Navighiamo in acque tempestose. E per questo abbiamo bisogno delle sirene. Sirene benevole, sia ben chiaro. Figure-simbolo che, a differenza di quelle che rischiavano di far perdere il senno a Ulisse, ci aiutino col loro canto ammaliante a ritrovarci e a recuperare la rotta. Oggi che – a causa della pandemia – il contatto fisico ci è precluso, è la voce umana a venirci in soccorso.
Soprattutto quella femminile. In proposito arrivano provvidenziali sul mercato discografico due album assai raccomandabili: This Dream of You (Verve, distribuzione Universal), nuovo progetto di Diana Krall (in foto), e Lost Ships di Elina Duni (Ecm, distribuito dalla Ducale). Diverse per età, formazione e provenienza geografica, queste musiciste sono capaci di condurci verso altri lidi e ci lasciano intravedere la luce in fondo al tunnel di cui siamo prigionieri.
Cominciamo dalla seconda, la meno famosa della coppia. Un’artista che veleggia verso i quarant’anni, origini albanesi ma cresciuta nella cosmopolita Ginevra. Dal 2012 sotto contratto con l’etichetta tedesca di Manfred Eicher, la vocalist di Tirana firma il suo ottavo lavoro, questa volta in coppia con il chitarrista londinese Rob Luft: una dozzina di brani tra il patrimonio folclorico del Mare Nostrum e l’improvvisazione di matrice afroamericana. Le “navi perdute” cui fa riferimento il titolo sono quelle dei migranti, già sotto la lente della Duni nel disco uscito un paio d’anni fa, Partir. «Qui ci sono canzoni che hanno influenze del passato, con il suono dell’Albania e il folk mediterraneo sempre presenti», ha spiegato la Duni. Ma, ha aggiunto, «volevamo anche esplorare altre radici musicali: jazz ballad senza tempo, canzoni francesi, brani popolari statunitensi…».
Così la voce calda di Elina – che, oltre alla propria lingua, padroneggia inglese, francese e italiano – passa da Bella ci dormi (tradizionale salentino) a classici del repertorio di Sinatra (I’m a Fool to Want You) per concludersi con la minimalista e struggente ripresa di Hier encore di Charles Aznavour («Solo ieri / avevo vent’anni / e giocavo con la vita / come si gioca con l’amore»). Il tutto con uno stile asciutto e spogliato di ogni orpello, capace di far distillare l’emozione.
Su una lunghezza d’onda analoga alla Duni – ma con un côté più sperimentale – c’è la nostra Elsa Martin. Il suo Al centro delle cose (Artesuono), rarefatta esplorazione dell’universo poetico di Pierluigi Cappello, costituisce il secondo passo a due tematico accanto al pianista Stefano Battaglia dopo il precedente Sfueâi, dedicato sempre a lui e ad altri poeta friulani (da Pasolini a Novella Cantarutti).
Da tutt’altra parte del mondo viene Diana Krall. Il nuovo album della star canadese – diciottesimo capitolo della sua super premiata carriera – è un lavoro intimista, dove ballad ed evergreen del jazz e non solo la fanno da padroni. A 56 anni Lady D recupera addirittura un brano del Bob Dylan minore (This Dream of You da Together Through Life, album del 2008) e lo reinventa in modo a dir poco sconvolgente. Anche perché certi passaggi del testo («In una tenda buia / ho visto una stella cadere dal paradiso / Tutto quel che so… / è che questo sogno di te mi tiene in vita»), declinati dal timbro brumoso dalla Krall, suonano come parole scritte per l’oggi. E così, navigando tra standard come There’s No You e But Beautiful, la moglie di Elvis Costello ci regala un prezioso antidoto per questa stagione cupa. Non a caso, il disco si conclude con la rilettura slow motion di Singing in the Rain. Cantare sotto la pioggia è quanto per ora ci resta. Appunto.
Ivo Franchi