#Conversations Ottavio Dantone: nel segno di Händel

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Nata nel 1983 a Ravenna, l’Accademia Bizantina è uno degli ensemble italiani specializzati nel repertorio barocco che riscuote maggior successo di pubblico e critica a livello internazionale. Negli anni ha collaborato con virtuosi del calibro di Viktoria Mullova, Giuliano Carmignola, Andreas Scholl, Delphine Galou, Sandrine Piau e Sonia Prina; Stefano Montanari per lungo tempo è stato parte integrante del gruppo. Memorabili le numerose incisioni dedicate al repertorio di Vivaldi (soprattutto per la Vivaldi Edition della Naïve Classique), Bach, Händel, Haydn e Corelli: i lettori di Amadeus ricorderanno i Concerti Grossi op. 6 presentati nel numero di marzo 2017, ma anche il cd del novembre 2004 con lo Stabat mater di Pergolesi e il Salve Regina di Porpora. Dal 1996, il carismatico clavicembalista e direttore pugliese Ottavio Dantone è alla guida dell’ensemble ravennate. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente nella sua casa in Borgogna per parlare del recente successo al Ravenna Festival (gallery in apertura: photo © Zani-Casadio) e di un nuovo progetto discografico, nel segno di Händel.

Il Trionfo del Tempo e del Disinganno, oratorio che attraversa l’intera parabola artistica händeliana: scritto nel 1707 durante il soggiorno romano, venne successivamente rimaneggiato nel 1737 e nel 1757. Un lavoro in cui fin da subito è già chiaramente riconoscibile il credo estetico del grande compositore di Halle. Quali sono gli aspetti che la affascinano maggiormente?   

«Considero questo oratorio uno dei grandi capolavori di Händel. Il Trionfo del Tempo e del Disinganno, più che LaResurrezione dell’anno successivo, è il frutto maturo dell’apprendimento delle nuance e dello stile italiano filtrato attraverso la propria esperienza di musicista tedesco. Ne nasce un mix di rigore, fantasia e cantabilità: un linguaggio del tutto personale».

Fra i numerosi prestiti interni, caratteristici della intertestualità drammaturgica del teatro di Händel, spicca «Lascia la spina» che verrà riutilizzata nel Rinaldo (1711) per dar vita alla celebre aria di Almirena, «Lascia ch’io pianga».

«Ne Il Trionfo del Tempo e del Disinganno sono davvero molti i temi musicali – e più in generale le scelte armoniche adottate – che riecheggiano nella produzione händeliana successiva. E non solo per quanto riguarda il repertorio operistico, ma anche quello strumentale. Basti pensare, ad esempio, ai Concerti per organo op. 4 e op. 7: un universo sonoro interessantissimo».

Dopo il lungo tempo dell’emergenza sanitaria e il conseguente disinganno in fallaci valori, l’esecuzione di questo oratorio alla Rocca Brancaleone per il Ravenna Festival 2020, la sera del 24 giugno, ha assunto un significato simbolico fortissimo.

«L’impianto allegorico messo a punto dal cardinale Benedetto Pamphilj, autore del libretto, induce a riflettere sul tempo che passa e sulla vanità delle cose. In questi mesi difficili ci si è soffermati su ciò che davvero è importante; e ci si è resi conto di avere, concretamente, un bisogno fisico di musica. Mentre gli artisti da casa facevano sentire la propria voce, durante il periodo del lockdown anche noi dell’Accademia Bizantina con energia ed entusiasmo siamo rimasti in contatto con i nostri followers. Aver ripreso le attività concertistiche a Ravenna, nella nostra amata città, è stato, a maggior ragione, davvero molto emozionante».

Pochi giorni fa è uscita la live recording del Rinaldo di Händel per la HDB Sonus, nuova etichetta discografica in collaborazione con Accademia Bizantina. Come nasce questo progetto virtuoso?

«Accanto alle storiche collaborazioni con le maggiori label europee, abbiamo pensato di intraprendere una nuova avventura: quella di fondare una nostra propria etichetta discografica. Siamo molto felici perché il lavoro a stretto contatto con la HDB Sonus ci garantirà una totale autonomia creativa e di pensiero; cosa che di questi tempi non tutti possono vantare, essendo giocoforza legati ad esigenze di mercato. Naturalmente, nulla si sarebbe potuto concretizzare senza il fondamentale sostegno del nostro sponsor. Il primo titolo che abbiamo deciso di proporre al pubblico è Rinaldo. La produzione dello scorso gennaio al Teatro Sociale di Como è stata rapida, con poche prove di assestamento e due sole recite, ma c’era una bella energia con il regista Jacopo Spirei e con tutto il cast, capitanato da Delphine Galou, Francesca Aspromonte, Anna Maria Sarra, Raffaele Pe e Luigi De Donato. Iniziamo, dunque, proprio da qui: da una incisione live. Abbiamo previsto un numero minore di copie fisiche, riservando maggior spazio allo streaming».

Delphine Galou è impegnata nel ruolo del titolo: di particolare pregio le interpretazioni delle arie «Cara sposa» e «Venti turbini». Qual è il segreto del rapporto di una coppia, sul palcoscenico e nella vita?

«Essere una coppia artistica e nella vita dà gioia. Molte volte a chi fa il musicista manca inevitabilmente il rapporto con gli affetti familiari a causa dei numerosi viaggi in giro per il mondo. Certo, noi non lavoriamo sempre insieme – anche se Delphine lo vorrebbe tanto! – ma quando lo facciamo è una festa. Alla base di tutto c’è una vicendevole e autentica stima professionale. Delphine ha una sua chiara personalità ed è benvoluta da tutta l’Accademia Bizantina: pur collaborando con numerose altre prestigiose realtà musicali, è come se fosse parte integrante del nostro ensemble».

Quale l’elemento distintivo del Rinaldo?

«Nell’intera opera c’è qualcosa di magico. Non mi riferisco semplicemente alla presenza del personaggio di Armida – l’incantatrice, regina di Damasco – ma a una generale, estrema e magnetica comunicatività della musica. La partitura del Rinaldo sembra quasi trasportare l’ascoltatore in una sorta di estasi magica, facendo quasi perdere la cognizione della realtà. È stupefacente! E il compositore, come spesso accade nella storia della musica, risulta essere geniale anche quando non lo vuole: possiede, in un certo senso, una scienza innata – mi viene in mente a tal proposito anche l’esempio di Bach».

Progetti futuri?

«Il 20 agosto, per l’inaugurazione della 63a edizione del Festival di Spoleto, saremo impegnati nell’Orfeo di Monteverdi in una versione semiscenica curata da Pier Luigi Pizzi. Il mito di Orfeo, nella visione monteverdiana, insegna che da ogni dura prova si esce rafforzati: un messaggio importante per il nostro quotidiano, sconvolto da quanto abbiamo appena vissuto e stiamo vivendo. Saremo poi al Tiroler Landestheater di Innsbruck, il 22 agosto, per un programma vivaldiano con Delphine. A settembre porteremo invece ad Amburgo Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet. Inoltre, fra pochi giorni inizieremo la registrazione dei Concerti Grossi op. 6 di Händel: pagine straordinarie a me molto care, cui in questo periodo di quarantena mi sono approcciato con tutta la appassionata meticolosità che mi contraddistingue».

Info: accademiabizantina.it

Attilio Cantore

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