«Mi misi all’ascolto di Armstrong con un certo scetticismo. La puntina gracchiò un poco sul bordo del disco poi trasmise un urlo di tromba alto, sempre più alto, prepotente, che mi strinse insieme le viscere e il cervello». La voce è quella di Ivano Cipriani (classe 1926), che negli ultimi anni del regime fascista, è un liceale alle prese con la messa in discussione della propria identità. Nell’autobiografia Balilla blues. Diario di una liberazione (Terre di Mezzo, 2017), Cipriani racconta in modo disincantato e ironico una storia di formazione vissuta tra il sistema educativo di regime e una famiglia antifascista. Proprio i genitori, però, per garantire un futuro al figlio e permettergli di sfuggire alle persecuzioni, nascondono per anni, anche al bambino, il proprio antifascismo e mettono in scena l’adesione all’ideologia dominante. I cortocircuiti che nascono da questa condizione, curiosamente, ruotano spesso intorno alla musica.
Il primo segnale di una contraddizione indicibile avviene quando il giovane Cipriani intona a casa l’Inno dei legionari, imparato a scuola: «E fu così che un giorno, appena entrato in casa, tutto allegro com’ero e tanto per far sentire che a scuola mi insegnavano un mucchio di cose, mi misi a cantare a squarciagola: “Ce ne fregammo un dì…” e, imprevedibile […] mi arrivò dritto sulla bocca un ceffone dì mamma». Le ragioni implicite di quel divieto si chiariscono negli anni, ancora grazie ad una musica completamente diversa, il jazz del “nemico” americano. Cipriani, divenuto adolescente, è sedotto dapprima dai nuovi ritmi dell’orchestra di Cinico Angelini che imperversa sulle frequenze della EIAR. Qualche anno più tardi, con la scoperta di Louis Armstrong, la musica diventa una metafora assoluta di libertà, generando nel ragazzo un pensiero critico completamente nuovo: «Credo che fu soprattutto quel suono di tromba a far saltare per un attimo il lucchetto delle mie catene invisibili». Balilla blues è una storia privata, raccontata con leggerezza, che rivela il modo in cui l’oppressione dittatoriale e il controllo dell’educazione possono influenzare la vita quotidiana delle persone e plasmarne l’identità individuale. Al contempo, però, in queste righe si racconta, da una prospettiva privata, l’effetto dirompente che ebbe la scoperta jazz sulla cultura italiana. Quest’autobiografia offre quindi un tassello importante, e a tratti divertente, alle ricerche di carattere storico sulla recezione della musica afroamericana negli anni del regime.
Foto di copertina: Louis Armstrong