Un concerto degno di essere ricordato è stato il recital scaligero dello scorso 17 giugno di Anna Caterina Antonacci. L’artista, a suo agio nel repertorio barocco come in quello contemporaneo, da tempo ha affiancato ai ruoli d’opera anche la musica vocale da camera, cui si dedica con sensibilità e intelligenza. Al pubblico milanese, più numeroso rispetto alla media dei recital liederistici – seppur non abbastanza per lo spessore dell’evento – e fra cui non macavano diversi fans entusiasti che trasmettevano il loro calore agli interpreti nelle pause fra un’opera e l’altra, ha proposto, insieme al pianista Donald Sulzen, un raffinato programma italo-francese diviso in due blocchi, i tempi del concerto, uno dedicato alla musica italiana e francese per voce e pianoforte di inizio Novecento, l’altro interamente occupato da La voix humaine di Poulenc.
La prima parte sembrava attraversata – se volessimo trovare un fil rouge nella selezione dei brani – dal motivo dell’acqua: in apertura la natura madida delle Deità silvane di Ottorino Respighi (un ciclo di cinque liriche per soprano e pianoforte su poesie di Antonio Rubino, risalente al 1917), seguite da un brano prezioso dello stesso compositore su testo dannunziano, Sopra un’aria antica (tratta da una raccolta del 1920 di quattro liriche ispirate al Poema paradisiaco), un omaggio a un’aria di Antonio Cesti, la celebre Intorno all’idol mio. Il programma virava poi in direzione francese con le mélodies marine de L’horizon chimérique (1921), le ultime dell’ormai anziano Gabriel Fauré, su poesie del giovane poeta Jean de La Ville de Mirmont, per giungere infine a cinque canzoni veneziane di Reynaldo Hahn dalla raccolta Venezia (da cui è stata esclusa solo l’ultima, La primavera), del 1901, di tono decisamente più leggero rispetto alle precedenti.
Statuaria ed elegante nella figura, in un abito smeraldino, la Antonacci ha tradito la propria emozione appena uscita sul palcoscenico, pure accolta da calorosi applausi: all’inzio delle Deità silvane, il canto sembrava leggermente faticoso, per diventare invece impeccabile negli ultimi due brani della raccolta, Acqua e Crepuscolo. Commovente l’interpretazione di Sopra un’aria antica, accompagnata da una gestualità carica di pathos come il canto stesso. La sezione forse ‘meno riuscita’ di una serata di altissimo livello è stata forse quella successiva delle mélodies di Fauré: eccellenti sotto il profilo vocale, pareva incoerente la scelta di rouler solo alcune delle erre dei testi. Le canzoni veneziane di Hahn, con un’esecuzione di gran gusto, preziosa nella dizione come nella presenza scenica, hanno chiuso il primo tempo di un concerto fino a questo punto già riuscito, fervidamente applaudito da tutti gli astanti. La presenza di Sulzen è stata discreta nei confronti del canto, rispetto a cui si è sempre comportato come accompagnamento ma, se nel successivo Poulenc e in Hahn questo ruolo pareva equilibrato, le Deità silvane e L’horizon chimérique avrebbero forse meritato una maggior ricchezza nella tavolozza sonora.
È nella seconda, monografica, che la Antonacci, dopo una parte già piuttosto impegnativa, ha affrontato il ruolo più impervio: La voix humaine (1959) di Francis Poulenc, tragédie lyrique in un atto unico sul celebre monologo di Jean Cocteau, presentata nell’occasione nella versione per canto e pianoforte. Una seduta minimale in plexiglass con un telefono rotativo è stata portata in scena per accogliere l’interprete, ora avvolta da un elegante e semplice abito nero, chiamata ad impersonare una donna in piena crisi sentimentale e sull’orlo di un suicidio. È stato questo il lungo momento apicale della serata: la Antonacci, mezzosoprano pure a suo agio nella tessitura sopranile, ha sostenuto il ruolo – appunto concepito per un soprano dalla voce comunque scura – dall’inizio alla fine in maniera perfetta, piegando il duttile strumento in una gamma amplissima di sfumature per rendere tutte le sfaccettature della solitudine e della disperazione umana, in un’interpretazione coinvolgente e di fortissimo impatto emotivo, che ha chiuso una serata memorabile.
Il pubblico ne ha decretato con lunghi applausi il successo, chiamando più volte i musicisti alla ribalta, richiedendo con insistenza un bis che, alla fine, generosamente è stato concesso: grande sensibilità ha mostrato la scelta, dopo la tempesta emotiva dell’opera di Poulenc, di staccare completamente dal mood della serata, con un’aria spensierata e leggera come l’Habanera della Carmen.