70 anni fa, l’invenzione del pianoforte “preparato” di John Cage segnò una svolta nel percorso creativo del compositore. Ecco la sua storia

Forse a instillare in John Cage il gusto di un’inesauribile curiosità per il nuovo aveva contribuito l’essere figlio di un inventore, che proprio nell’anno in cui John nacque, il 1912, aveva sperimentato un sottomarino di sua progettazione; non ebbe fortuna solo perché non utilizzabile per fini militari. Forse anche per questo nel destino di Cage era scritto che, oltre che convinto pacifista, si sarebbe dimostrato capace di spargere “invenzioni” anche nella musica, aprendo lo spazio sonoro a soluzioni inedite e a una concezione radicalmente nuova del rapporto con i suoni. Con ottime ragioni Arnold Schönberg, che lo ebbe allievo per un paio d’anni, di lui disse: «Non è un compositore; è un inventore di genio».
La sua “invenzione” più celebre fu il pianoforte “preparato”, per il quale, settant’anni fa, completò Sonatas and Interludes; è il suo lavoro più importante per questo strumento, scritto fra il 1946 e il 1948. Venne eseguito per la prima volta dallo stesso John Cage al Black Mountain College, in North Carolina, il 6 aprile 1948. Esecuzione cui seguì, l’11 gennaio 1949 alla Carnegie Hall di New York, quella (da alcuni ritenuta la vera prima integrale) della pianista Maro Ajemian, dedicataria della composizione, che fin dal 1946 ne aveva presentate alcune parti in pubblico.
Una vita avventurosa
A questo inedito allargamento delle possibilità del pianoforte, John Cage era giunto una decina d’anni prima con la composizione di Bacchanale nel 1938 (datazione indicata dallo stesso compositore e condivisa da diversi biografi e storici; altri sostengono trattarsi più probabilmente del 1940). Cage vi arrivò dopo un lungo periodo di formazione giovanile, che lo aveva portato a ipotizzare di diventare pastore metodista, architetto, pittore, poeta e scrittore; o anche pianista, ma dedito esclusivamente alle composizioni di Edvard Grieg.
Dopo un vagabondaggio di molti mesi in Europa, ricco di decisive esperienze musicali, negli anni della Grande Depressione cerca di sbarcare il lunario come può. S’improvvisa conferenziere a pagamento per casalinghe, pubblicizzando di casa in casa le proprie conferenze sull’arte e la musica moderne; specifica di non conoscere gli argomenti di cui avrebbe parlato, ma promette di informarsi.
Riciclaggio rifiuti e water ballet
È proprio negli anni ’30 che sente la necessità di un allargamento del campo sonoro. Si dedica agli strumenti a percussione, anche “impropri”, come mobili di casa od oggetti recuperati in depositi di spazzatura. Anche nelle sue frequenti collaborazioni con danzatori, John Cage approfondisce la ricerca sulle percussioni. Sperimenta anche un originale “gong acquatico” quando collabora a una coreografia per un “water ballet”, cosicché i nuotatori potessero sentire i suoni anche sott’acqua.
Elabora anche un personale metodo seriale su venticinque note. Henry Cowell, suo maestro, gli consiglia allora lo studio della dodecafonia di Schönberg, all’epoca espatriato a Los Angeles a causa delle persecuzioni antiebraiche in Germania.
Cage viene ammesso alla sua classe di armonia, ma confessa di non avere soldi per pagare le lezioni. Schönberg accetta di insegnargli gratuitamente, dietro l’impegno, però, di votarsi completamente alla musica. Frequenta la classe per due anni, ma giunge alla conclusione di non avere alcuna predisposizione per l’armonia, basata su rapporti fra i suoni ancora radicati nella tradizione.
Dodecafonia africana
Si convince dell’inadeguatezza di qualunque metodo compositivo non in grado di inglobare sonorità diverse da quelle tradizionali, sull’esempio di Cowell, che aveva aperto alla musica americana la conoscenza delle sonorità del lontano Oriente, influenzando anche altri compositori della West Coast, come Harry Partch e Lou Harrison. Le vicende che portano a Bacchanale, la sua prima composizione per pianoforte preparato, sono abbastanza note.
Nel periodo trascorso alla Cornish School di Seattle come accompagnatore della classe di danza moderna di Bonnie Bird, la danzatrice nera Syvilla Fort gli chiede di scrivere un pezzo di musica di carattere “africano” per una sua coreografia. Cage pensa a un ensemble di percussioni, troppo ingombrante, però, per lo spazio a disposizione. Ripiegando sul pianoforte, valuta dapprima la possibilità di una composizione seriale, per una, improbabilissima, “dodecafonia africana”.

Fra le corde
«Mi venne in mente», raccontò in seguito, «il suono del pianoforte quando Henry Cowell percuoteva le corde o le pizzicava. Vi faceva scorrere gli aghi di metallo e così via. Andai in cucina, presi un piatto per torte e lo misi con un libro sulle corde; così mi accorsi che stavo procedendo nella direzione giusta».
Giunge così a infilare fra le corde piccoli oggetti, come viti, guarnizioni di gomma, bulloni, dadi; ottiene così sonorità nuove e imprevedibili. Il “pianoforte preparato” nasce fra l’entusiasmo degli amici. «Dannazione! Se solo ci avessi pensato!», esclamò Lou Harrison. Apre nuove vie verso l’indeterminazione del suono. Talvolta con curiose conseguenze.
«L’assenza di armonia nella mia musica ricorda spesso agli ascoltatori la musica orientale. A causa di ciò, il Book of Music (per due pianoforti preparati, del 1944, ndr) venne usato dall’OWI (Office of War Information) durante la guerra, come ‘Supplemento Indonesiano n.1’, il che significava che, ogni volta che non c’era nulla di urgente da trasmettere sulla radio nel Pacifico del Sud, veniva utilizzata questa musica, con la speranza di convincere gli abitanti che l’America amava l’Oriente».
Verso Sonatas and Interludes
Agli anni ’40 va ascritta la maggior parte delle sue composizioni per pianoforte preparato, decisive anche per l’evoluzione della sua concezione del rapporto suonosignificato.
I sei pezzi di The Perilous Night (1943-44) avrebbero dovuto esprimere «la solitudine e il terrore che sopraggiungono» quando l’amore diventa infelice. Eppure sono accolti da una totale incomprensione. Ciò stupisce molto Cage e lo convince che le emozioni individuali debbano rimanere al di fuori delle sue composizioni.
Negli stessi anni, si intensificano i suoi interessi verso le filosofie orientali. Legge gli scritti di Ananda Coomaraswamy e segue le lezioni di Daisetz Suzuki sul buddismo zen alla Columbia University. Trova conferme della necessità di una musica non più condizionata dalle espressioni individuali. Giunge così nel 1948 a completare la composizione di Sonatas and Interludes, sedici brevi Sonate interpolate da quattro Interludi. Qui, per superare i condizionamenti della centralità dell’individuo, propria di tutta la tradizione della musica occidentale, Cage si proponeva di esprimere le “nove emozioni permanenti” hindu, culminanti nella Tranquillità.
Il vecchio e il nuovo
Con il Concerto per pianoforte preparato e orchestra da camera (1950-51), intende rappresentare il dramma del rapporto “fra il pianoforte, che resta romantico, espressivo, e l’orchestra che, invece, segue i principi della filosofia orientale”. È un dramma in tre tempi; l’ultimo, in cui i silenzi diventano sempre più integrati alla struttura stessa della composizione, rappresenta il convergere del pianoforte (l’allievo) sulla visione del maestro (l’orchestra).
Dopo il Concerto, Cage abbandona quasi del tutto il pianoforte preparato. Dopo l’introduzione delle operazioni casuali con Music of Changes (1951, per pianoforte, non preparato), arriva nel 1952 al culmine di questo processo di progressivo straniamento dell’io dalla composizione con 4’33”, in cui, per il tempo dato, l’assenza di ogni intervento da parte dell’esecutore apre completamente ai suoni prodotti dalla “natura”, non condizionata in alcun modo dall’espressione individuale.
Un lungo cammino percorso spesso con leggerezza e umorismo; ma anche con lucida, talvolta tormentata consapevolezza. A scrivere il “pezzo silenzioso”, da molti inteso come pura provocazione, Cage sarebbe arrivato solo dopo anni di riflessioni. E anche in seguito tenne sempre aperta la propria mente a quanto di sorprendente potesse accadere, nell’arte e nella vita.
«Non riesco proprio a capire perché la gente sia così spaventata dalle idee nuove: io sono spaventato dalle vecchie».
di W. Edwin Rosasco