#Edu  Balzaretti: la risposta dei Conservatori “di provincia” alle sfide globali è a misura d’allievo

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Musicista dalla personalità poliedrica e dalla curiosità insaziabile, Carlo Balzaretti
(Ph. Renato Vettorato) ha intrapreso giovanissimo un’intensa attività musicale, che lo ha portato a calcare importanti palcoscenici europei, asiatici e statunitensi, realizzare registrazioni discografiche, prendere parte a trasmissioni televisive, come interprete, compositore e improvvisatore, in un percorso a tutto tondo costellato da numerosi riconoscimenti internazionali. Alla carriera artistica si aggiunge il rilevante contributo alla formazione musicale, nella pluriennale esperienza di docente e di direttore di Istituzioni AFAM. Dal 1. novembre, il maestro è succeduto a Sergio Gianzini come direttore dell’Istituto Studi Superiori Musicali “Puccini” di Gallarate, dopo i suoi precedenti mandati a Como e Brescia.
Incontriamo l’infaticabile maestro Balzaretti al termine di una riunione (domenica sera) per qualche aggiornamento sulla sua attività al “Puccini”, istituto che nel 2021 completerà il processo di statalizzazione, passando in capo al MIUR, ma anche per ragguagli sullo stato di salute delle Istituzioni AFAM in Italia, sulle risposte dei conservatori di alcune province lombarde alla prova del Covid e sulle sfide che attendono la formazione musicale nel prossimo futuro.

 

Quali sono le novità in vista per il Suo Istituto? Che futuro scorge per i Conservatori cosiddetti “della provincia”?

Ci sono forti novità per il “Puccini”: il processo di statizzazione è ormai perentorio e sarà ultimato entro il prossimo anno solare. Questo implica un tour de force per dotarci di strutture, docenze, nuove classi strumentali, che stiamo approntando in tempi rapidissimi e con grande entusiasmo. Economicamente potremo accedere a finanziamenti ministeriali e si apriranno nuove opportunità per i nostri studenti, come ad esempio l’Erasmus.
La riforma 508/1999 ha decretato la trasformazione del Conservatorio in Università, anche se di “Università” propriamente dette non potrà mai trattarsi: più correttamente di Accademie di Alta Formazione Artistica Musicale, con caratteristiche e necessità peculiari. In quest’ottica, l’ampliamento dell’offerta formativa per lo studente diviene centrale: per questo ritengo che il futuro per realtà numericamente piccole ma con importanti eccellenze, come Gallarate, sia rappresentato da protocolli d’intesa con altre realtà del territorio come Milano, Como, etc., ma anche con istituzioni straniere. D’altra parte, nei conservatori medio-piccoli è più semplice caratterizzare la vita accademica dello studente, anche in termini di produzione e opportunità performative, limitando al minimo la dispersione. Al contrario di quanto troppo spesso si verifica in realtà “pachidermiche”, che faticano dal punto di vista organizzativo e logistico ad attivare una miriade di scuole e materie previste dalla riforma del 1999, a fronte di organici dei docenti purtroppo bloccati dal 1998 (!)
Lo studente, soprattutto se studente di musica, non può mai essere un numero: il musicista è espressione di individualità par excellence. Per questo la possibilità di personalizzare un percorso di studi deve rimanere l’obiettivo primario, sfruttando tutte le opportunità: dalla specializzazione degli iter formativi, alle classi aperte, alle master estive, con un “lavoro di bottega” che non sia standardizzato. Questi sono gli obiettivi su cui lavoreremo a Gallarate. In breve, mi piace l’idea di riconoscere gli studenti ascoltandoli suonare dai corridoi del mio Conservatorio: se il passaggio a università significa incrementare il livello di apertura e di eccellenza sono d’accordo, ma se diventa sinonimo di spersonalizzazione e dispersione allora non serve.

 

Come ha impattato l’emergenza sanitaria e relative restrizioni sui Conservatori? Avendo vissuto la prima ondata a Como, la seconda a Gallarate e in previsione della terza, quali sono stati i punti di forza e debolezza di queste realtà?

Ci siamo trovati di fronte a un baratro. Inutile negarlo: mai era capitato che un musicista fosse isolato in casa senza contatti con il pubblico. La tecnologia ci è venuta incontro, certo, ma fino ad allora la sua applicazione era stata a fini divulgativi, non didattici, e alcune piattaforme telematiche sono state ottimizzate a questo scopo solo in corso d’opera. Fondamentale dunque si è rivelato il senso di responsabilità e impegno dei singoli: la risposta di Como sarebbe stata impensabile senza un’equipe straordinaria di colleghi con cui abbiamo sperimentato ogni soluzione, sulla base della banda in upload e download, le tipologie di insegnamento, gli apparati a disposizione di docenti e allievi… Questo ci ha consentito di mantenere la sessione invernale di esami e di fare lezione da subito in questa modalità, tra i primi in Italia, con costi contenuti.
Inoltre, agli esami come nelle performance, bisogna sempre ricordare che si suona in modo diverso davanti a un apparato di registrazione o davanti a un pubblico o commissione, perché in un caso sto consegnando un documento ai posteri, nell’altro è un’interazione estemporanea. In altri termini: il vero problema non è di suono, bensì di comunicazione.

 

Non è paradossale per i musicisti?

Certamente. La musica è comunicazione: se un musicista non può suonare in una sala e comunicare a un pubblico, che a sua volta non comunica le proprie emozioni mentre ascolta, si interrompe un circolo virtuoso e nascono depressioni. La telematica ci ha reso soli: abbiamo bisogno della funzione terapeutica della musica dal vivo. Penso che al termine di questa pandemia sarà indispensabile interrogarsi: quanto è importante il ruolo del musicista? Quanto è importante che gli studenti suonino in pubblico?

 

Villa Majno (1905), attuale sede dell’ISSM Puccini, nel “quartiere Liberty” della città

 

In una recente conferenza stampa, ha richiamato l’importanza per una realtà piccola ma strategicamente situata quale è il “Puccini”, di guardare oltre i confini, non solo dell’Italia, ma anche dell’Europa, focalizzando in particolare l’attenzione sulla Svizzera tedesca e sull’Estremo Oriente. Quali sono i motivi di interesse verso questi partner?

Quando ero direttore a Como, lo consideravo il primo (o l’ultimo, a seconda delle prospettive) Conservatorio mitteleuropeo. Oggi, con l’apertura della galleria Ceneri, la distanza Lugano-Zurigo si è ridotta a poco meno di due ore, tre per Basilea: nel tempo sarà sempre più facile per un allievo di un conservatorio lombardo frequentare corsi di eccellenza, ad esempio di alto perfezionamento o di musica antica e non solo, in queste città. I bachelor e master svizzeri sono leggermente diversi dai nostri, ma la riforma di Bologna ci consente di interfacciarci con i loro circuiti. Inoltre occorre considerare che i Paesi mitteleuropei hanno un mercato amatoriale di Musikschulen che va fortissimo, oltre naturalmente ad un’ingente presenza straniera: in primis cinese.

 

Più che “vicina”, quindi, la Cina è già dentro casa?

Be’, il volume d’affari cinese in ambito musicale supera Stati Uniti e Europa messi insieme: oggi il maggior concessionario Steinway non si trova a Berlino o a New York, ma a Shanghai. Questo dovrebbe farci riflettere: sono numeri pazzeschi che collidono con un problema di alfabetizzazione culturale.
Gli studenti cinesi fin da piccoli sviluppano un rapporto con il suono molto diverso dal nostro: in entrambi i casi è per lo più basato sulla coralità, ma da loro viene affrontato nel loro linguaggio musicale, organizzato secondo il sistema esatonale, che ad esempio non riconosce la sensibile. Si tratta quindi di formare gli studenti cinesi dal punto di vista dell’analisi, armonia, storiografia musicale, educazione all’ascolto: in altre parole, abbiamo la responsabilità di trasformare la nostra didattica – non la nostra tradizione musicale – per consentir loro l’accesso e la comprensione del nostro mondo culturale. Ossia: non insegnare a suonare, ma perché si suona, e perché si suona così. Sappiamo che possiede una lunga esperienza concertistica e didattica in estremo Oriente.

 

Impressioni e suggestioni di un musicista «errante dell’Asia» …

Già negli anni ’80 studenti giapponesi frequentavano i miei corsi in Italia, spesso portando al seguito i loro docenti. D’altra parte, sappiamo che musicisti meravigliosi – due nomi su tutti: Ozawa e Uchida – hanno avuto una formazione essenzialmente europea. Le scuole e università di ottimo livello, l’humus culturale, le professioni legate alla musica si sono poi diffuse anche là. A mio avviso, quello dell’Oriente è sempre un modello a parabola: un’impennata esponenziale all’inizio, una progressiva saturazione del mercato, fino ad un livellamento della crescita. Abbiamo visto questo curva anche in Taiwan e Corea.
Oggi il boom è indubbiamente cinese. Personalmente ho iniziato a frequentare la Cina nel 2008, al Conservatorio Principale di Pechino, dove ho tenuto un concerto e un master (che seguiva quello di Barenboim – ndr). L’edificio ha 10 piani, ogni aula è dotata di due Steinway un modello C e uno B, il parco pianoforti è rinnovato ogni 2 anni… non male per un Paese che conta almeno 45 milioni di pianisti! Tra le tante, un’esperienza singolare è stata a Jilin, città “di serie C” di un distretto della Cina settentrionale, dove ero stato invitato a tenere un master. Entrato in aula, mi trovo davanti un uditorio di 400 persone, tra bambini, giovani, famiglie al completo, che hanno seguito da lunedì a venerdì, dall’alba al tramonto, le mie lezioni in tedesco, oltre al concerto del sabato.

In tedesco?

Si, il docente che mi aveva invitato si era formato a Monaco e l’inglese non girava ancora (sorride). Di questi studenti, venti vennero poi a studiare a Darfo (sezione staccata del Conservatorio di Brescia, allora diretto da Balzaretti) e nel tempo si sono laureati. Del resto, in Cina l’investimento da parte delle famiglie su un figlio (l’unico figlio!) che vuole studiare musica è spesso enorme e si accompagna alla possibilità di offrirgli un futuro in Europa.

 

Venendo alla tanto dibattuta formazione propedeutica e pre-accademica, al netto delle recenti ridenominazioni, quale ruolo si delinea per le Istituzioni AFAM nei percorsi che precedono il livello accademico? Quali sinergie con le scuole del territorio?

Nel tempo ho potuto analizzare a fondo la complessa situazione italiana, anche grazie alle opportunità di confronti serrati con il compianto Maestro Marcello Abbado, che ho spesso sostituito in formazioni cameristiche in cui lui suonava, con la sua storica violinista Alessandra Farro e con cui ebbi l’occasione di confrontarmi su molteplici argomenti. Abbado fu tra i direttori più illuminati del previgente ordinamento, inventore dei licei a indirizzo musicale, inizialmente nati come scuola di eccellenza per il musicista. Purtroppo, il liceo musicale odierno fu sottratto alla sua origine conservatoriale, a cui si sostituirono improvvidamente le classi ministeriali A 31, 32, 77.
A mio avviso, invece, i conservatori sono e restano il centro e riferimento territoriale che ispira l’iter formativo in ambito musicale. A Gallarate prevedo di realizzare e pubblicare programmi di studio anno per anno già dai corsi propedeutici. Avremo partner nella formazione di base – scuole del territorio, in cui magari insegneranno i nostri ex-studenti – con cui stipulare convenzioni. Dal propedeutico si passerà al preparatorio, che potrà essere coperto sia dal conservatorio che dalle scuole locali, e infine si arriverà al Triennio e al Biennio. Non mancheranno corsi per giovanissimi talenti: il “Puccini” ne conta diversi, e a loro deve essere garantita la necessaria flessibilità nel programma dello strumento, così da poter anticipare i programmi strumentali di livello accademico, ma anche la possibilità di studiare materie storiche, teoriche e analitiche in modo progressivo e secondo tempi consoni allo sviluppo intellettuale dell’individuo. Ancora una volta la parola d’ordine è forgiare un percorso a misura di allievo (e non viceversa).

Info: “Virtuose e Virtuosi in Virtuale” rassegna di concerti in streaming degli allievi del “Puccini”

 

Silvia Del Zoppo

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