Certo, mi riconosco completamente nella mia musica da camera, ma è solo una parte di ciò che sono. In questi ultimi vent’anni, anzi, sono state molto più frequenti le commissioni per grossi organici. In questo momento oltre ad un’opera per il Maggio Fiorentino, sto lavorando ad un altro lavoro che andrà in scena alla Scala lo stesso anno, nel 2020, un’opera di teatro-danza. Sono anni che non scrivo un balletto e questo sarà anche qualcosa di diverso: sono certo sarà un dialogo estremamente interessante, un’occasione per imparare molto.

Lei però ha scritto molto e per moltissimi organici diversi, ce n’è qualcuno che predilige?

Non ho predilezioni, adoro scrivere qualsiasi tipo di musica! Nel 2021, ad esempio, verrà eseguito un mio nuovo quartetto, per il ventennale della formazione del Quartetto di Cremona. Tra l’altro, a differenza di alcuni miei colleghi che pensano la musica trovandola sulla tastiera del pianoforte, i primi abbozzi di un brano a me vengono fuori con una scrittura quartettistica: si può dire che le mie idee base nascano per quartetto d’archi. Però devo ammettere di amare molto il melologo, il brano per voce recitante e orchestra, che offre un dialogo unico con gli interpreti. In particolare ricordo un lavoro che feci in Scala con Chailly, “Prospero, o dell’armonia”, per cui collaborai con Ferdinando Bruni. O i lavori con Lella Costa. Oppure un altro recentissimo, che per me è stato entusiasmante: Eternapoli, realizzato con Toni Servillo e l’Orchestra del San Carlo. Anche lì il rapporto tra Servillo, me e Giuseppe Montesano, autore del testo, fu interessantissimo, un vero dialogo. È il bello del mestiere, tutti i giorni se ne impara una nuova!

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