Ilaria Narici, Direttore dell’Edizione Critica promossa dalla Fondazione Rossini, ricorda il più grande ambasciatore dell’opera rossiniana, dagli anni Settanta a oggi, scomparso lo scorso 6 marzo: Alberto Zedda.
«Da rossiniano doc l’ultimo viaggio Alberto Zedda ha voluto farlo a Pesaro, città natale di Rossini. Reduce da un intervento chirurgico che l’aveva molto prostrato, ma determinato a voler onorare l’incarico di dirigere proprio a Pesaro, nel giorno del compleanno del maestro, il 28 febbraio, La Cenerentola in versione da concerto con l’Orchestra locale e un cast di giovani cantanti – quegli stessi che ogni estate affollavano la sua Accademia rossiniana –aveva caparbiamente preteso di essere accompagnato nella città marchigiana. Dirigere gli era ormai impossibile, ma aveva seguito le prove, parlato con gli orchestrali, assistito alla recita. Il 6 marzo si è spento, serenamente, dopo una vita lunga vissuta seguendo le proprie passioni. A fine gennaio aveva tenuto l’ultima delle sue ambitissime masterclass a Madrid, nei mesi precedenti aveva diretto Ermione a Lyon e a Parigi con grandissimo successo perché Zedda era un vero e proprio maestro dello stile rossiniano. Nel corso della sua carriera ha sviluppato molteplici attività, facendo in modo che l’una beneficiasse dell’esperienza dell’altra: direttore d’orchestra, musicologo, direttore artistico di importanti teatri e del Rossini opera festival per moltissimi anni, didatta, divulgatore.
In campo musicologico è stato un pioniere della filologia applicata all’opera italiana. Il lavoro critico su Rossini prende le mosse dalla sua fondamentale edizione del Barbiere di Siviglia, pubblicata in prima edizione per Ricordi (1969 ) – esperimento pilota nell’ambito della filologia musicale a partire dal quale altre edizioni sull’opera italiana hanno preso il via, da Donizetti, Bellini a Verdi, Puccini – e apparsa in edizione definitiva nel 2009 per l’Edizione critica delle opere di Gioachino Rossini della Fondazione Rossini di Pesaro, per proseguire con le edizioni critiche della Gazza ladra e della Cenerentola.
La sua conoscenza di Rossini era autentica e profonda perché maturata a diretto contatto con gli autografi: Zedda ha insegnato a un’intera generazione a tradurre il segno di Rossini in suono, con esiti straordinari anche dal punto di vista esecutivo. Si pensi a Semiramide diretta al Rossini Opera Festival nel 1992, alle sue letture di Tancredi, agli innumerevoli rappresentazioni di Barbiere (che sorridendo diceva essere la sua condanna…), alle esecuzioni del Rossini sacro (Petite messe solennelle, di cui ha strumentato magistralmente il Prélude religieux, e Stabat Mater), a Cenerentola, ultimo appuntamento e congedo.
Zedda è stato uno dei padri della Rossini renaissance nella duplice veste di curatore di edizioni critiche della Fondazione Rossini e Ricordi, e di direttore artistico del Rossini opera festival, a fianco di Gianfranco Mariotti come sovrintendente. Grazie al suo lavoro di musicologo militante Zedda ha contribuito in modo fondamentale alla scoperta del Rossini serio. Fu proprio per la fama acquisita con il caso editoriale del Barbiere di Siviglia che a lui arrivò la segnalazione dell’esistenza del leggendario Finale tragico di Tancredi da parte del Conte Lechi di Brescia che ne conservava l’autografo. Lo studio intenso dell’opera rossiniana, che non ha mai abbandonato, e l’emergere di una serie di capolavori sommersi in tutti i generi (comico, semiserio, serio) gli hanno permesso di gettare una nuova luce sul Rossini comico, improntato non più al riso grossolano e triviale, ma ad un sorriso ironico, distaccato, e venato di malinconia, così come sulla grandezza della produzione seria del grande compositore pesarese. Con Bruno Cagli e Philip Gossett, costituì il primo comitato editoriale della Fondazione Rossini intorno al 1970. E a lui principalmente si deve la messa a punto dei criteri editoriali sui cui si basa in gran parte tuttora l’edizione critica della Fondazione Rossini, nonché lo sviluppo di una metodologia che ha potuto maturare grazie alla consuetudine con lo studio delle partiture sinfoniche e operistiche.
Si può certamente dire senza tema di retorica che Alberto Zedda è stato il più grande ambasciatore dell’opera di Rossini dagli anni Settanta a oggi. Con la sua poliedrica attività ha svelato il volto di un compositore la cui opera era in gran parte scomparsa e per altrettanta parte misconosciuta nei propri presupposti estetici. Agli interpreti, direttori e cantanti in primis, ha insegnato la nobiltà del canto rossiniano, la complessità di un linguaggio fatto di figurazioni anodine tenute insieme dall’ornamentazione, in sintesi l’opera di un compositore che rifiuta la retorica dei sentimenti per sublimarli in un elegante astrattismo. Consapevole della centralità della voce nell’opera rossiniana, come direttore ha lasciato una grande lezione nell’ambito del repertorio belcantistico: concertare a partire dalle voci, dal canto. La sua è stata una battaglia costante a difesa dell’eleganza della musica di Rossini, e a questo ha dedicato un libro che ha voluto intitolare, per l’impianto più libero che strutturato, Divagazioni rossiniane (Ricordi), sorta di vademecum per chiunque voglia avvicinarsi all’opera del grande Pesarese. In Rossini il canto non è mai realistico, è un canto idealizzato, soleva dire ai giovani cantanti che partecipavamo alle sue lezioni, e queste sono state anche le ultime parole, sussurrate con un filo di voce, del suo ultimo commiato».
Ilaria Narici