In principio era Sketches of Spain, capolavoro di Miles Davis. Un album leggendario uscito per la Columbia e registrato tra la fine del 1959 e i primi mesi dell’anno seguente, di cui in questo periodo viene celebrato il sessantesimo anniversario. Un disco folgorante che divise la critica. Piacque molto ad alcuni ma fu pure duramente contestato da altri, forse perché troppo in anticipo sui tempi, come spesso accadde al grande trombettista afroamericano: «Non è jazz, ma musica leggera d’alto bordo», tuonarono i detrattori. Ebbene, in quel lavoro Davis – complici gli arrangiamenti innovativi del geniale Gil Evans, che fu il primo a inserire in un’orchestra jazz strumenti insoliti come il corno francese, l’oboe, il fagotto e l’arpa – riprendeva il celebre adagio del Concierto de Aranjuez di Joaquín Rodrigo: un esperimento pionieristico di fusione tra musica accademica, improvvisazione ed echi di folk spagnolo, dove alla chitarra solista si sostituiscono la tromba o il flicorno di Miles. Non solo. Nel medesimo album trovavano posto anche l’ipnotica versione di Canción del fuego fatuo (ribattezzata Will o’ the Wisp) di Manuel de Falla, più un magnifico tris di composizioni di Gil Evans ispirate al flamenco e al mondo ispanico. Per la cronaca, il disco non piacque nemmeno a Rodrigo, insoddisfatto di come era stata riletta la composizione che gli diede la fama. E tuttavia, osservò in modo pungente Davis nella sua autobiografia, non per questo il musicista spagnolo rifiutò le royalty che gli arrivano in seguito alla pubblicazione di Sketches of Spain.
Nei decenni a venire, grazie a giganti come Paco de Lucía (il Jimi Hendrix spagnolo, scomparso nel 2014, compagno d’avventure di jazzisti del calibro di John McLaughlin, Larry Coryell, Al Di Meola e Wynton Marsalis) e ad artisti quali Pedro Iturralde, Chano Domínguez, Pepe Habichuela, Tomatito e altri ancora, jazz e flamenco hanno spesso dialogato in modo fecondo.
E oggi – sulle orme del pianista Dorantes, un protagonista di questo genere musicale – arriva Daniel García (photo cover). Travesuras (Act Music, distribuzione Egea) è il nuovo lavoro del giovane virtuoso iberico del pianoforte in trio con una ritmica formata dal contrabbassista Reinier Elizarde “El Negrón” e dal batterista Michael
Olivera: ospite speciale al flauto un veterano del flamenco jazz, ossia Jorge Pardo. In repertorio ci sono anche Potro de rabia y miel – un brano composto dal grande cantante andaluso Camarón de la Isla e da Paco de Lucía – e un omaggio a Frederic Mompou, esponente catalano dell’impressionismo musicale di Ravel e Debussy. Del resto, spiega García, formazione accademica seguita da studi al Berklee College of Music di Boston, «flamenco e jazz sono fratelli e hanno cose essenziali in comune: un impegno totale nel momento della creazione musicale e la profonda esperienza del momento». Nel suo stile si ritrovano cadenze e armonie della classica, che poi prendono una piega flamenco o si dissolvono in potenti momenti swing. «Il mio obiettivo è portare la musica spagnola in un nuovo contesto attraverso l’improvvisazione e rendere invisibili tutte le linee di demarcazione stilistiche. La parola travesura significa scherzo e descrive il tipo di comportamento innocente e ingenuo che viene spesso osservato nei bambini quando scoprono il mondo. Una bella metafora per quello che io sto cercando di fare: guardare la musica da un punto di vista inedito. Mi libero dalle aspettative, vado alla deriva e cerco di capire se emerge qualcosa di nuovo e di interessante».
Ivo Franchi