#Jazz Keith Jarrett: 75 anni aspettando il ritorno

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Diamo i numeri: 75 e 79. Che cosa sono? Rispettivamente gli anni che l’8 maggio scorso ha compiuto Keith Jarrett e gli album che, in quasi mezzo secolo di carriera, il geniale quanto controverso pianista di Allentown ha registrato per l’Ecm. Fughiamo ogni dubbio: anche se l’artista ha inciso una serie di dischi per altre etichette storiche (dalla Atlantic alla Impulse e alla Columbia) il corpus fondamentale della sua vasta opera è legato alla label di Monaco di Baviera e al sodalizio con il produttore tedesco Manfred Eicher. A partire dal fulminante esordio per piano solo del 1972, Facing You (meno famoso ma allo stesso livello dell’arcinoto concerto di Colonia) fino all’ultimo capitolo, Munich 2016, intenso doppio dal vivo uscito alla fine dell’anno scorso, ennesima esplorazione in solitaria dello strumento. Tutto materiale discografico che oggi, per la gioia degli appassionati, viene ripubblicato e offerto a un prezzo speciale in occasione del compleanno del maestro.

Malauguratamente non si hanno altre notizie recenti del nostro. È in arrivo un nuovo cd – dicono da casa Ecm – e tuttavia ancora non sono stati decisi né il titolo né la data di pubblicazione. Per non parlare di novità sullo stato di salute di Jarrett, molto riservato sulla sua vita privata. Nel 2018, per la 62esima edizione della Biennale Musica di Venezia, il pianista aveva ricevuto il Leone d’oro alla carriera. Però non era riuscito a ritirarlo né a tenere il concerto previsto per festeggiare: un grave problema di salute lo aveva costretto ad annullare la performance e la tournée in programma. Da allora tutto tace.

A chi ha nostalgia delle sue performance non resta che (ri)ascoltare i suoi album, quanto mai vari per tipologie e genere. Il popolo del jazz ha nel cuore i lavori dello Standards Trio, con i fedeli Gary Peacock al contrabbasso e Jack DeJohnette alla batteria (tra gli innumerevoli cd assolutamente da non perdere il doppio live «Tribute», del 1990, e il monumentale box di sei dischi At the Blue Note – The Complete Recordings). Ma un ritratto degno di questo nome del Jarrett improvvisatore non può prescindere dalle sue registrazioni accanto al quartetto europeo con Jan Garbarek (Belonging, 1974) e a quello americano con Dewey Redman (The Survivors’ Suite, 1978).

C’è poi il Jarrett rigoroso interprete di Johann Sebastian Bach (le Goldberg Variations, del 1989), diShostakovich (24 Preludes and Fugues, Op. 87, 1992) e di artisti contemporanei (Arvo Pärt e Lou Harrison). Senza dimenticare i suoi esperimenti in qualità di compositore colto (in Luminessence, 1975, e Arbour Zena, dell’anno successivo, si cimenta con la scrittura per archi). Insomma, ce n’è abbastanza per riconsiderare la carriera di uno dei maggiori artisti viventi, celebre soprattutto per le sue improvvisazioni pianistiche.

È un filone, quello del piano solo, molto caro al patron dell’Ecm Eicher. Lo dimostrano una coppia di album freschi di stampa e davvero interessanti: Discourses», del norvegese Jon Balke, e Promontoire, dell’artista transalpino Benjamin Moussay. Il primo si concentra sul suono del pianoforte integrato a paesaggi sonori a più strati realizzati con materiale elaborato elettronicamente: «Riverberi e riflessi del mondo che vengono distorti», spiega il musicista nordeuropeo. Il collega francese Moussay, invece reduce dagli acclamati lavori con il clarinettista e sassofonista di Lione Louis Sclavis (SourcesSalt and Silk Melodies e Characters on a Wallsd), firma invece un esordio solitario lirico, di grande fascino e profondità. Tra i migliori lavori del 2020.

Ivo Franchi

Photo © Rose Anne Colavito / ECM Records

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