#Jazz Pat Metheny Goes Classic e altre storie di chitarristi

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Riavvolgiamo il nastro della memoria. Nel 1994 il compositore berlinese Klaus Schulze – figura di punta del krautrock e fondatore dei “cosmici” Ash Ra Tempel, oltre che colonna dei Tangerine Dream – registrò l’album Goes classic: un disco in cui rivisitava Brahms, Schubert, Beethoven e altri maestri in chiave elettronica. Ebbene Goes classic potrebbe essere il titolo del nuovo lavoro di Pat Metheny (ph. John Peden). In realtà, il cd s’intitola Road to the Sun, esce per la Bmg Modern Recordings ed è il primo progetto “classico” (le virgolette sono d’obbligo…) dell’americano, uno dei grandi protagonisti della chitarra tra jazz, folk, fusion e dintorni.

A.it #Jazz Pat Metheny

Amato per l’incredibile fantasia di improvvisatore e per il virtuosismo inarrivabile, l’artista del Missouri è tra i rari musicisti capaci di reinventarsi sempre. E, per l’occasione, stacca la spina della sua sei corde elettrica, si riconverte al suono acustico e ci sorprende con effetti speciali. Come? Mettendo da parte il proprio strumento e cimentandosi nel ruolo di compositore puro. Registrato tra New York City e la California, l’album – che ha come filo rosso il sole e la luce – è suddiviso in tre parti. La prima suite, Paths of light, è affidata dal leader a Jason Vieaux, vincitore di un Grammy nel 2015 e considerato come «il più espressivo chitarrista classico della sua generazione». La seconda suite, quella che dà il titolo al cd, vede in prima linea il Los Angeles Guitar Quartet di John Dearman, Matthew Greif, William Kanengiser e Scott Tennant («tra le migliori band del mondo», assicura Pat). L’effetto è straniante: se è vero che Metheny non suona, la sua ombra cinese di strumentista emerge in più di una circostanza. Solo nel finale il virtuoso di Lee’s Summit esce allo scoperto. «Road to the Sun» si chiude infatti con gli otto, mistici minuti di Für Alina, gioiello di Arvo Pärt: una composizione che fu originariamente concepita dal maestro estone per pianoforte e che qui viene eseguita dal jazzista con la famosa chitarra Pikasso a 42 corde. Chapeau!

A chi ama la sei corde raccomandiamo altri album di recente uscita. Per esempio Love Hurts (Mack Avenue, distribuito da Egea), dove l’ottimo Julian Lage, californiano, classe 1987, fa zapping tra il free di Ornette Coleman, le composizioni di Keith Jarrett e le hit di Roy Orbison. Dalla Norvegia con amore arriva l’over settanta Terje Rypdal, la cui musica evoca la magia delle aurore boreali: Conspiracy (Ecm, distr. Ducale) è un concentrato di suoni psichedelici, energia alo stato grezzo e improvvisazione selvaggia che si ricollega ai primi dischi del chitarrista, sodale di Jan Garbarek. Classe al top per Angular Blues (Ecm), dove il trio del viennese Wolfgang Muthspiel con gli strepitosi Scott Colley al contrabbasso e Brian Blade alla batteria dà lezioni di stile. Last but not least, è un godimento per l’intelligenza ascoltare il super gruppo che il trombettista Ron Miles schiera in Rainbow Sign (Blue Note/Universal): uno dei più fascinosi e originali album di questo periodo anche grazie alla sulfurea chitarra di Bill Frisell, un altro musicista i cui dischi regalano sempre piaceri nuovi.

A.it # Jazz Lage, Rypdal, Muthspiel, Miles

 

Ivo Franchi

 

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