La drammaturgia della paura: i Dialogues des Carmélites a Bologna

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Parlavo (nel post dedicato all’Andrea Chénier scaligero) della tendenza, tipica della drammaturgia otto-novecentesca, a rappresentare la Rivoluzione (francese) come una “macchina tritatutto”. Questo vale perfettamente per i “Dialogues des Carmélites” di Poulenc, cui ho assistito al Teatro Comunale di Bologna.

Una produzione bellissima di taglio intimista e austero che metteva in risalto sia sul versante musicale (direttore d’orchestra: Jérémie Rhorer) sia sul versante teatrale (regista: Olivier Py) la “drammaturgia della paura” messa a punto da Poulenc. La costruzione musicale, realizzata come un montaggio di figure ostinate, crea un “meccanismo” dal quale è impossibile sfuggire. Ogni possibilità di sviluppo è escluso dalla partitura. La situazione drammatica si rispecchia nella struttura musicale. E anche l’allestimento (scenografo: Pierre-André Weitz), concepito come un “gioco a incastri”, riproduce il “meccanismo”.

Questo rigore è spinto fino all’intransigenza, come quando durante il famoso Salve Regina, che man mano si assottiglia perché diminuiscono le voci che lo intonano (le suore salgono infatti al patibolo una dopo l’altra), si rinuncia a far risaltare troppo il “sound effect” della ghigliottina. Il secco e implacabile rumore della lama (della ghigliottina, ma anche del “meccanismo”) risulta quasi interiorizzato.

Lì per lì mi ha quasi deluso, sintonizzato com’ero sul suono molto enfatico che avevo sentito qualche anno fa alla Scala nella messa in scena di Robert Carsen (direttore Riccardo Muti), ma poi sono rimasto conquistato da quella sobrietà angosciante, inflessibile. Lo stesso vale per il vasto gruppo vocale dal quale non deve primeggiare nessun interprete: è la collettività di tutte le voci (e non la performance di qualche singolo cantante) che deve contare. Naturalmente questo non significa che Blanche (Hélène Guilmette) o la priora Madame de Croissy (Sylvie Brunet) o Soeur Constance (Sandrine Piau) non siano personaggi più memorabili di altri, ma il loro peso vocale e drammaturgico non deve mai, neppure per un momento, diventare solistico.

L’unica eccezione è forse quella della terribile morte della prima priora (Madame de Croissy, appunto). Una “grande scena” realizzata da Py con una vertiginosa prospettiva dall’alto che schiaccia ancora di più il personaggio alla dimensione terrena. Tutta l’opera ruota intorno alla paura, anzi alla “paura della paura”, dunque all’ansia, incarnata da Blanche. Ella è segnata da questo stato emotivo fin dalla nascita. In fondo è un personaggio sgradevole, che più cerca di fuggire dal “meccanismo” più si ritrova invischiata in esso. Alla fine, infatti, quando Blanche torna a morire con le sue consorelle, e salendo sul patibolo riceve l’ultimo sorriso di Constance, ha definitivamente superato la paura o ha pagato ad essa l’estremo tributo?

Immagine di copertina ph. Rocco Casaluci

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