Il dittico su Medea al Comunale di Bologna

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Il festival Bologna Modern ha aperto i suoi battenti al Teatro Comunale l’11 ottobre con un inconsueto incontro drammaturgico di antico e moderno incentrato sulla figura mitica di Medea.

Nella stessa serata il Melodram Medea del compositore boemo Jiří Antonín Benda (1722-1795) e l’opera Medeamaterial di Pascal Dusapin (Nancy, 1955) hanno focalizzato una delle figure più carismatiche del mito greco e al tempo stesso più attuali: eroina e vittima dell’autodeterminazione, della gelosia e della vendetta, Medea è la protagonista di due riflessioni totalmente differenti, ma altrettanto profonde.

Il Melodram sgorga dalla mirabile convergenza dei versi del poeta tedesco Friedrich Wilhelm Gotter (1746-1797) con le musiche di Benda, che introducono ed intercalano i lunghi ed intensi monologhi della protagonista ed i brevi dialoghi con Giasone, con i figli, con la nutrice. Sebbene una lettera al padre testimoni l’apprezzamento di questa composizione da parte del giovane Mozart, Medea non risulta certo il più felice dei melologhi realizzati da Benda a causa della lunga durata delle parti recitate totalmente prive di musica e, soprattutto, a causa della quasi totale mancata “corrispondenza affettiva” tra la musica e il testo di Gotter, che pone il pubblico in una fruizione straniata.

Di grande interesse Medeamaterial di Pascal Dusapin, composta nel 1991 e proposta da Bologna Modern in prima nazionale. L’opera, che ha dimostrato il grande artigianato del compositore francese, certamente uno attivi a livello internazionale degli ultimi 30 anni, permette di tastare come Dusapin si muova fluidamente attraversando diverse scuole e tendenze mettendo a punto uno stile personale e vario. Ben ordita, sfaccettata, ricca di spunti e di sincretismi, Medeamaterial dimostra come questo compositore, oggi come allora molto attivo a livello internazionale, non rinunci alla comunicabilità con gli ascoltatori e svisceri il testo del dramaturg Heiner Müller con una rara sensibilità. L’utilizzo di pochi strumenti (un gruppo di archi, clavicembalo, organo), e quattro voci soliste e un coro cui si sommano alcune voci registrate testimonia, ancora una volta, la possibilità di realizzare ottime opere con l’ausilio di una piccola orchestra.

La bacchetta di Marco Angius ha diretto magistralmente l’opera di Dusapin. Poco efficace è risultata invece la resa musicale della composizione di Benda: la presentazione di un genere “ibrido” quanto inusuale in Italia, qual è il melologo, necessitava di una più intima e meditata lavorazione dei rapporti tra parola e musica, nonché di un ensemble adeguata, munita di strumenti storici e, soprattutto, di una prassi esecutiva storicamente informata che permettesse una fruizione molto più “viva” dell’opera del compositore boemo.

I medesimi attori che nel melologo interpretavano le parti di Giasone e della nutrice ritornano nel ruolo di figure mute in Medeamaterial secondo il preciso intento della regista Pamela Hunter di connettere le due opere, intento sottolineato anche dalla medesima scarna scenografia, dominata da uno schermo proiettante dettagli cristallografici ed immagini mitiche.

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