Talento poliedrico, meticoloso studio sui testi letterari, attenzione minuziosa alla messa in scena: sono molti gli aspetti che portano a considerare Paolo Poli un punto di riferimento nel teatro italiano del secondo Novecento. Il suo archivio personale giunge alla Fondazione Cini di Venezia e a tal proposito abbiamo intervistato la Professoressa Maria Ida Biggi, direttrice dell’Istituto per il Teatro e il Melodramma, che ci ha guidato alla scoperta dello straordinario patrimonio dell’artista fiorentino.
Fondazione Cini: nuove acquisizioni
Può raccontarci cosa rappresenta per l’Istituto per il Teatro e il Melodramma questa importante acquisizione?
L’Archivio Paolo Poli è senza dubbio una tra le più importanti e prestigiose donazioni ricevute dall’Istituto per il Teatro e il Melodramma nel corso degli ultimi anni; i documenti contenuti in questo fondo (ritratti e fotografie di scena, copioni autografi, note di regia, corrispondenza, locandine e rassegna stampa degli spettacoli) sono una risorsa unica per studiare il lavoro di una delle principali icone dell’arte teatrale italiana del secondo Novecento.
Il fatto che gli eredi di Paolo Poli (in particolare il nipote Andrea Farri e la sorella Lucia Poli) abbiano deciso di donare all’Istituto i materiali d’archivio di questo grande artista, è per noi un segnale molto importante: una conferma del prestigio scientifico del lavoro di ricerca e divulgazione che da anni portiamo avanti. L’acquisizione di questo fondo si inserisce a pieno titolo nella recente tradizione di ricerca dell’Istituto, volta a ricostruire la scena teatrale italiana del secondo Novecento. Diversi sono ormai gli uomini e le donne di teatro dei quali l’Istituto conserva gli archivi e le biblioteche personali. Tra questi, Luigi Squarzina, Maurizio Scaparro, Santuzza Calì, Pierluigi Samaritani, Mischa Scandella, Giovanni Poli e Arnaldo Momo. L’archivio di Paolo Poli è, in quest’ottica, un tassello indispensabile.
Paolo Poli, uomo di teatro
Quali sono stati il ruolo e l’influenza di Poli nel Novecento, come uomo di teatro e, più in generale, di cultura?
L’impatto di Paolo Poli sul panorama culturale italiano del secondo Novecento è stato fortissimo, e non si è limitato alla scena teatrale – nel cui ambito è stato un grande innovatore. Le numerose apparizioni televisive e radiofoniche di Paolo Poli (ricordiamo che nel 1961, con Sandra Mondaini, ha condotto Canzonissima, uno dei programmi più noti e seguiti del tempo) confermano che la sua notorietà andava ben oltre il palcoscenico. Era un artista raffinato e colto: negli anni della sua formazione, mentre già recitava, si era iscritto all’università laureandosi a pieni voti con una tesi su Henry Becque.
Aveva poi insegnato letteratura francese in un liceo di Firenze, portando in cattedra la sua verve teatrale “per evitare di annoiare gli studenti”, come lui stesso aveva affermato. Il suo retaggio culturale era stato più volte messo in luce dalla critica, basti pensare a Camilla Cederna che, sulle colonne de «L’Espresso», lo aveva definito “il professorino che canta”. Paolo Poli si era innamorato di questa definizione e spesso l’aveva richiamata nel corso della sua carriera.
Uno stile inconfondibile
L’opera di Poli ha avuto una profonda influenza sulla società italiana e sul costume nazionale. Il suo stile personale, lieve e dissacrante, fatto di canzonette, filastrocche e poesie d’antan, si era distinto chiaramente sin dai suoi esordi sulla scena, e aveva ottenuto un successo immediato nonostante i suoi spettacoli fossero del tutto in controtendenza con il teatro del tempo: da un lato c’era il naturalismo che trovava espressione nei teatri stabili, dall’altro c’era la sperimentazione “off” delle avanguardie. Poli si collocava nel mezzo, unico rappresentante di una struttura capocomicale ormai andata in disuso e che, nonostante ciò, restava di enorme successo.
Il teatro di Poli si ispirava al varietà e al cabaret, facendo uso di una lingua che Giovanni Pannacci aveva definito “sottile e ironica, che corrode il sistema dall’interno”. Le sue interpretazioni en travesti, inserite nel contesto di spettacoli leggeri e popolari, avevano portato una ventata di freschezza rivoluzionaria nell’Italia del secondo Novecento. Poli era il rappresentante di un teatro al contempo graffiante e lieve, raffinato e dissacrante, difficilmente inquadrabile nelle canoniche definizioni di genere e contenuto.
Il fondo Paolo Poli
Che tipo di materiali sono presenti nella nuova acquisizione e quali, secondo lei, sono particolarmente degni di nota?
I materiali conservati nell’archivio, che in parte sono stati ordinati dallo stesso Paolo Poli, documentano la sua intera carriera artistica, dai primi spettacoli degli anni Cinquanta fino alle produzioni degli anni Duemila. Nei faldoni che compongono l’archivio confluiscono copioni, fotografie, lettere, note di regia, recensioni, locandine e programmi di sala.
La collezione fotografica è straordinariamente ricca, e permette di ricostruire con grande accuratezza tutti i principali titoli del repertorio di Poli. Numerosi sono i fotografi che lo hanno ritratto nel corso della sua carriera, tra questi cito Cristina Ghergo, Tommaso Le Pera, Mario Mulas, Fiorenzo Niccoli, Chiara Samugheo, Gianni Tatti dello Studio 67. Le immagini raccolte in tanti anni di lavoro sono perlopiù foto di scena, ma non mancano “dietro le quinte” e ritratti di Paolo Poli, dei suoi attori e dei suoi principali collaboratori.
I copioni autografi
Di grande valore sono anche i numerosi copioni autografi e annotati che si conservano nell’archivio: dai primissimi spettacoli alle più recenti produzioni, documentano l’accurato lavoro svolto da Paolo Poli sul testo letterario e sulla messa in scena.
La corposa rassegna stampa, testimonia la straordinaria popolarità dell’artista e l’impatto sociale e culturale della sua opera; include recensioni, interviste e approfondimenti culturali apparsi sulle più importanti testate giornalistiche nazionali, a firma di alcune tra le più grandi penne del giornalismo italiano.
Vorrei inoltre segnalare la presenza di lettere e telegrammi inviati a Paolo Poli da alcuni tra i maggiori esponenti della cultura e della società italiana del secondo Novecento, tra cui ricordo Arthur Adamov, Natalia Aspesi, Sylvano Bussotti, Ivo Chiesa, Gianfranco De Bosio, Peppino De Filippo, Pietro Garinei, Paolo Grassi, Vittoria Marinetti, Indro Montanelli, Rina Morelli, Elio Petri, Angelica Savinio, Sergio Tofano.
Le connessioni con Calì e Scaparro
I nuovi materiali di Paolo Poli dialogano con quelli già presenti nell’Istituto, in particolare con quelli di Santuzza Calì e Maurizio Scaparro: può parlarci di queste connessioni?
Come anticipato, l’archivio di Paolo Poli va ad arricchire in maniera sostanziale la collezione dell’Istituto, fornendo un apporto fondamentale alla linea di ricerca sul teatro italiano del secondo Novecento che portiamo avanti da qualche anno.
Il dialogo che l’archivio stabilisce con tutti quelli afferenti al secondo Novecento italiano, diviene ancora più esplicito nei casi di Maurizio Scaparro e Santuzza Calì. La storia artistica di Paolo Poli si intreccia con quella di Maurizio Scaparro in particolare nel 1981, quando quest’ultimo, direttore della Biennale Internazionale di Teatro Contemporaneo, invita Poli a presentare lo spettacolo Paradosso, tratto dal Paradoxe sur le comédien di Diderot, durante il Carnevale della Ragione. Affiancato dalla sorella Lucia, Paolo Poli presenta questo classico della letteratura settecentesca intervallando i brani di Diderot a un repertorio di poesie italiane del primo Novecento. Il successo è grandissimo.
Il sodalizio umano e artistico tra Paolo Poli e Santuzza Calì è, invece, uno dei più celebri e fecondi del teatro italiano. La loro collaborazione ha inizio a metà degli anni Settanta, con lo spettacolo I tre moschettieri, e prosegue fino al 2012 con Aquiloni, l’ultimo spettacolo che Paolo Poli porta in scena. L’immaginario della costumista siciliana, insieme a quello dello scenografo Lele Luzzati, si interseca perfettamente con quello del teatro di Paolo Poli: questo trio porta sui palcoscenici d’Italia alcuni tra i più riusciti spettacoli del secondo Novecento.
Una lezione di modernità
In quali aspetti delle opere e del pensiero di Paolo Poli, a suo avviso, possiamo trovare degli insegnamenti per la contemporaneità?
Senza dubbio l’opera di Paolo Poli ha rappresentato una grande lezione di modernità per l’Italia di allora, e quell’ironia sagace che è il tratto distintivo di tutti i suoi spettacoli non smette di essere incisiva per gli spettatori di oggi. È difficile parlare di “insegnamenti”: sono certa che lui stesso non lo troverebbe efficace. Possiamo senza dubbio dire che, se le sue opere continuano ancora oggi a divertire, affascinare e stupire, è perché nulla può darsi ancora per scontato, e che l’Italia di oggi è simile all’Italia di allora più di quanto saremmo portati a credere.