Conto alla rovescia… Il 14 ottobre, in un periodo non certo memorabile come quello che stiamo vivendo a causa dell’epidemia di coronavirus, si celebra una ricorrenza speciale: i trent’anni dalla scomparsa di Leonard Bernstein. Un artista classico e, al tempo stesso, nostro contemporaneo. Un genio eclettico, vulcanico, curioso, a volte eccessivo. Amato da molti, ma anche odiato da qualcuno. Per esempio, dallo scrittore e giornalista statunitense Tom Wolf, il quale nel suo celeberrimo saggio sui radical chic (pubblicato in origine nel 1970 sul New York Magazine) mise alla berlina il compositore e direttore d’orchestra. Motivo: la sua militanza politica progressista e il famoso party con vip e celebrità che, insieme alla moglie, l’attrice Felice Montealegre, aveva organizzato nel suo lussuoso attico newyorkese di Park Avenue per raccogliere fondi a favore del gruppo radicale afroamericano delle Pantere Nere.
Altre epoche, altro clima e altre storie. Oggi Lenny viene ricordato per la sua musica e con qualche mese di anticipo rispetto alla ricorrenza da un jazzista sui generis: è Gabriele Coen, il cui ultimo album si intitola appunto Leonard Bernstein Tribute (Parco della Musica, distribuzione Egea). Alla testa di un quintetto collaudato (Alessandro Gwis, piano, Bernardino Penazzi, violoncello, Danilo Gallo, contrabbasso, e Zeno De Rossi, batteria, nella foto) il clarinettista e sassofonista romano ci regala una cavalcata sonora nel mondo del maestro. Undici brani in equilibrio tra jazz, musica da camera e suggestioni folk: dai super classici di West Side Story (Somewhere, Tonight e l’immancabile Maria) fino a pagine meno note, eppure altrettanto intense, come quelle d’ispirazione ebraica (Ilana, The Dreamer, il primo movimento dei Chichester Psalms). Del resto, Coen condivide con l’autore diThe Age of Anxiety l’ascendenza ebraica e la vocazione a esplorare la musica senza preclusioni. Va ricordato che è l’unico italiano presente come leader nel catalogo dell’etichetta Tzadik, guidata dal compositore e guru del jazz downtown newyorkese John Zorn (per la cronaca i due album sono Awakening e Yiddish Melodies in Jazz). Quello di Coen non è certo il primo omaggio jazzistico a Lenny: ricordiamo, per esempio, lo storico disco West Side Story dell’orchestra di Stan Kenton (anno Domini 1961, per la Capitol) e lo stiloso tributo del quartetto di Dave Brubeck con Paul Desmond al contralto (Brubeck Plays Bernstein, Essential Jazz Classics, distribuito da Egea); ma l’operazione del nostro musicista è originale, intelligente e piena di sorprese.
A proposito di improvvisazione made in Italy. La fase 3 della pandemia è segnata da un risveglio – sia pur timido – dell’attività concertistica e degli eventi. Nel parco di Villa Osio a Roma, per esempio, prende il via la rassegna Casa del Jazz Reloaded. In cartellone dal 1° luglio al 7 agosto ci sono ospiti stranieri “doc” come Michael League e Bill Laurence degli Snarky Puppy e molti big della nostra scena: dai pianisti Franco D’Andrea, Danilo Rea, Enrico Pieranunzi, Giovanni Guidi e Rita Marcotulli ai trombettisti Fabrizio Bosso e Luca Aquino, fino ai sassofonisti Javier Girotto, Stefano Di Battisti e Rosario Giuliani (di cui è uscito l’eccellenteLove in Translation, un cd per la Jando Music). Da non perdere, il 7 luglio, l’esibizione di Gianluca Petrella: il brillante trombonista pugliese ha da poco firmato, in trio con il chitarrista norvegese Eivind Aarset e il percussionista Michele Rabbia, Lost River (Ecm, distribuito dalla Ducale), seducente e avventuroso progetto sonico dove convivono improvvisazione jazzistica ed elettronica, umori ambient e sperimentazione.
Info: gabrielecoen.com; casajazz.it
Ivo Franchi