Il Novecento protagonista nel nuovo cd di Silvia Chiesa

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Silvia Chiesa, violoncellista di fama internazionale, ha scelto una sede appropriata per presentare a Milano la sua nuova fatica discografica: la Sala Arte Povera del Museo ‘900. Perché in questo cd il Novecento è protagonista con opere di compositori che, se non fosse per qualche ricorrenza o per l’amore che artisti come Silvia pongono nel proprio lavoro, potremmo considerare persi.

L’occasione è ghiotta e non possiamo lasciarcela sfuggire. L’uscita del cd Sony Classical con tre concerti per violoncello e orchestra di Gian Francesco Malipiero, Castelnuovo Tedesco e Riccardo Malipiero, che si avvale del prestigioso contributo dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Massimiliano Caldi, viene ad arricchire l’esiguo panorama discografico del repertorio musicale italiano del Novecento con nuove importanti scoperte. E prima di entrare nello specifico di queste opere ci obbliga ad aprire questa intervista con alcune considerazioni di carattere generale. Intanto è necessario premettere che Silvia ha già realizzato, prima di questo, due cd (sempre per Sony Classical) dedicati al Novecento. E precisamente i Concerti per violoncello N. 1 & 2 di Nino Rota e  The Italian Modernism con I Concerti per violoncello e orchestra di Casella e Pizzetti e l’Adagio con Variazioni di  Respighi entrambi con l’ Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI  diretta da Corrado Rovaris.

Perché il Novecento musicale, contrariamente alle altre manifestazioni artistiche (arti figurative, teatro, architettura ecc.) è stato trascurato, e non solo nella discografia, ma in generale dal mondo della musica? Se esiste un colpevole, a chi secondo lei possiamo attribuire la responsabilità di questa situazione? 

«Il Novecento è un secolo di grandi cambiamenti e anche in musica si riflette questa esigenza. Il periodo che maggiormente è stato penalizzato da mutamenti socio politici è quello compreso fra gli anni Venti e Cinquanta: compositori illustri venivano allontanati perché ebrei mentre altri, al contrario, venivano etichettati pro regime.

Ho sempre pensato che un musicista sia figlio del tempo in cui vive, ma non ne debba essere prigioniero: se lo fosse, l’arte ne avrebbe delle perdite enormi. Per questo motivo ho deciso di occuparmi in modo costante del recupero del repertorio italiano di quel periodo senza farmi condizionare dagli avvenimenti politici, ma valutandone solo gli aspetti artistico/musicali. Il repertorio è vastissimo, si pensi che per il solo mio strumento ci sono otto concerti per cello e orchestra – da me incisi  – scritti nell’arco di soli cinquanta anni.

Credo dunque sia stato importante riportare alla luce questo repertorio. Quando propongo questi brani in concerto, ho sempre esiti positivi: al pubblico piace questo repertorio e, non conoscendolo, ne è ancora più curioso. Certo se a scuola in generale non ci si limitasse a far studiare la storia della musica dai Greci all’ottocento, forse questo repertorio sarebbe già da tempo potuto essere nella nostra quotidianità di ascolto».

D’accordo. La responsabilità primaria è da attribuire alla scarsa cultura musicale dei nostri concittadini che ha un responsabile principale nella mancanza d’insegnamento della musica nella scuola. Ma che dire del mondo dei professionisti: musicisti, direttori artistici, organizzatori di stagioni concertistiche, ecc.?

«Non tutti musicisti hanno piacere di misurarsi con repertori totalmente nuovi. Ci vuole dedizione, coraggio con un pizzico di follia, molta passione e determinazione. I concerti che normalmente chiamiamo di “repertorio” – Dvorak, Schumann, Elgar per fare degli esempi, sono concerti che si leggono durante gli studi in Conservatorio e quindi in carriera si vive un po’ di rendita.

Sulla musica non di repertorio il lavoro è davvero enorme e senza riferimenti storici di incisioni o esecuzioni. Questo è un aspetto che mi ha sempre molto stimolato: aprire una partitura e leggere per la prima volta qualcosa che nessun altro ha suonato mi regala un’emozione grandissima. Certo, fatto questo lavoro, sarebbe bello poterlo portare in tournée in molti paesi, ad iniziare dall’Italia! Pensi che sono sempre stata invitata in Francia, Germania, Polonia ad eseguire questi concerti molto prima che in Itala».

Possiamo prevedere che questo cd possa preludere ad altre e altrettanto importanti riscoperte?

«Ho dei progetti naturalmente, ma finché i contratti non sono siglati, scaramanticamente preferisco non parlarne. Ma vi svelo che questo periodo storico ha ancora molte sorprese che ci attendono!».

Uno degli impegni ricorrenti nelle molteplici attività di Silvia Chiesa è l’Amiata Piano Festival di cui è direttore artistico il pianista Maurizio Baglini, suo compagno nell’arte e nella vita. Ora si capisce che le vostre strade, almeno dal punto di vista artistico, viaggiano su binari che spesso divergono: Maurizio impegnato nel suo percorso schumaniano e Silvia dedita al Novecento. È in occasione del Festival che le vostre strade tornano a essere quelle di una coppia? 

«Essere due musicisti che si stimano a vicenda e che possono lavorare allo stello livello artistico è qualcosa di davvero raro. Siamo fortunati e condividiamo molte cose assieme: abbiamo all’attivo 250 concerti di solo duo in cinque continenti, abbiamo creato un Festival che ormai si distingue per la particolare programmazione e abbiamo altri progetti, magari meno visibili ma che portiamo avanti assieme! Ma credo sia giusto che ognuno abbia anche qualcosa di assolutamente personale da proporre, perché appunto prima di tutto siamo due persone, poi due artisti, poi un coppia!».

Come è nato il suo amore per il violoncello?

«Veramente l’amore per qualcosa quando sei davvero un bimbo te lo donano i genitori. Assecondano il tuo istinto e spesso ti portano sulla strada giusta. Certo devono essere genitori con una grande sensibilità e in questo sono stata davvero fortunata! Poi quando si è un poco più grandi i Maestri hanno un ruolo importantissimo e possono determinare la riuscita o addirittura l’odio per uno strumento.

Il vero amore per il violoncello l’ho provato però una volta che, da bimba, eseguii un piccolo brano in duetto con il mio primo insegnante: i due suoni (direi sicuramente più il suo!) stavano creando delle magiche atmosfere e rimasi proprio rapita. Da quel giorno, ogni volta che mi siedo e abbraccio il cello, cerco di rievocare quella bellissima emozione».

Torniamo al Novecento. Quali sono i prossimi impegni per questa proficua indagine nei meandri di un’epoca che nasconde tanta musica?

«Per il prossimo anno ci sono in programma diversi concerti con questo repertorio in Europa. Poi vorrei fare delle masterclass dedicate per diffondere il più possibile anche presso i Conservatori questo repertorio. In fondo ai miei ragazzi spesso propongo il 900 italiano per il programma  dell’esame di diploma e loro ne sono entusiasti!

Anche avere modo di fare molte presentazioni presso istituzioni non solo musicali, aiuta a fare conoscere e diffondere e anche questa è una bella esperienza che sto facendo. Le assicuro, non ha prezzo sentirsi dire: “ma che bella questa musica, non la conoscevo…”».

Immagine di copertina Ph. Davide Cerati

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