La Salome di Strauss al Bellini di Catania vale la stagione

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Vi sono spettacoli che valgono una stagione. È questo il caso della Salome di Richard Strauss, andata in scena al Teatro Massimo Bellini di Catania dopo trentacinque anni dalla sua ultima rappresentazione. La direzione è di Günter Neuhold, la regia di Pier Luigi Pizzi, responsabile anche di scene e costumi.

Salome a Catania

La scena è di grande impatto visivo, pur nella sua estrema essenzialità. Un’ellisse inclinata fa intravedere la cisterna in cui è rinchiuso il Battista e intorno alla quale si svolge l’azione. La disposizione dei personaggi è sempre rigorosamente calcolata, con rese geometriche dettate dal contrasto tra le forme curve dell’ellisse e i profili lineari dei soldati della corte di Erode. In alto la luna è una sfera specchiante in sintonia con il testo di Oscar Wilde, nel quale l’immagine del satellite si fa proiezione dei sogni, delle ansie e delle paure dei protagonisti.

Pure l’ellisse ha effetti di riverbero come a rifrangere l’incrociarsi degli ‘sguardi, che svolgono un ruolo centrale nell’interazione drammatica dei personaggi, tutta costruita su un obliquo gioco di specchi. Salome è oggetto dello sguardo ardente di Narraboth e di quello lascivo di Erode ma invoca invano lo sguardo del Battista, che rifiuta di guardarla. Il paggio ed Erodiade vogliono impedire che gli sguardi di Narraboth e del tetrarca si volgano a Salome, che a sua volta ignora il suo giovane amante.

Il bacio di Salome

L’effetto complessivo è tridimensionale e conferisce alla rappresentazione una dimensione di astrazione, che aiuta a distanziare l’urto brutale del racconto. Lo stringente sviluppo dell’azione è teleologicamente orientato al perturbante bacio necrofilo di Salome alla testa mozzata di Jochanaan. Con questo gesto si chiude il dramma, con tutte le sue implicazioni emozionali di raccapriccio, angoscia e sgomento (evidenti anche nelle reazioni di parte del pubblico).

Anche i movimenti e i gesti dei personaggi sono sobri e contenuti in coerenza con le posizioni dello stesso Strauss. Il compositore contestava qualunque lettura esasperata dell’opera e riteneva che dovesse spettare alla musica trasmettere l’incandescente atmosfera del dramma.

Sul podio Neuhold

La direzione di Neuhold concorre alla controllata eleganza dello spettacolo grazie a una lettura attenta e analitica della trama polifonica dell’opera. Risulta trasparente l’intreccio delle voci senza sacrificare la ricchezza e la trascinante bellezza dell’orchestrazione.

In un cast di pregio, degne di nota sono le interpretazioni vocali di Sebastian Holecek nella parte di Jochanaan, di Arnold Bezuyen in quella di Erode e di Jolana Fogasova in quella di Salome. Quest’ultima si è fatta apprezzare anche per le doti attoriali e coreutiche in specie nella scena della danza, che Pizzi libera da qualsivoglia cedimento a scontati e corrivi rimandi esotici. Suggestivo l’impiego del drappo bianco, che asseconda la sensuale morbidezza delle movenze di Salome dispiegate sulla superficie inclinata dell’ellisse. 

A sua volta il direttore restituisce senza forzature la declinazione orientale del tema della danza. Semmai ponendo in evidenza i suoi legami strutturali con il materiale motivico associato a Salome (sempre attraversato dall’intervallo di terza) ed esaltando piuttosto la tendenza all’arabesco.

E tuttavia gli urti dissonanti e le sovrapposizioni politonali, che affiorano a tratti nella partitura e la chiudono brutalmente, preannunciano la scrittura espressionistica di Elektra. Opera nella quale, andando oltre l’estetismo di Salome, Strauss saprà raccontare – sulla scorta del capolavoro di Hofmannsthal – la crisi della modernità.

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