#Jazz da Naomi Berrill a Maciej Obara: quell’attrazione fatale per la classica

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Corsi e ricorsi storici… Si ricorda proprio in queste settimane il centenario della nascita di John Lewis, leggendario pianista afroamericano, oltre che fondatore dell’altrettanto leggendario Modern Jazz Quartet. Un artista elegante e avventuroso, che per tutta la vita ha perseguito (e spesso con risultati straordinari) il dialogo tra improvvisazione e accademia, tra swing, blues e Bach. Una coincidenza? Ebbene sì, perché proprio in questo periodo approdano nei negozi diversi album emblematici dell’attrazione fatale tra jazz e musica classica.

Cominciamo con Naomi Berrill (nella foto di Edoardo Delille), origine irlandese ma fiorentina di adozione. Pupilla di Giovanni Sollima, che l’ha coinvolta nel progetto 100 Cellos, la violoncellista – che canta e suona pure pianoforte, chitarra e concertina –  ha coraggio. Già nel lavoro di esordio From the Ground faceva zapping tra standard, barocco (Henry Purcell), pop e folk. E oggi nel terzo capitolo della sua carriera Suite Dreams (Casa Musicale Sonzogno, distribuito da Warner Music) prosegue lungo quella strada. Il cd è dedicato al tema delle migrazioni, umane e non solo. E in un episodio come Prelude rispunta l’ombra di Bach – precisamente la Bourrée dalla Suite n. 3 in do maggiore – riletto in modo originale, libero e vocalizzato. «La voce di Naomi», ha detto il violoncellista Mario Brunello, «mi ricorda il carillon: per suonare si mette in moto e riesce a fermare il tempo di chi ascolta».

Ancora più radicale di lei è Maciej Obara, tra le migliori scoperte recenti di casa Ecm. Emerso da quella fucina di talenti che è il jazz polacco, il sassofonista ha debuttato su disco nel 2007 e una decina di anni dopo è approdato all’etichetta di Manfred Eicher (distribuita in Italia dalla Ducale). Il titolo Three Crown fa riferimento a Trzy Korony, cima del massiccio delle Tre Corone, nella parte meridionale della Polonia. Si tratta del suo secondo progetto per la label tedesca: per l’occasione il leader guida un quartetto dove, oltre al connazionale Dominik Wania al piano, ci sono i norvegesi Ole Morten Vågan al contrabbasso e Gard Nilssen alla batteria. Delle otto composizioni in scaletta un paio sono di Henryk Górecki, maestro della musica contemporanea polacca che ci ha lasciati nel 2010: brani dalla struttura circolare (soprattutto Three Pieces in Old Style) e giocati su silenzi e pause, atmosfere crepuscolari, note ben pesate e scandite. Insomma, di grande fascino.

Restiamo nella vecchia Europa. Sfogliando questi incontri tra jazz e classica non potevano mancare i francesi, dotati per definizione di esprit de finesse. In 53 (Blue Note/Universal) il pianista Jacky Terrasson si ritaglia un irresistibile siparietto solitario mozartiano, Lacrimosa, dalRequiem in re minore K 626. Mentre il batterista Thomas Delor, insieme al suo guitar trio, nell’album Silence the 13th (Fresh Sound New Talent, distribuzione Ird) affronta addirittura il Preludio n. 20 op. 28 di Chopin.

Restiamo in Italia per la chiusura e a ragion veduta. S’intitola Reimagining Opera (Dig) il cameristico duetto di Dario Doronzo, specialista di flicorno, e del pianista Pietro Gallo. Rendere omaggio al passato per dialogare col presente è lo scopo dei due amici, che propongono un repertorio di ampio respiro che trova la propria ragion d’essere nell’elegante riscrittura in chiave moderna di composizioni e arie d’opera, da Verdi a Mascagni, da Puccini a Mascagni. A dar loro una mano qua e là c’è pure il francese Michel Godard. Siamo dalle parti dell’Art Ensemble of Chicago – che in Les stances à Sophie firmarono un pionieristico e sorprendente tributo a Monteverdi (anno di grazia 1970) – e di Enrico Rava che, un ventennio più tardi, ci deliziò con il progetto L’opera va.

#AmadeusPlaylist_JAZZ

 

Ivo Franchi

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