Il direttore d’orchestra israeliano Asher Fisch, impegnato in questi giorni al Teatro Comunale di Bologna per dirigere il Fidelio di Beethoven con la regia di Georges Delnon – in scena fino al 16 novembre 2019 – ci racconta la sua visione dell’opera.
Fisch sarà nuovamente sul podio bolognese il prossimo 4 febbraio per inaugurare la Stagione Sinfonica 2020, dedicata proprio a Beethoven in occasione dei 250 anni dalla nascita, con la Missa solemnis in re maggiore op. 123 del compositore di Bonn.
«Beethoven non si è mai preoccupato troppo della difficoltà di esecuzione delle sue composizioni. In effetti, in molti lavori strumentali scritti nello stesso periodo in cui compose la sua unica opera, Fidelio, arrivò quasi ad oltrepassare i limiti delle difficoltà tecniche richieste.
Eppure, nonostante nella musica strumentale si sia nel tempo realizzata la visione di Beethoven secondo cui gli artisti sarebbero stati prima o poi in grado di affrontare queste difficoltà, la stessa cosa non si può dire sia accaduta con la sua musica vocale: la storia ha dimostrato che quello che era difficile per i cantanti di allora è difficile anche per i cantanti di oggi.
Questa è una delle ragioni per cui Fidelio non è mai realmente entrato a far parte del grande repertorio operistico al di fuori della Germania e dell’Austria, nonostante sia stato scritto dal compositore più famoso di tutti.
L’opera contiene alcune tra le più belle pagine mai composte da Beethoven, come per esempio il quartetto del primo atto, il coro dei prigionieri alla libertà, la scena e l’aria di Leonora accompagnata da un terzetto di corni e l’introduzione all’aria di Florestan all’inizio del secondo atto.
Spero che l’attenzione rivolta alle composizioni beethoveniane, in occasione del 250° anniversario della sua nascita che ricorre il prossimo anno, possa riaccendere l’interesse per questa magnifica e importante opera».
Asher Fisch
Immagine di copertina Ph. Nik Babic