Il disco del mese: le nostre scelte

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Ogni mese la redazione di Amadeus seleziona per i suoi lettori i dischi migliori. Tra i consigli di novembre 2018, un disco di Uto Ughi e molto Bach

Ecco le recensioni a cura della nostra redazione. Per capire il nostro giudizio su ciascun disco, pubblichiamo la scala di valutazione.

La scala di valutazione di ogni disco

★ insufficiente

★★ sufficiente

★★★ discreto

★★★★ buono

★★★★★ ottimo
I dischi migliori del mese scelti da Amadeus

Note d’Europa

Uto Ughi, Andrea Bacchetti

Sony 1 disco (Sony) 2018

Un viaggio nel cuore e nella memoria del vecchio Continente e nella storia della sua musica. Un linguaggio universale che non conosce confini. Uto Ughi, per molti “il violino”. Un incontestabile erede delle grandi scuole violinistiche in Italia, propone un pot pourri di capisaldi della musica occidentale, cosiddetta classica, composti tra Seicento e Novecento.

Ad accompagnarlo, dal Tango op. 165 n. 2 di Albéniz e dalla Danza spagnola n. 5 di Granados, passando per il Notturno in do diesis min. op. post. di Chopin e il Rondò dalla Serenata “Haffner” K. 250 di Mozart, fino alla Danza ungherese n. 5 di Brahms e il Valse sentimentale op. 51 n. 6 di Čajkovskij, il pianista di origine genovese Andrea Bacchetti.

«La memoria viene dal cuore. Memoria significa ricordo e la parola ricordo nasce dal cuore. Per me la memoria è ispirazione», spiega Ughi nell’illustrare la scelta delle celebri pagine proposte in questo disco inciso per l’ etichetta Sony. L’intesa tra i due appare consolidata, si ascoltano, si seguono, facendosi portavoce dei desiderata di chi quella musica l’ha concepita. Fedelmente, senza mai trascurare la fonte, il testo.

Un omaggio alla memoria e alla tradizione musicale europea che, con riferimento al suo promotore e alla intera vita da lui dedicata alla musica, così descrive nelle note di copertina il musicologo Sandro Cappelletto: «Di una persona che non è scesa a compromessi con la sua arte; nel bene e nel male, con le sue qualità, i suoi limiti, ha provato sempre a servirla con onestà».

Luisa Sclocchis

I dischi migliori del mese scelti da Amadeus

The Rotterdam Philharmonic Orchestra Collection

The Rotterdam Philharmonic Orchestra, Yannick Nézet-Séguin

Dg 6 cd (Universal) 2011-2016

Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★

Un ritratto di un’orchestra di grande tradizione e del suo direttore principale. Questo il significato del cofanetto di 6 cd. Raccoglie un vario repertorio sinfonico da Haydn al contemporaneo Mark-Anthony Turnage eseguito dall’Orchestra Filarmonica di Rotterdam con la direzione di Yannick Nézet-Séguin (a capo della formazione olandese dal 2008).

Il corposo programma comprende anche tre Ottave Sinfonie (Beethoven, Dvořák, Bruckner); Francesca da Rimini di Čajkovskij; Nocturnes di Debussy; la Decima di Mahler (nell’edizione di Deryck Cooke); e poi la Quarta di Šostakovič, il Concerto per orchestra di Bartók.

La qualità dell’orchestra si coglie sin dalle trasparenti tessiture e dalle leggerezza della resa di Haydn e di Beethoven; si fa parimenti apprezzare tanto nella densa scrittura di Bruckner e Mahler quanto nelle pagine novecentesche.

Alcune delle interpretazioni di Nézet-Séguin, specialmente quelle delle grandi Sinfonie, meriterebbero di essere analizzate; in termini generali si può dire che si ascoltano qui esecuzioni smaglianti con un gran gusto della performance dal vivo, alimentate da vivacità ritmica, sensibilità timbrica, chiarezza nella condotta e nell’articolazione formale del discorso sinfonico e da un ammirevole senso dello stile nella restituzione di autori tra loro tanto diversi e lontani.

Cesare Fertonani

I dischi migliori del mese scelti da Amadeus

BACH, Sanssouci

Massimo Mercelli, Ramin Bahrami

Decca 1 disco (Universal) 2017

Questo disco propone versioni per flauto e pianoforte di Trio Sonate per flauto, violino e continuo. Non inorridiscano i puristi perché ci sono elementi per farne un disco speciale. Le musiche: un testa a testa fra Bach senior e Carl Philipp Emanuel, della prole musicale del sommo Johann Sebastian il meno problematico in materia di delicati debiti psicologici nei riguardi di un tanto padre. Lui col genitore ci collabora. E il fatto che sia un indovinello scovare chi ha fatto cosa nel Trio Sonata Wq 141 la dice lunga sulla maestria di Carl. Quando poi fa per i fatti suoi, il contrappunto del babbo è solo un ricordo.

Emerge una nuova sensibilità (Trio Sonata Wq 149) potenzialmente irrequieta e visionaria. Aspetto che Ramin Bahrami – finissimo interprete bachiano – e Massimo Mercelli al flauto limano con garbo e cura da veri amanti, anche in virtù di chi e cosa stava dietro a queste musiche: Sanssouci, rifugio estivo di Federico II di Prussia collegato al castello di Potsdam da un paradiso di fiori, frutteti, terrazze e ameni padiglioni dal richiamo esotico.

Lì il monarca – flautista per diletto – migrava nei mesi caldi con al seguito il suo parterre musicale, fra cui Bach junior. E lì, nel 1747, chiamò anche il di lui padre, chiedendogli di improvvisare un pezzo a 6 voci su un suo soggetto di fuga. Questi improvvisò in contrappunto a 3 voci (la lunghezza del regal tema non permetteva altro): bozza di quello che diverrà l’Offerta Musicale al cui interno c’è anche un’amabile e “modaiola” Sonata a tre (BWV 1079). Può suonarla un monarca dilettante? Sì, e non c’è dubbio che Carl Philipp ci ha messo del suo sotto l’occhio bonario di papà.

Nicoletta Sguben

I dischi migliori del mese scelti da Amadeus

Géza Anda Concerto Recordings

Géza Anda, Orchestre e direttori vari

Dg 12 cd (Universal) 1960-1971

Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★

Il giovane pianista ungherese Géza Anda (1921-76) scelse Berlino per perfezionarsi. In Germania le sue qualità musicali furono ben presto valorizzate. A vent’anni già aveva suonato nel tempio della Filarmonica di Berlino, tanto che il pontefice massimo della musica tedesca, Wilhelm Furtwängler, gli affibbiò la qualifica perfetta: «trovatore della musica». Un trovatore però che non insisteva a rispolverare l’eredità del tardo-romanticismo; piuttosto si confrontava con l’estetica dei tempi nuovi, permeata dall’asciuttezza della “nuova oggettività”.

Non è un caso se Anda si occupò meravigliosamente non solo di Schumann e Brahms, ma di tutti i concerti del suo conterraneo Béla Bartók. La ristampa delle registrazioni dei Concerti con orchestra (dominata dai venticinque gioielli per pianoforte di Wolfgang Amadeus Mozart, in cui Anda sostiene l’impervio duplice ruolo di solista e direttore), ci restituisce un interprete ancora affascinante. Sul prediletto pianoforte Steinway, Anda stemperava la sua prepotente natura musicale con bagni di moderazione, alla ricerca di un suono sempre convincente, rotondo ed elegante.

Certo non era facile trovare una strada personale in un periodo storico in cui erano appassiti da poco il tocco sovrumano di Dinu Lipatti e il candore luminoso di Clara Haskil. Anche accanto a quei modelli unici, il suo Mozart conserva un alto valore interpretativo, che poco o nulla ha da invidiare ad altre seguenti integrali dei concerti mozartiani (Ashkenazy, Barenboim, Brendel), come a parecchie superfetazioni storicamente informate.

Giovanni Gavazzeni

Alma Española

Isabel Leonard, Sharon Isbin

Bridge 1 disco (New Arts International) 2017

Artistico: ★★★★ Tecnico: ★★★★

Questo interessante disco è principalmente incentrato sulle suggestive liriche per voce e pianoforte di Federico García Lorca e Manuel de Falla, qui nelle versioni per voce e chitarra. Del grande poeta e drammaturgo spagnolo – che suonava il pianoforte e la chitarra – sono eseguite nove delle tredici Canciones españolas antiguas.

Strano che le due interpreti, come si legge nel booklet, non avendo trovato una trascrizione per voce e chitarra abbiano dovuto realizzarne una ex novo, quando invece esiste da tempo un arrangiamento curato da Venancio García Velasco (U.M.E., 1970) e una incisione di Teresa Berganza e Narciso Yepes (Deutsche Grammophon, 1977). Di de Falla vi sono invece le Siete canciones populares españolas; completano il disco Aranjuez ma pensée di Rodrigo, Granada di Lara, due canzoni di Montsalvatge e un paio di brani per chitarra sola.

Il disco è piacevole e ben eseguito, con una particolare nota di merito per la cantante Isabel Leonard. Peccato trovare in un repertorio così colto e importante il celeberrimo Adagio del Concierto de Aranjuez in una versione francamente un po’ kitsch, caratteristica questa anche dell’altrettanto famosissima Granada.

Ci ha colpito nel libretto allegato la presenza dei nomi di art director, stilisti, truccatrice e parrucchiere per le fotografie delle due artiste, quasi come in un book di fotomodelle. Non pensavamo – forse ingenuamente – che in un disco di musica classica fossero informazioni così rilevanti. Evidentemente, la cura dell’immagine è ormai diventata un fattore importante come i dati tecnico-musicali.

Marco Riboni

disco

In Nomine

Ciro Longobardi, Michele Rabbia, Daniele Roccato

Stradivarius 1 disco (Milano Dischi) 2016

Artistico: ★★★★ Tecnico: ★★★★

Omaggiare Giacinto Scelsi con un disco di improvvisazioni è scelta quanto mai azzeccata. Il compositore romano, figura antiaccademica e radicale, nevrotico visionario dalle spinte frequentazioni esoteriche, affidò, infatti, all’improvvisazione la propria tecnica compositiva: registrava su nastro magnetico le proprie improvvisazioni (tanto su strumenti tradizionali quanto su strumenti avanguardistici come l’ondiola), demandando poi la loro trascrizione ai suoi collaboratori.

In quest’incisione, Ciro Longobardi (pianoforte, organo e samples), Michele Rabbia (percussioni) e Daniele Roccato (contrabbasso) ci consegnano le loro impressioni «thinking of Giacinto Scelsi», pensando a Scelsi. Ne risulta un quadro fortemente scelsiano; non solo nei presupposti (l’improvvisazione come guida), ma anche nella sonorità.

In Nomine mutua il titolo da In Nomine Lucis (brano per organo di Scelsi del ’74); un “moto immobile”, una palude a-ritmica popolata da minuscoli ma costanti scavi sonori e non (uguale ricerca timbrica anche in Mirage, Cyann, Le tre figure, Le grande ventre).

Evidenti influssi scelsiani microtonali nei lamenti del contrabbasso (Octobre) o nelle micro-melodie pianistiche (Spirale); riverberi jazzistici nei brani di maggior sperimentazione ritmica (Aath, Eufonia, Kroor); cameo, in Michiko, per la voce di Michiko Hirayama, collaboratrice di Scelsi; fino alla chiusura del cerchio con Incantesimo in cui le due dimensioni scelsiane – suono e ritmo – vanno a braccetto.

Mattia Rossi

disco

Octets

I Solisti della Scala, Andrea Vitello

Warner 1 cd (Warner) 2018

Artistico: ★★★★ Tecnico: ★★★★

Come un albero dove Stravinskij è la radice: scrive bene nel booklet Guido Barbieri, sottolineando come questo humus sia stato capace di nutrire tanto la storia musicale del ‘900 che i suoi rami più nuovi. Ne è un riflesso anche questo disco, che si sviluppa proprio attorno a una simile idea partendo dall’Ottetto per strumenti a fiato di Stravinsky, opera del 1923.

Da questa partitura, e per il medesimo organico sono stati scritti i vari brani incisi nel disco; tra cui l’Octet di Peter Eötvös – ultimato nel 2008 in memoria di Karlheinz Stockhausen – l’Ottetto di Alessandro Elia (2016), By Heart del lettone Albertas Navickas (2017) e Gargoyles in Love di Rita Ueda.

Quattro voci della contemporaneità affidate agli otto musicisti dei Solisti della Scala concertati da Andrea Vitello, direttore italiano che ha una particolare predisposizione per il repertorio del più stretto presente. A partire da Stravinskij, quattro lavori di ricerca che esplorano i più vari ambiti della materia suono, ampliandone confini, regole, barriere: è il caso dell’Ottetto di Alessandro Elia basato sull’utilizzo di diversi temperamenti, tecnica definita polisistemismo, piuttosto che la rarefazione astratta di By Heart di Navickas, dove gli strumenti oscillano tra note, soffi e respiri inarticolati, privi di un’altezza determinata.

A conclusione del disco, la pagina acida e spigolosa della giapponese Rita Ueda; il titolo rimanda alle creature mostruose che nell’architettura medievale costituivano la parte terminale delle grondaie.

Edoardo Tomaselli

Il disco del mese: le proposte di Amadeus

The Silver Trumpets

Brass Ensemble of the Sistine Chapel

Dg 1 cd (Universal) 2018

Artistico: ★★★★Tecnico: ★★★★

In origine fu il gruppo dei Pentaphon Brass: musicisti che si unirono con l’idea di riproporre repertorio originale per ottoni e trascrizioni inedite, coprendo un periodo storico compreso tra il rinascimento e il pop. Era il 2000: nello stesso anno la Pentaphon Brass ha iniziato una collaborazione con la Cappella Musicale Pontificia Sistina.

Dieci anni più tardi, con la nomina di Massimo Palombella a maestro della Cappella Musicale Pontificia, i solisti del Pentaphon sono stati scelti come gruppo di ottoni per riportare in Vaticano la tradizione delle Trombe d’Argento, inno che nel secondo Ottocento veniva suonato durante le solenni celebrazioni presiedute dal Papa in San Pietro.

Dopo una serie di registrazioni sempre per Deutsche Grammophon (Habemus Papam, The Music of Conclave e In Patrum Cardinalium Collegium) esce ora per la stessa etichetta un disco antologico che raccoglie incisioni effettuate negli ultimi anni durante diverse celebrazioni solenni, ordinate secondo il criterio dello svolgersi dell’Anno liturgico.

Anche in questo caso, un disco che copre un ampio periodo temporale spostandosi tra Gabrieli (Sonata Pian e Forte), Bach – con una rosa di trascrizioni ordinariamente eseguite al termine delle celebrazioni papali, tra cui l’Ouverture della Suite per orchestra BVW 1066 – Gounod (Marcia Pontificia), Giovanni Longhi e Domenico Silveri (autori delle delicate e cantabili Marcia e Larghetto religioso che aprono il disco) fino alla Fanfare on the Gregorian theme “Tu es Petrus” dello stesso Palombella, che chiude un solenne percorso religioso affidato al mondo degli ottoni.

Edoardo Tomaselli

I dischi migliori del mese scelti da Amadeus

BACH, Sonate a cembalo obligato e traversiere solo

Laura Pontecorvo, Rinaldo Alessandrini

Arcana 1 cd (Self-Tàlea) 2017

Artistico: ★★★★★Tecnico: ★★★★★

Nel 2015 un “vecchio” flauto viene messo in vendita attraverso eBay. Il flautista tedesco Leonard Schelb lo nota per caso e lo acquista. Quando lo riceve si accorge che si tratta di uno strumento eccezionale. È di legno di bosso con anelli d’avorio e una chiave d’argento. È in buone condizioni e la fattura, molto accurata, è indizio di grande professionalità.

Lo strumento è databile tra il 1720 e il 1730. Su di esso è riportato il marchio: Buffardin Le Fils. Schelb decide di risalire alla sua provenienza e, in parte, ne ricostruisce la storia più recente, per poi focalizzare la sua attenzione sulla figura di Pierre- Gabriel Buffardin (probabilmente il più famoso flautista della sua epoca, forse anche costruttore, a lungo attivo a Dresda), senza però chiarire il significato del termine “Le Fils”: che, per ora, è riscontrabile solo sull’esemplare di proprietà di Schelb.

Nel 2017, Giovanni Tardino ha realizzato a Basilea una splendida copia dello strumento. La utilizza Laura Pontecorvo in questo disco di spessore che la vede affiancata a Rinaldo Alessandrini (clavicembalo Cornelius Bom del 1984, copia di un esemplare costruito da Johann Daniel Dulcken, forse nel 1745).

Di Johann Sebastian Bach si ascoltano la Sonata per flauto e clavicembalo in si minore BWV 1030, quella in la maggiore BWV 1032 (il primo tempo nella ricostruzione dello stesso Alessandrini); quella in sol maggiore BWV 1019 (dalla Sonata per violino n. 6 in sol maggiore), e quella in mi minore BWV 526 (dalla Sonata per organo n. 2 in do minore). Approccio equilibrato, nobile e fascinoso alla musica di Bach: quasi d’altri tempi.

Massimo Rolando Zegna

DEBUSSY, Prélude à l’après-midi d’un faune, La mer, Le martyre de Saint-Sébastien

Philharmonia Orchestra, Pablo Heras-Casado

Harmonia Mundi 1 cd (Self-Tàlea) 2018

Questo disco tutto debussyano rafforza il desiderio ancora insoddisfatto di chi scrive di ascoltare Pablo Heras-Casado dal vivo. L’impressione, almeno da alcune sue recenti registrazioni in particolare con la Freiburger Barockorchester (la Terza e la Quarta Sinfonia di Mendelssohn; Le Ebridi e il Concerto per violino sempre di Mendelssohn con Isabelle Faust; la Terza e la Quarta Sinfonia di Schubert), è di avere a che fare con uno dei direttori più interessanti oggi in circolazione.

Del resto un sano eclettismo nell’accezione migliore del termine, che è cosa ben diversa da un approccio generalista e di routine, caratterizza l’attività di questo direttore; è capace di misurarsi con l’Early Music e la prassi esecutiva storica così come con la musica contemporanea. Nel progetto Harmonia Mundi di omaggio a Debussy nel centenario della morte Heras-Casado dirige qui, alla testa della sempre duttile e affidabile Philharmonia Orchestra, due partiture decisive come il Prélude à l’après-midi d’un faune e La mer, inframmezzate dai frammenti sinfonici dal Martyre de Saint-Sébastien.

Colpisce subito la capacità di Heras-Casado di dare suono alla poetica simbolista, allusiva ed elusiva, e al contempo al chiarissimo senso della forma musicale di Debussy con straordinaria pregnanza. Si respirano fascinazione e mistero da cima a fondo ma alla luce di un nitore di segno folgorante che interpreta Debussy come fonte della modernità e al tempo stesso come protagonista assoluto della sua epoca in esiti performativi memorabili.

Cesare Fertonani

Il disco del mese: le proposte di Amadeus

BERTELLI, Lorem Ipsum

Alda Caiello, Johanna Brault, Lorenzo Gorli, Daniel Palmizio, Divertimento Ensemble, Sandro Gorli

Stradivarius 1 cd (Milano Dischi) 2016-2017

Artistico: ★★★★★Tecnico: ★★★★★

Cinque pezzi costituiscono il programma di questo ritratto discografico di Giovanni Bertelli (1980), compositore veronese che dopo gli studi in Italia ha proseguito la sua formazione a Parigi e che nel 2016 è stato compositore in residence del Divertimento Ensemble.

Proprio a questa esperienza risalgono, almeno in parte, i pezzi del programma: Lorem ipsum per voce, ensemble ed elettronica (2012) che dà il titolo al disco; Amare madre per mezzosoprano e ensemble (2009); Libro d’estate per viola e ensemble (2009-2016); Cascando per violino e elettronica (2011); Forse son proprio vermi per voce e ensemble (2016).

Il Divertimento Ensemble, diretto da Sandro Gorli, con i suoi solisti (Lorenzo Gorli al violino e Daniel Palmizio alla viola) e le voci di Alda Caiello e Johana Brault si prestano con dedizione e bravura a intraprendere l’affascinante percorso, labirintico e ricco di sorprese, delineato dalla successione dei pezzi di Bertelli; pezzi scritti con incisività in punta di penna ma la cui leggerezza e il cui funzionamento per così dire, a tratti all’apparenza quasi meccanico oppure divagante e digressivo porta l’ascoltatore in dimensioni della memoria via via sempre più profonde e imperscrutabili.

Viene alla mente l’immagine e la sensazione stessa di un wandern postmoderno, trafitto da punte lancinanti, pervaso da un senso di perdita dei punti di riferimento e di disgregazione che non lascia spazio a orizzonti consolatori di alcun tipo ma costringe a un lavoro di continua riflessione e presa di coscienza.

Cesare Fertonani

BRAHMS, The Symphonies

Scottish Chamber Orchestra, Robin Ticciati

Linn 2 cd (New Arts International) 2018

Artistico: ★★★★★Tecnico: ★★★★

Ricorderete Robin Ticciati, il direttore chiamato a soli 22 anni, nel 2005, a sostituire Riccardo Muti alla guida dell’Orchestra Filarmonica della Scala. Questo è il disco che segna la fine della sua felice e fortunata collaborazione con la Scottish Chamber Orchestra.

Il risultato di un’intesa consolidatasi nel tempo che ha permesso al direttore d’orchestra britannico di spendere parole tanto accorate nel descrivere i membri della SCO da lui a lungo guidata: «i musicisti sono divenuti il mio respiro, la mia voce. Sono stati capaci di tradurre ciò che, per quel che sentivo, l’autore desiderava esprimere attraverso la propria musica». Una dichiarazione d’amore e fiducia sfociata in questa lettura ispirata, vigorosa ed energica delle sinfonie brahmsiane.

L’ottima resa dell’insieme emerge nei virtuosismi e nell’alternarsi di luci e ombre proprio della scrittura orchestrale del genio tedesco. Ma l’attenzione è principalmente volta alla ricerca di un suono brahmsiano cupo, rotondo e omogeneo, che contemporaneamente custodisca in sé straordinaria trasparenza e colore.

La sfida è presto vinta. L’interpretazione delle quattro Sinfonie di Johannes Brahms non appare mai ovvia o scontata ma raggiunge un interessante ed illuminato compromesso tra una visione tradizionale e la condivisibile esigenza di innovazione. La registrazione, durata due settimane è avvenuta ad Edimburgo nella Usher Hall, venti anni dopo la prima incisione di queste stesse Sinfonie con, sul podio, Charles Mackerras.

Luisa Sclocchis

Il disco del mese: le proposte di Amadeus

DOWLAND, Lachrimæ

Nigel North, Les Voix humaines

Atma 1 cd (New Arts International) 2017

Un musicista amareggiato, acclamato dalle più grandi corti europee, ma ora criticato e sostituito da una nuova generazione di autori ed esecutori inebriata dalle mode musicali. Un artista rattristato dal fallimento dell’obiettivo della sua vita: essere accolto tra i più alti ranghi del sistema musicale inglese. Il ritratto di John Dowland che affiora dalle sue ultime canzoni è buio. È quello di un artista che vive nell’oscurità; una condizione che ammanta le liriche e la musica di molte delle sue opere tarde.

Pagine in cui Dowland canta all’infinito un senso di estraneità, fallimento,  esilio, solitudine; di deterioramento universale del vero amore per il prossimo; canta la difficoltà del vivere. Non è un caso che il termine “lachrimae” ricorra così frequentemente nei titoli delle sue opere. Come nella raccolta per liuto e cinque viole (o cinque violini) che pubblicò nel 1604, quando lavorava in Danimarca: Lachrimæ, or seaven Teares figured in seaven passionate Pavans, with divers other Pavans, Galiards and Almands, set forth for the Lute, Viols, or Violons, in five parts.

In questo disco realizzato per la casa discografica canadese Atma Classique, il liutista londinese Nigel North e il consort di viole da gamba Lez Voix Humaines offrono un’ampia scelta dei 21 brani che costituiscono la raccolta, aggiungendo pagine tratte da manoscritti e altre pubblicazioni di Dowland.

Musiche sublimi che vanno ascoltate e riascoltare, ricche di dissonanze e di sospensioni che sono riflesso dell’agonia di un’anima, espressione dolcissima e assieme spietata di un pessimismo cosmico di cui la lacrima, vera o sonora che sia, è il veicolo per eccellenza. Un percorso del dolore che riflette una luce sinistra ai brani danzanti, ammantato di nobiltà e coraggiosa fermezza da un’interpretazione delicata ma tutt’altro che fragile.

Massimo Rolando Zegna

disco

LISZT, Athanor

Beatrice Berrut, Czech National Symphony Orchestra, Julien Masmondet

Aparté 1 cd (Self-Tàlea) 2018

Artistico: ★★★★★Tecnico: ★★★★★

Athanor, un richiamo ai misteri dell’alchimia. Un nome che ricorda il forno a lunga combustione utilizzato per la produzione della pietra filosofale. Questa la metafora scelta dalla pianista di origine svizzera Beatrice Berrut per simboleggiare la ricerca dell’assoluto nel genio lisztiano. «Come in un processo alchemico Liszt lavora al materiale tematico trasformandolo con il fuoco della sua mente», così recita il booklet del disco edito dall’etichetta francese Aparté.

Dalla macabra drammaticità del Totentanz, introdotto dalla celebre sequenza gregoriana del Dies irae, la sua esecuzione con finezza interpretativa, gusto e grande espressività avvolge l’ascoltatore in un vorticoso susseguirsi di infinite sfumature di colore tratte da alcune delle più note pagine del repertorio pianistico romantico.

Di Beatrice Berrut il quotidiano svizzero Tribune de Genève scrive evidenziando «la sua passione, il suo suono mozzafiato». Ad accompagnarla in questa monografia lisztiana la Czech National Symphony Orchestra, diretta Julien Masmondet; la compagine orchestrale sa assecondarne sapientemente la personale lettura ricca di pathos e vigore.

Dalla forma del tema e variazioni della Totentanz il viaggio prosegue con il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in mi bemolle maggiore S. 124 e il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in la maggiore S. 125 accomunati da un tema che, attraverso continue metamorfosi, alimenta incessantemente il flusso musicale.

Luisa Sclocchis

disco

MAYR, Psalms from Sacri Concentus 1681

Ars Antiqua Austria, Gunar Letzbor

Challenge 1 sacd (New Arts International) 2017

Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★

Nato in Austria nel 1961, Gunar Letzbor è uno dei più estrosi violinisti specializzati nel repertorio barocco. Dopo aver fatto parte per lungo tempo dell’ensemble Musica Antiqua Köln di Reinhard Goebel (e si sente bene…), nel 1995 ha fondato un suo gruppo: l’Ars Antiqua Austria, con cui ha fin qui realizzato una produzione discografica di tutto rispetto. Pubblicata da Challenge Classics, arriva adesso la sua ultima registrazione, dedicata alla musica di Rupert Ignaz Mayr.

Nato nel 1646 a Schärding, nel nord dell’Austria, dal 1683 fu attivo come compositore, violinista e Kapellmeister a Monaco di Baviera, presso la corte di Massimiliano II. Morì a Freising nel 1712. Mayr è considerato un riformatore della musica sacra cattolica della Germania meridionale.

Si ascoltano alcuni Salmi tratti dalla raccolta Sacri Concentus del 1681, ovvero Laudate pueri Dominum, Confitebor tibi Domine, Beati omnes, Nisi Dominus e Venite gentes. Repertorio obbligatoriamente adatto a svelare un altro Letzbor, particolarmente interessato a ricreare un sound più vicino all’estetica barocca (anche a costo di qualche imperfezione).

Da qui la decisione di utilizzare nel registro di alto il controtenore Markus Forster, e in quello di soprano Fabian Winkelmaier (voce bianca del St. Florianer Sängerknabe) e il più noto e apprezzabile sopranista Alois Mühlbacher (che della stessa formazione ha fatto parte in passato).

Massimo Rolando Zegna

Il disco del mese: le proposte di Amadeus

MOZART, Live at Carlo Felice

Andrea Bacchetti, Orchestra del Teatro Carlo Felice, Fabio Luisi

Concerto 1 cd (Ducale) 2018

Un magnifico Mozart: e sono molte le ragioni. A partire da Andrea Bacchetti, chiamato a interpretare il Concerto in la maggiore K 414 e il Concerto in mi bemolle maggiore K 271 “Jeunehomme”. Al suo fianco un direttore come Fabio Luisi, e infine l’orchestra del te atro Carlo Felice. Una combinazione che in questo disco – inciso dal vivo a Genova nel 2013 e nel 2015 – restituisce una lettura esemplare.

Due opere nate in periodi diversi: risale al 1777 il K 271, in cui Mozart (come ricorda Mario Marcarini): «aprì nuove prospettive nel genere del concerto per piano e orchestra… voltando le spalle al gusto galante del suo tempo per imporre un linguaggio radicalmente nuovo ed innovativo… nel taglio della forma, nella condotta dell’armonia, nella tensione continua che si instaura tra solista e orchestra… ».

Un concerto, il K 271, che alla solarità dei due movimenti di apertura e chiusura incastona un Andantino la cui drammatica e delicata bellezza spalanca un abisso sulla visione di un genio; quindi il K 414, opera degli anni viennesi assieme al K 413 e K 415. È il Mozart che si affaccia al mondo come artista puro, che intende vivere della propria musica: anche qui, due opere che trovano in Bacchetti e Luisi interpreti ideali.

Soprattutto Bacchetti, da sempre particolarmente legato a questi concerti. Una lettura, la sua, che rispecchia una lunga e meditata frequentazione con le opere del compositore austriaco. Il tempo gli ha permesso di scavare a fondo in queste partiture e nella loro perfetta linearità, restituendone – con la profondità di anni di studio – una registrazione in stato di grazia.

Edoardo Tomaselli

Il disco del mese: le proposte di Amadeus

MERTZ, REGONDI – Gebeth

Giacomo Susani

Stradivarius 1 cd (Milano Dischi) 2017

Artistico: ★★★★★Tecnico: ★★★★★

Classe 1995, il padovano Giacomo Susani ha studiato con Stefano Grondona e Michael Lewin. Adesso licenzia un nuovo disco per Stradivarius. Il programma espone, in giustapposizione stilistica, otto composizioni di Johann Kasper Mertz – tra cui quella omonima da cui è mutuato il titolo tedesco del disco, ovvero Gebeth (Preghiera) – e quattro di Giulio Regondi.

Dopo le fortune del primo trentennio dell’800, in un momento di profonda crisi per la chitarra, siamo di fronte ai soli due autori, come scrive Marco Riboni nel booklet, che assieme, in parte, a Napoleon Coste «seppero recepire la lezione dei grandi romantici rifuggendo da schemi risaputi e ormai anacronistici». Due artisti accomunati da un acceso spirito creativo e da una vicenda biografica segnata dal tormento e dalla malattia.

La registrazione è frutto della dichiarata convinzione di Susani che l’ambito delle registrazioni è il più adatto per esprimere idee senza compromessi, che è un contesto ideale per presentare in maniera pura e diretta la propria personalità d’interprete e quanto di più genuinamente personale e distintivo esiste nel proprio modo di fare musica.

Da qui la scelta, eccellente, di un repertorio basata su una forte affinità emotiva e la volontà di esplorare – effettivamente con grande immedesimazione – il rapporto tra il chitarrista del presente e la sensibilità del passato.

La scelta di uno strumento storico non dell’800 (Domingo Esteso, 1926), segue la stessa linea di pensiero: ovvero è utilizzato per le sue qualità sonore, come mezzo di espressione assoluto di una ricerca personale. Ottima la ripresa del suono.

Massimo Rolando Zegna

disco

PETRASSI, Orchestral Music

Orchestra della Toscana, Daniele Rustioni

Sony 1 cd (Sony) 2015-2017

Non si può che salutare con soddisfazione la recente attenzione discografica per la musica moderna ma non d’avanguardia del Novecento italiano; un repertorio ricco di musiche di assoluto valore artistico e respiro internazionale ma per lo più negletto. Prendiamo Goffredo Petrassi, per esempio. Qui Daniele Rustioni e l’Orchestra della Toscana ne eseguono quattro partiture (dopo aver realizzato un disco con musiche di Ghedini).

Alla giovanile Ouverture per orchestra (1931) seguono il Ritratto di Don Chisciotte, suite dal balletto in un atto su libretto di Aurel M. Milloss (1947), il Secondo Concerto per orchestra (1951) e Recréation concertante (Terzo Concerto) per orchestra (1952-1953). La solidissima struttura formale così come l’inventiva scintillante di Petrassi sono valorizzate in letture di concentrata tensione interpretativa che esaltano le qualità di una gestualità strumentale inquieta, mossa e febbrile e caratterizzata da un gioco concertante di inesauribile varietà.

Le intenzioni e attenzioni di lettura che Rustioni dedica alle partiture dal punto di vista della cura timbrica così come della tornitura oppure della spigolosità del fraseggio, della profilatura delle linee melodiche, della gestione delle volumetrie sonore sono ammirevoli e degne della ricchezza di significati che si riconosce a un grande classico del Novecento. La musica di Petrassi ne esce attrattiva e vitale, carica di quella energia nervosa ed espressività contegnosa e al contempo lunare che le è intimamente propria.

Cesare Fertonani

Il disco del mese: le proposte di Amadeus

ROSSINI, Semiramide

Albina Shagimuratova, Daniela Barcellona, Mirco Palazzi, Barry Banks, Opera Rara Chorus, Orchestra of the Age of Enlightment, Mark Elder

Opera Rara 4 cd (Warner) 2016

Opera Rara presenta Semiramide con tutti i sacri crismi di un’incisione d’antan. A partire dalla scelta vincente del concertatore e direttore d’orchestra, Mark Elder. Un musicista che alla benemerita propensione per l’opera italiana affianca l’autorità necessaria a rendere palpitante la fantaBabilonia rossiniana.

Elder affronta la mastodontica Semiramide nella sua totale integrità (due ore e venti minuti il primo atto; due ore il secondo). Curando le stupende introduzioni strumentali, i maestosi inni corali e i decisivi recitativi accompagnati. Assecondato dalla non comune coppia vocale protagonista (Albina Shagimuratova-Semiramide; Daniela Barcellona-Arsace), e dalla lodevole prova dei bassi: lo ieratico Gianluca Buratto (Oroe) e Mirco Palazzi, a cui è affidata la straordinaria parte del satrapo assiro Assur, motore diabolico della vicenda.

Meno felice il volenteroso Idreno di Barry Banks (soprattutto in epoca di vacche grasse per la chiave di tenore rossiniana). L’ultima delle 34 opere scritte da Rossini per un teatro italiano mal sopporta scorciatoie vocali o tagli di comodo; ogni parte delle immense scene-campate sorregge l’elemento successivo. Rossini, pur non abbandonando i Campi Elisi del belcantismo, indica il futuro, come riassunto da Alberto Zedda:

«La sontuosa scrittura strumentale dialogante con il canto; l’energica irruenza di un procedere ritmico coinvolgente e la potenza di immagini metaforiche richiamanti l’oscurità dell’inconscio».

Giovanni Gavazzeni

SCHUBERT, Works for Piano 4 Hands

Milano Piano Duo

Da Vinci 1 cd (Egea) 2017

Artistico: ★★★★ Tecnico: ★★★★

Il repertorio per pianoforte a quattro mani ha avuto il suo maggior periodo di diffusione nella prima metà dell’800. Si andavano sempre più affermando sia l’ascolto della musica al di fuori dei salotti più esclusivi, sia la costruzione di sale e teatri destinati alla musica. E, i grandi spazi, richiedevano una nuova potenza sonora e strumentale.

Anche il re degli strumenti s’impose ancor più, raddoppiando gli esecutori alla tastiera (quando non lo stesso pianoforte). Spesso si trascrivevano pezzi famosi e opere celebri per pianoforte a quattro mani o due pianoforti. Tra i vari compositori che si sono dedicati a questo singolare segmento concertistico spicca su tutti Franz Schubert, per la qualità oltre che per la quantità delle opere. E che due giovani musicisti, come Luca Ciammarughi e Stefano Ligoratti, si siano uniti per formare il Milano Piano Duo è un fatto che testimonia come la composizione schubertiana mantenga ancora intatta la sua freschezza inventiva.

Il Duo milanese supera ampiamente la prova, evidenziando arguzia digitale, ricchezza toccatistica e raffinatezza discorsiva; e alternandosi con limpidezza sonora nei diversi e differenti scomparti frasali. Restituendo all’insieme un edonismo uditivo frutto del bel pianismo sciorinato.

Si ascoltano quattro ampi brani del musicista viennese: la Sonata D 617, l’Allegro (Lebensstürme) D 947; le Tre marcie militari D 733; in conclusione, la Fantasia op. postuma D 940. Quello che stupisce in tutta la progressiva evoluzione dell’arte schubertiana è il fatto che il musicista abbia studiato composizione con Antonio Salieri.

Antonio Brena

disco

DONIZETTI, Il Borgomastro di Saardam

Giorgio Caoduro, Juan Francisco Gatel, Andrea Concetti, Irina Dubrovskaya; Orchestra e Coro Donizetti Opera, Roberto Rizzi Brigonoli; Davide Ferrario regia, Matteo Ricchetti regia video

Dynamic 1 dvd (Ducale) 2017

Artistico: ★★★★ Tecnico: ★★★★★

Non si può biasimare la discografia se col primo Donizetti ha sempre tirato via; ma la si deve elogiare quando lo avvicina: è il caso del Borgomastro di Saardam. Opera comica del 1827 dalla sorte già problematica allora, nel 2017 è apparsa al Sociale di Bergamo.

La commedia dove lo zar Pietro il Grande se ne sta in Olanda per imparare le tecniche navali da importare nella sua arcaica Russia non è un capolavoro, ma un divertente libretto-drammetto rivestito da una musica vispa, brillante, di gran ritmo in tutti i sensi. Lo zar è in incognito, con tutte le conseguenze di amori, amicizie, accuse, equivoci, balordaggini.

Lo spettacolo firmato da Davide Ferrario, Francesca Bocca e Giada Masi è un piccolo prodigio di semplicità, efficienza, economia. Tutto corre liscio e comprensibile; la comicità è caricata al punto giusto; qualche deviazione dal mero racconto non fa altro che alleggerire e fantasticare. Dirigendo i complessi bergamaschi Roberto Rizzi Brignoli pela bene la sua bella gatta; una scrittura così fitta e precipitosa non è mai una sciocchezza.

I cantanti sono anche recitanti, tutti. Il protagonista è Andrea Concetti, che solo dovrebbe scolpire di più tanto sillabato alla don Bartolo; e attorno a lui lo zar è l’ironico Giorgio Caoduro, la figlia, l’aggraziata Irina Dubrovskaya; Filmann (l’altro Pietro che innesca ancor più comicità); l’agilissimo Jan Francisco Gatel, con l’aggiunta, sempre assiemisticamente omogenea, di Aya Wakizono e Pietro Di Bianco.

Piero Mioli

disco

VERDI, Otello

Jonas Kaufmann, Marco Vratogna, Maria Agresta; Orchestra & Chorus of the Royal Opera House Covent Garden, Antonio Pappano; Keith Warner regia, Jonathan Haswell regia video

Sony 2 dvd (Sony) 2017

Artistico: ★★★★ Tecnico: ★★★★★

Questa edizione di Otello reca in copertina un estratto della critica del New York Times. Si legge: «Il Signor Kaufmann (…) con calma ha cantato per i secoli a venire. Il suo suono evo­ca memorie di interpretazioni e regi­strazioni classiche di Vinay, Vickers e altri maestri; in una sola notte ha rag­giunto la loro compagnia». Nulla da eccepire, anzi da sottoscrivere.

Da quando Kaufmann è assurto a tenore Numero Uno si sente dire che la sua voce brunita è predestinata per l’Otello. E quest’esecuzione risalente al giugno 2017 conferma anche qual­cosa in più rispetto ai citati grandi pre­decessori. Per esempio la meravigliosa morbidezza con cui canta tutto il Duetto d’amore del primo atto; so­prattutto come emette l’acuto pianissi­mo in smorzando del «Venere splen­de»; oppure la sofferta interiorità del sublime monologo «Dio mi potevi sca­gliare», e in tutto il travolgente finale.

Ma rispetto ad alcuni non citati grandi predecessori del ruolo, come Mario del Monaco o Placido Domingo, non si sente quell’animale folle che agita la parte più oscura di Otello. Kaufmann è come impensierito dalla corretta emis­sione, e a tratti, direbbe Jago, quasi smagato.

Certo l’allestimento non aiuta molto l’atmosfera, mantenendosi fra confusi costumi d’epoca ed elementi di arredamento minimalisti. Un grande aiuto invece lo riceve da Antonio Pappano che riesce nella cosa più difficile: coniugare una partitura michelangiolesca, non abbandonando mai i cantanti, seguendoli passo per passo, respiro per respiro.

Giovanni Gavazzeni

disco

VERDI, Giovanna d’Arco

Anna Netrebko, Francesco Meli, Carlos Alvarez, Dmitrij Belosselskij; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, Riccardo Chailly; Moshe Leiser e Patrice Caurier regia, Patrizia Carmine regia video

Decca 1 dvd (Universal) 2015

L’edizione di Giovanna d’Arco di Verdi che inaugurò la stagione del Teatro alla Scala 2015/2016, giunge in dvd. È occasione propizia per risentire con maggior agio l’opera, lontani dalla fretta e dal clamore dei gazzettieri che travolgono tutto quanto non rientri nell’evento mediatico-planetario. I ricordi di una serata, per quanto prossimi, possono essere fallaci.

Non quelli che riguardano lo spettacolo poco affascinante del duo Leiser- Caurier e la prova superba di Anna Netrebko nel complesso ruolo del titolo. Una prestazione quella del soprano russo, sontuosa per bellezza vocale – oggi senza pari – e sicurezza in ogni registro.

In quella serata, la signora Netrebko conquistava definitivamente il cuore anche del temuto loggione della Scala; si allineava in un Panthoen ideale, con Renata Tebaldi e Montserrat Caballé, sue grandi predecessore nella parte. Intorno a lei fanno ottima corona il tenore Francesco Meli, nel ruolo del pallido sovrano Carlo VII e il baritono Carlos Alvarez, nell’ancor meno simpatico Giacomo padre-delatore di Giovanna.

Nella registrazione video si gode anche di un rapporto privilegiato fra voci e palcoscenico, aiutato dai microfoni che attutiscono eventuali pesantezze foniche del golfo mistico e carenze acustiche della sala. Così in definitiva fanno bella figura sia il gagliardo coro scaligero, istruito dal Maestro Bruno Casoni, che l’orchestra, guidata da un sincero amante del Verdi giovane, Riccardo Chailly.

Giovanni Gavazzeni

Claude Debussy, ascoltando La Soirée dans Grenade
I Salmi di Benedetto Marcello in cd

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