Certamente non si può parlare di un allestimento che ha suscitato chissà quali clamori, ma non è nemmeno tra i più belli del momento. Accompagnato, infatti, da parecchia “indifferenza” e non da quel sentimento che spesso un po’ divide il pubblico, “La Favorite” di Donizetti, nella versione del regista spagnolo Allex Aguilera al Teatro Massimo di Palermo, se da un lato forse non passerà alla storia per originalità, dall’altro di certo non guasta la delicata trama di quest’opera. C’è da dire forse che, il curriculum di Aguilera potrebbe trarre in inganno, considerato che le aspettative attorno ad un regista – che vanta collaborazioni interessanti come quelle con i ballerini e coreografi La Fura dels Baus – sono sempre tante.
La bella e intricata, ma anche forse un po’ sfigata, storia d’amore che ruota attorno a “La Favorite” di Donizetti (che per l’occasione il Teatro Massimo ha proposto in lingua originale, cioè su libretto in lingua francese di Alphonse Royer e Gustave Vaez), è stata tuttavia una testimonianza ben equilibrata nella scelta del cast. In particolare tra i cantanti meritano un occhio di riguardo i baritoni dei due cast, per altro anche coetanei, Mattia Olivieri e Simone Piazzola. Entrambi nei panni di Alphonse XI re di Castiglia, hanno colpito per evidenti pregi e non solo tecnici. Mattia Olivieri, attira l’attenzione per una vocalità che non tarda a spiccare già dalla primissima “Vien, Leonora ai piedi tuoi”, una voce tecnicamente ben bilanciata, soprattutto nel passaggio verso il registro più acuto, e dal timbro evidentemente fulgido. Una voce che si fa presto a dire che “sfavilla”. Non è da meno Simone Piazzola, il quale porta con sé rispetto Olivieri, un’esperienza vocale ben più ampia. Il suo Alphonse però è la dimostrazione di una voce in continuo divenire e tecnicamente molto migliorata, rispetto ad appena qualche mese fa.
La “favorita” del re, Lèonor de Guzman, invece, cioè la brava Sonia Ganassi, conferma, le sue eccellenti doti vocali. D’altronde non poteva essere altrimenti in un repertorio di belcanto ottocentesco, nel quale si è più volte distinta. Brava anche la sua confidente Inès, Clara Polito. Ci si aspettava però qualcosa in più – visto il ruolo assai ben noto di Fernand – da John Osborn. Il tenore statunitense, dalla più che avviata carriera mondiale, infatti, non riesce a coinvolgere appieno. Troppo algido e dalla poca naturalezza. Anche là dove il ruolo e la musica inevitabilmente lo richiedono, se si pensa alla toccante “Spirto gentil” ad esempio. Sempre in gamba Marco Mimica, qui Balthazar il superiore del convento, e accettabile Blagoj Nacoski, Don Gaspar, l’ufficiale del re.
Sul podio dell’orchestra del Teatro Massimo, il promettente – già da diversi anni e tra i “più” nella fascia dei direttori sotto i quarant’anni – Francesco Lanzillotta. Con quella faccia da bravo ragazzo, un po’ furbetto, Lanzillotta spicca per una bella gestualità e, sebbene ancora giovane, anche le idee sembrano non venir meno.
Ripresi probabilmente da un vecchio Ernani, costumi e scene, di Francesco Zito, realizzati rigorosamente low cost, invece, né colpiscono, né danneggiano. Forse si potevano evitare i ballerini in stile arabo, con vestiti dorati e odalische al seguito, davvero poco attinenti con l’ambientazione d’epoca. Belli però, nonostante ciò, gli interni dei giardini d’Alcazar e anche parti del convento.
Un allestimento che nonostante tutto va apprezzato nel finale, quando Lèonor, dopo aver perso l’amato Fernand – ritornato in convento una volta scoperto che la sua sposa era anche l’amante del re – vestita con un abito bianco quasi redentore, si reca nel luogo di ritiro dei frati a Santiago de Compostela, implorando un perdono che avrà, in questo caso, tutto l’aspetto di una, per l’appunto, redenzione possibile. Una redenzione che ne farà una donna di nuovo salva. Insomma, il finale c’è stato, anche se gli applausi non sono sembrati poi così scroscianti.
Immagine di copertina Ph. Rosellina Garbo