Ecco, sono finiti con un concerto eccellente del gruppo di Jan Garbarek nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano gli undici giorni della edizione 2017 del festival JazzMidue, lo chiamiamo così forse per distinguerci da altri.
Per quasi due settimane, senza interruzione, si è ascoltato jazz dovunque in città, perfino troppo, perché JazzMidue si è impadronito anche di qualunque suono nero-americano già ci fosse qua e là nelle strade e nei locali, e ha fatto benissimo.
Naturalmente ogni cultore di questa musica ha setacciato assai il programmone secondo i propri gusti e le proprie disponibilità ed è stato contento. A maggior ragione useremo qui lo stesso criterio, cercando però di approfondire quanto sia possibile. Il primo nome di grande importanza che abbiamo incontrato in ordine cronologico al Teatro dell’Arte è stato Lee Konitz con il suo sax alto e i suoi novant’anni, coadiuvato da Dan Tepfer pianoforte, Jeremy Stratton contrabbasso e George Schuller batteria. Siamo consapevoli di averlo ascoltato per la prima volta via radio quando aveva sedici anni (due anni prima che incontrasse il suo maestro di musica e di vita, Lennie Tristano) e già Konitz offriva al mondo i suoni lievi e raffinati del cool jazz. Oggi è il più noto e amato dei pochi senatori che ancora sopravvivono e non vogliono smettere di suonare. Per Tristano, scomparso nel novembre 1978, conserva un’autentica venerazione. Basta nominarlo e subito diventa preda di una profonda nostalgia. «Tristano» dice come se confidasse un segreto «è stato un musicista illustre e un insegnante di straordinario livello. Ancora oggi porto con me varie registrazioni della sua musica e suono quando posso sui suoi ammirevoli assoli, esattamente come faccio con le suites per violoncello solo di Bach e simili».
Dopo il grande vecchio e tante altre cose buone da ascoltare, compaiono insieme due nomi in grado di evocare certezze, ricordi meravigliosi e qualche interrogativo: il pianoforte di Brad Mehldau e il mandolino e la voce poco noti in Italia di Chris Thile, ospitati in uno dei locali più capienti di Milano, il Teatro Dal Verme. Mehldau, vent’anni dopo la scoperta epocale di Perugia, è in grado di assicurare da solo l’esaurito, ma chi ha già assaporato il cd sa che il partner non è da meno. Il trionfo arriva in un’ora e mezza di musica bella e leggibile. Mehldau è impeccabile, Thile ha tecnica ed espressività sia come strumentista insolito per il jazz, sia come cantante, e il cd e il vinile vanno a ruba già nel foyer alla fine del concerto.
Ventiquattr’ore dopo si torna al Teatro dell’Arte per un appuntamento imperdibile con la magica chitarra “colorada” di Bill Frisell e il trio d’archi di Jenny Scheinman, Eyvind Kang e Hank Roberts. Si tratta del progetto “Music for Strings” dedicato alla musica popolare degli Stati Uniti che è stato presentato per la prima volta a New York al Lincoln Center. Il viaggio dura un secolo attraverso il Ragtime di Fats Waller, le malinconie notturne di Thelonious Monk e naturalmente Miles Davis dal quale Frisell è stato profondamente influenzato. Non mancano inoltre impulsi provenienti dal blues, dal rock’n’roll e dal mondo della musica per film.
Come si è anticipato all’inizio, la serata conclusiva ha luogo nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano. Primattore è il sassofonista e compositore norvegese Jan Garbarek che usa il sax tenore e il soprano ed è accompagnato da Rainer Bruninghaus pianoforte, dall’indiano Trilok Gurtu batteria e percussione e da Yuri Daniel contrabbasso. Nel programma ufficiale di JazzMi Garbarek è giustamente citato per aver affermato che «la voce umana è il mio ideale». Verissimo, purché non si sostenga che quella sua voce strumentale talvolta urlata al massimo sia stata adottata in occasione degli incontri di Garbarek con il quartetto vocale Hilliard. Tendenzialmente, il sassofonista ha quasi sempre suonato così, soprattutto al sax soprano.
Immagine di copertina: Brad Mehldau Ph. Michael Wilson