#Jazz Addio a Chick Corea e alle sue lezioni di piano

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Lezioni di piano, avrebbe detto la regista Jane Campion ascoltando le magnifiche Piano improvisations, vol. 1 & vol. 2 di Chick Corea. E ora che il pianista del Massachusetts ci ha lasciati la prima, anche se tiepida, consolazione è di frugare nella discoteca di casa per riascoltare i suoi dischi più belli. Diciamolo: è un annus horribilis per chi ama il jazz e in particolare per gli appassionati di pianoforte. Dopo la notizia del ritiro forzato, causa doppio ictus, di Keith Jarrett, ora Armando Anthony Corea – per tutti Chick, figlio di due immigrati del Sud Italia che hanno cercato fortuna negli Stati Uniti – saluta il pianeta terra perdendo la battaglia finale contro un tumore fulminante. Aveva a 79 anni: eppure, fino a poco tempo fa, si era esibito in giro per il mondo e aveva pure registrato album notevoli. Tra questi i due doppi dal vivo Trilogy e Trilogy 2, per la Concord, che lo fotografavano nella sua forma migliore. E questo anche grazie a una ritmica top, con Christian McBride al contrabbasso e Brian Blade alla batteria: un classico piano trio ma di altissima classe.

 

 

 

Con i due giganti della generazione pianistica dei Forties – il sopracitato Keith Jarrett ed Herbie Hancok – Corea condivideva la militanza nei sulfurei gruppi elettrici di sua maestà Miles Davis. Mentre però Keith aveva metabolizzato rapidamente la militanza a fianco del trombettista e preso la propria strada, Chick era diventato uno degli alfieri del verbo jazz-rock. E, soprattutto negli anni Settanta aveva scelto di dividersi tra lo strumento acustico e quello elettrico per poi avvicinarsi ai vari tipi di synth, sia pure con risultati a volte discutibili. Bulimico di musica, eclettico e curioso, dotato di solida educazione accademica (studi alla Columbia University e alla Juilliard School di New York), in quel periodo passa dal free-bop cerebrale con il sassofonista Anthony Braxton alle avventure più consone allo spirito del tempo con i suoi Return to Forever, tra le band più popolari del jazz elettrico insieme alla Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin e agli Headhunters di Hancok. In tutto questo ribollire di esperienze Chick non si è fatto mancare nulla, compreso il confronto con la musica classica: ha duettato con un altro grande eccentrico quale Friedrich Gulda, suonato Bartók con Nicolas Economou e si è tolto pure lo sfizio di farsi accompagnare da orchestre sinfoniche.

 

 

Certo, non tutta la sua immensa produzione è allo stesso livello. Le cose migliori sono quelle registrate per l’Ecm: oltre alle improvisations (cimenti in solitaria che, prima di Jarrett e di Paul Bley, aprirono le porte al fortunato filone di piano solo dell’etichetta di Manfred Eicher), meritano una menzione i duetti apollinei con il vibrafono di Gary Burton (Crystal Silence, su tutti, del 1972), le scorribande in bilico tra post bop e improvvisazione avventurosa con la ritmica Miroslav Vitous-Roy Haynes (Trio Music, del 1981), le delicate e cameristiche Children’s Songs (1983).

Ventitré Grammy Awards alle spalle, un tocco pianistico netto e tagliente, a tratti inafferrabile (memore della lezione di Bud Powell e Thelonious Monk, ma anche di Bill Evans e Art Tatum), Corea è stato pure un notevole compositore, firmando diversi brani da cui emerge la sua profonda anima latina: da La Fiesta ad Armando’s Rhumba, da Sometime Ago Señor Mouse. Belle melodie che, adesso che lui se n’è andato, resteranno per sempre nella nostra tracklist del cuore.

 

Ivo Franchi 

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