Ogni mese la redazione di Amadeus seleziona per i suoi lettori i dischi migliori. Tra i cd di maggio 2018, anche il disco della giovane stella del piano Filippo Gorini
Ecco le recensioni a cura della nostra redazione. Per capire il nostro giudizio su ciascun cd, pubblichiamo la scala di valutazione.
La scala di valutazione di ogni disco
★ insufficiente
★★ sufficiente
★★★ discrete
★★★★ buono
★★★★★ ottimo
AA.VV.
En Seumeillant Sollazzo Ensemble
Ambronay 1 cd (Self-Tàlea) 2017
Il nome di Sollazzo Ensemble sulle prime potrebbe mettere sul chi va là. E sarebbe un peccato. Mai dare troppo credito alle apparenze. Fondato a Basilea nel 2014, unendo musicisti giovani, di background diversi, ma uniti da un comune interesse per il repertorio del tardo Medioevo e del primo Rinascimento, sotto la direzione di Anna Danilevskaia (viella), nel giro di pochi anni ha conquistato alcuni premi e pubblicato per Linn Records il suo primo disco (Parle qui veut): un successo di critica.
In Italia il gruppo è apparso un paio di volte, a Firenze e Pavia, ed è ai più è sconosciuto. Adesso arriva la sua seconda registrazione per Editions Ambronay. S’intitola En Seumeillant. Sogni e visioni nel Medio Evo. Chi si aspetta il mondo visionario di un Medioevo reso creativo e febbricitante da malattie, fame, e visioni apocalittiche propinate dalla chiesa lo ritroverà in parte solo nel tardo e anonimo El Cant de la Sibilla che apre l’ascolto. Per il resto ci aggiriamo tra le raffinatezze visionarie del tardo ‘300. Come Morte m’a sciolt’, o Amor di Andrea Stefani; La bella stella di Giovanni da Firenze, Fumeux fume di Solage; Puisque je sui fumeux di Johannes Symonis de Haspre e altre dal Codice di Ivrea e da quello di Robertsbridge.
Tutte pagine scelte ad hoc per dimostrare le potenzialità del gruppo: la solidità, la versatilità, la forza, la capacità di creare con poco un “dramma” legato al concreto del reale, come pure visioni sfuggenti che sfumano nell’aria. E poi ancora il virtuosismo, la personalità, la capacità di raccontare, di evocare situazioni rituali, quasi stregonesche e misteriose.
Massimo Rolando Zegna
AA.VV.
The Queens’ Harp
Alchimia Duo
Da Vinci 1 cd (Egea) 2017
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★
È proprio vero che senza cultura non si può vivere. Un concetto, questo, che si scontra con quanto fanno tanti politici italiani che affermano che con la cultura non si campa, causa mancanza di fondi; per poi foraggiare con generosità iniziative, sagre e fuochi d’artificio. Con la cultura non si campa, ma senza cultura non si può vivere. Lo sanno bene tanti nostri giovani e talentuosi musicisti che bussano invano alle porte di amministrazioni ed enti locali.
Questa premessa vuol sottolineare l’importanza e il valore della scelta di due giovani musiciste italiane che stanno portando avanti un loro progetto, quello di far conoscere il repertorio musicale legato all’arpa, proponendo concerti per due arpe. Un repertorio certamente nobile e valido, degno di essere diffuso; ma che fino ad oggi ha trovato pochissimi spazi in ambito concertistico e discografico.
Ecco allora questo pregevole cd nel quale Alessandra Ziveri e Alice Caradente, Alchimia Duo, offrono il meglio delle rispettive qualità esecutive ed interpretative restituendo allo strumento più “nobile” della tavolozza orchestrale tutta la sua specificità timbrica e la sua seducente discorsività sonora. La rarità di questa registrazione viene confermata dal particolare repertorio scelto dalle due arpiste, definito dal sottotitolo del disco: Pre-revolutionary music for 2 harps. Dunque una scelta preromantica, all’insegna di tre compositori francesi come Jean- Baptiste Cardon, Francois Joseph Nadermann e Philippe Joseph Hinner.
Antonio Brena
AA.VV.
Veni Domine
Cecilia Bartoli, Sistine Chapel Choir, Massimo Palombella
Dg 1 cd (Universal) 2017
Cantare musica sacra davanti all’altare della cappella Sistina, con il Giudizio Universale di Michelangelo a pochi passi dev’essere un’esperienza unica: avviene in 12 dei 16 brani di questo disco. Massimo Palombella dirige la Cappella Musicale Pontificia “Sistina”. Nei rimanenti quattro, gli esecutori si sono collocati nella cantoria della Cappella Sistina (luogo in cui storicamente di disponeva), utilizzando due falsettisti al posto dei bambini per il Cantus: come da prassi antica.
Tutti i brani (alcuni per la prima volta in disco) furono composti per le celebrazioni papali; sono conservati nei fondi musicali antichi della Biblioteca Apostolica Vaticana. Il programma è dedicato al tempo liturgico di Avvento e Natale. È stato realizzato studiando a fondo le musiche e le fonti che descrivono le celebrazioni papali e la prassi musicale. Segue un percorso storico-liturgico.
S’inizia con il canto gregoriano dell’introito della terza domenica di Avvento, Gaudete in Domino; si passa all’arcaico e splendido Beata viscera di Perotinus (guest star Cecilia Bartoli). Quindi si giunge a due eminenti cantori-autori della Cappella Sistina del ‘400 (Dufay e Desprez); per proseguire verso l’Epifania con le musiche cinque-secentesche di Palestrina, Giovanni Maria Nanino, Mouton, Victoria, Allegri e Marenzio. L’intenzione di Palombella è di partire da un’edizione critica basata sul manoscritto o sulla stampa antica presente nella Biblioteca Apostolica Vaticana per identificare tutte le sfumature di queste musiche nella ricerca di una crescente pertinenza estetica.
Tutto ciò sta conducendo a una progressiva (epocale) trasformazione del profilo musicale della Cappella Musicale Pontificia, ora più propensa alla leggerezza, all’agilità, alla dolcezza, alle raffinatezze di suoni e colori, ai dettagli, a una migliore gestione dell’acustica della Cappella; tanto da rendere quest’ultima un valore aggiunto e non un problema per i tecnici del suono.
Massimo Rolando Zegna
AA.VV
2018 New Year’s Concert
Vienna Philharmonic, Riccardo Muti
Sony 2 cd (Sony) 2018
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★
La ricorrenza celebrata dai due cd è quella del più celebre evento mediatico di cui Vienna è indiscussa protagonista il Neujahrskonzert, l’attesissimo Concerto di Capodanno. Evento che ha contato 50 milioni di spettatori davanti al piccolo schermo in 93 Paesi oltre all’incisione live in cd e dvd per l’etichetta Sony. Per il 2018 sul podio della celebre Goldener Saal del Musikverein, alla guida della storica compagine orchestrale dei Wiener Philharmoniker, Riccardo Muti.
Il programma si basa, come di consueto, sulle musiche della famiglia Strauss, di Johann I e II e Josef. L’esecuzione è briosa e spumeggiante e non mancano polke, walzer e frammenti da operette. Ma tra le più celebri pagine in musica associate all’inizio del nuovo anno An der schönen blauen Donau di Johann Strauss jr e la Radetzky- Marsch di Johann Strauss padre, questa volta il Capodanno viennese ha parlato italiano.
Tra le innovazioni firmate Muti per quest’ultima edizione alcune esecuzioni associate per la prima volta a questa ricorrenza: Brautschau, Polka française op. 417 e Myrthenblüten Walzer op. 395 di Johann Strauss II, Marienwalzer op. 212 e Wilhelm Tell Galopp op. 29b di Johann Strauss I. E, ancora, Boccaccio Overture di Franz von Suppè e Stephanie- Gavotte op. 312 di Alfons Czibulka. Indubbiamente ineccepibile e collaudata l’esecuzione dei Wiener arricchita però dalla vena di estro italico aggiunta, quello dell’ispirazione degli Strauss a Rossini e a Verdi ma anche alla nostra letteratura.
Luisa Sclocchis
AA.VV.
Viola Galante
Pauline Sachse, Andreas Hecker
Avi 1 cd (New Arts International) 2017
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★
Due validissimi motivi per ascoltare questo prezioso cd. Anzitutto uno strumento ad arco come la viola finalmente protagonista; e poi il repertorio ad esso dedicato che ci svela uno degli aspetti della composizione settecentesca tra i meno conosciuti. Il titolo dell’incisione, Viola Galante, credo stia proprio a indicare questo duplice aspetto. Vale a dire il pieno riconoscimento dell’importanza di uno strumento che nel ‘700 era considerato fondamentale nella pratica musicale, e una riproposizione “essenziale” dello stile galante quale indicatore primario dell’èsprit artistico della mentalità e delle mode dell’epoca.
Fase terminale del barocco, lo stile galante, detto anche rococò per la leggerezza e per il gusto della decorazione, era in sintonia con la mentalità socio-economica di una classe aristocratica dominante che prediligeva l’eleganza alla complessità della realtà. Altrettanto interessanti e tutti da scoprire sono i cinque compositori presenti nel disco. L’ascolto propone brani per viola e clavicembalo, superbamente interpretati dal duo tedesco Pauline Sachse alla viola e Andreas Hecker al cembalo, che hanno anche il pregio di rendere attuali in termini espressivi un itinerario musicale affrontato con una viola Madame Butterfly di Paolo Maggini 1610 e un clavicembalo copia originale di un Michael Mietke del 1700.
In merito ai 5 autori, a parte Philip Emanuel Bach, che è anche considerato uno dei fondatori di questo stile, degli altri quattro si conosce ben poco oltre alle loro opere: William Flackton, inglese; Giorgio Antoniotto, vissuto soprattutto in Olanda; Franz Benda violinista boemo e Siegmund Binder di Dresda.
Antonio Brena
AA.VV.
Sonata n. 3 BWV 1016, Sonata n. 2 op. 36a, Sonata n. 10 op. 96
Yuuko Shiokawa,András Schiff
Ecm 1 cd (Ducale) 2016
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★
Il singolare programma per violino e pianoforte di questa registrazione in puro spirito Ecm è costituito dalla Sonata n. 3 BWV 1016 di Bach, dalla Sonata n. 2 op. 36a di Busoni e dalla Sonata n. 10 op. 96 di Beethoven. Yuuko Shiokawa e András Schiff spaziano tra epoche e stili diversi in un approccio interpretativo affascinante, di ammirevole asciuttezza che sembra tuttavia mirare diritto al centro emozionale delle musiche perché assolutamente estraneo a ogni freddezza o intellettualismo.
Per raggiungere l’obiettivo la coppia di interpreti si concentra sulle peculiarità delle differenti scritture, rinunciando a qualsiasi sfoggio esibizionistico e preoccupandosi invece della resa di un equilibrato rapporto tra l’espressione e la struttura, sia quest’ultima incardinata nel pensiero contrappuntistico come in Bach, nel ripensamento quasi modernista di archetipi formali della tradizione come in Busoni oppure nell’apertura della logica classica alle nuove tendenze romantiche peraltro ancora di là da venire come in Beethoven.
L’esito è comunque ragguardevole: per la profondità del lavoro di scavo intorno alle note, alle frasi e alle pause nonché per la cura nella restituzione dei minimi dettagli nella scelta delle sonorità, del fraseggio e dell’articolazione, anche quando la rilassatezza lirica della condotta appare disarmante, forse eccessiva e perciò discutibile come nella Sonata op. 96 di Beethoven (in un’interpretazione che pare riecheggiare a tratti quella di Menuhin e Kempff).
Cesare Fertonani
AA.VV.
Dresden
Zefiro, Alfredo Bernardini
Arcana 1 cd (Self-Tàlea) 2016
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★
Dresda visse il suo più importante periodo artistico e musicale in piena età barocca, sotto il regno di Augusto II detto “il Forte” (1670- 1733). Pochi anni dopo la sua ascesa al potere, 1694, Augusto avviò una radicale riforma della vita musicale di corte. Sciolse la vecchia Hofcapelle e fondò la nuova Churfürstlich Sächsische Capell-und Cammer- Musique. Una formazione che radunava i migliori musicisti dell’epoca, provenienti dalla scuola francese, così come da quella italiana, auspicando uno stile che riunisse le due “Scuole di pensiero”.
Difficile spiegare il fermento che si creò tra i compositori e gli stessi esecutori. Anche Vivaldi inviò a Dresda musiche destinate espressamente per gli straordinari interpreti di quella corte. Particolare impulso lo ricevettero due strumenti: l’oboe e il fagotto. Tanto che un genere da camera che si affermò a Dresda in quegli anni fu quello della Sonata a 4 per due oboi, un fagotto obbligato e continuo.
Attorno a questo tema ruota il presente, manco a dirlo impeccabile, disco dell’ensemble Zefiro diretto da Alfredo Bernardini ai massimi livelli di concertazione e virtuosismo. Due oboi, un fagotto, un violone (o viola da gamba), una tiorba e un clavicembalo che spaziano come acrobati di lusso (per il pensiero, la tecnica, l’espressione e il gusto a cui veramente lasciarsi andare) in un repertorio qui testimoniato da pagine di Johann Friedrich Fasch, Johann Joachim Quantz, Johann David Heinichen, Antonio Vivaldi, Georg Philipp Telemann, Arcangelo Califano e Antonio Lotti. Ripresa del suono esemplare.
Massimo Rolando Zegna
BEETHOVEN
Diabelli Variations
Filippo Gorini
Alpha 1 cd (Self-Tàlea) 2017
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★
Essere considerati, a quasi 23 anni, uno dei più promettenti pianisti della nuova generazione e al contempo uno dei migliori interpreti beethoveniani non è da tutti. Ci sta riuscendo il brianzolo Filippo Gorini, classe 2005. Uno che, tanto per dirne una, è stato invitato da Alfred Brendel, notoriamente molto selettivo con i suoi allievi, a perfezionarsi con lui. A 20 anni ha vinto il concorso Telekom- Beethoven di Bonn e un anno fa il Beethoven-Ring.
La strada sembra dunque segnata per Gorini, che debutta per Alpha Classics con le monumentali Variazioni su un tema di Diabelli. Nonostante la giovanissima età, il pianista si dimostra perfettamente a suo agio con queste pagine: anche nei brani più vivaci (come la Variazione XXIII) sotto le sue mani il tocco è frizzante e leggero, segue un ritmo implacabile e sa rendere la cantabilità nel “pianissimo” delle variazioni più liriche e meditative (la splendida III su tutte).
Non a caso nelle note del cd lo stesso Gorini parla delle Diabelli come di un «esempio supremo di commedia in musica, che spazia dall’umile al sublime» in quattro atti, o meglio archi compositivi che «sembrano portarci in paradiso» e ci ricordano «l’amore e la speranza nell’umanità che Beethoven ha reso emblematici nell’Inno alla gioia di Schiller» Ci sentiamo quindi di unirci all’opinione pressoché unanime della critica internazionale, che dalla Francia all’Inghilterra dichiara con entusiasmo – come riportato dalle pagine di Diapason – che «è nata una stella, e di prima grandezza»
Claudia Abbiati
BELLINI
I Puritani
Cristina Deutekom, Nicolai Gedda, Sesto Bruscantini, Agostino Ferrin, Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino, Riccardo Muti
Maggio Live 2 cd (La Tosca) 1970
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★
Una sera di quasi 50 anni fa, Cesare Brandi (grande critico d’arte e tenore per diletto), dopo aver ascoltato I Puritani al Teatro Comunale di Firenze, riferì il suo entusiasmo in uno splendido elzeviro sul Corriere della Sera (Canta, Cristina!). La Cristina in questione era «Cristina Deutekom, figura da gentile vitellina frisona, con un fiato senza fine», la quale dava alla melodia di Elvira, «Qui la voce sua soave», «il tono del tramonto e delle prime brume della sera». Dopo l’acuto fu l’estasi («il miracolo di una voce che squarcia il silenzio, e sono prati in fiore, mare tranquillo, notti piene di stelle, lucciole nel grano»).
Brandi e il pubblico fiorentino si innamorarono anche di quanto l’allora ventottenne Riccardo Muti trasse dall’ultima partitura di Bellini. I chiaroscuri e gli echi stereofonici dell’inquietudine romantica; gli oscuri presagi che precedono la follia. E la classe degli accompagnamenti non solo quando cantava la mirabile Cristina, ma anche insieme all’elegante fraseggiatore Nicolai Gedda (Arturo), alla franca sanità delle voci virili scure – Sesto Bruscantini (Riccardo) e Agostino Ferrin (Giorgio).
Si può solo concordare con Brandi, quando concludeva: «Quando il tempo del canto coincide col nostro, e la bacchetta del direttore ci comanda a bacchetta anche noi. Questa è droga, bella e buona, ma felice droga. (…) Ci lascia un’orma come se nella cenere del focolare spento, a Natale, un angelo fosse venuto a piedi nudi per riempirci di doni, noi bambini, che paurosamente non siamo più bambini».
Giovanni Gavazzeni
DEBUSSY
Preludes II, En blanc et noir
Maurizio Pollini, Daniele Pollini
Dg 1 cd (Universal) 2016
Nel centenario di Debussy non poteva non dire la sua Maurizio Pollini; colui che ha investito oltre mezzo secolo di carriera a far comprendere che non esiste una data di nascita delle opere che ne decreta o meno la modernità. Esiste il linguaggio: o è d’avanguardia o non lo è. E quello del francese lo è alla grandissima.
Debussy completa il Secondo Libro dei 12 Preludi nel 1913. Pura evocazione dove il gioco non sta nel riconoscere le distese d’acqua o di brughiera, le foglie morte, le terrazze al chiaro di luna o un eccentrico generale. Sta nel come il pianoforte ruba questi elementi al mondo reale trasformandoli in suggestione: armonicamente sofisticata, formalmente multiforme con suoni volatili, materici, iridescenti, graffianti, friabili, fuligginosi.
Pollini entra in tutto questo con diverse consapevolezze e occorrerebbe un tomo per discernerle tutte. Ma quella che più colpisce (oltre a mani infallibili e scioltissime all’età di 76 anni) è quella timbrica. Dimensione che in Debussy è viatico delle più avveniristiche avventure sonore del secolo. Come dimostra anche En blanc et noir per due pianoforti, tre brani capolavoro dell’ultima produzione il cui colore era paragonato dal compositore ai grigi di Velazquez.
Una tinta apparentemente monocrome con l’abisso della Grande Guerra negli occhi. Vedi il secondo movimento, spigoloso e sinistro, che si dipana fra nebbie e fanfare richiamando una battaglia. Alla seconda tastiera c’è Daniele Pollini, figlio di Maurizio la cui vocazione per la modernità vanta ormai un curriculum che testimonia tempra e valore dell’interprete.
Nicoletta Sguben
CARRARA
Faust in the sky
I Solisti Aquilani, Marco Attura
Warner 1 cd (Warner) 2017
Artistico: ★★★★ Tecnico: ★★★★
Attentissima all’equilibrio e alla delicatezza del tessuto armonico», così è considerata dalla critica la scrittura di Cristian Carrara, compositore friulano tra i più originali della sua generazione. Faust in the sky, sua recente fatica discografica edita da Warner Classics, raccoglie brani tratti dalle tre composizioni originali, scritte tra il 2014 e il 2016. Sono Faust in the sky, che dà titolo al cd, Slot machine e Commonplaces.
A collegarle un fil rouge sonoro. Una sorta di voce narrante che le attraversa, quella del clarinetto, come la definisce Gregorio Moppi nel booklet. Ad eseguire le sue pagine di musica strumentale I Solisti Aquilani diretti da Marco Attura. La scrittura, dal carattere vagamente autobiografico, propone all’ascoltatore uno spaccato della nostra quotidianità. Un insieme di ripetizioni ostinate, di ritmi talvolta ossessivi che in musica, con cenni più o meno espliciti al minimalismo, rispecchiano un nevrotico “continuo tendere”.
Il linguaggio è comunque semplice e diretto, il percorso conduce verso la luce, verso il cielo, verso la salvezza. «Perché in fondo, ciò che conta veramente, è rendere “sacra” ogni cosa che facciamo. Anche la più piccola», leggiamo sulla pagina Fb del compositore. Liberati dalle mille piccole ansie, dai nostri incubi terreni, ripristinate le priorità, potremo tornare a librarci.
«Perché siamo angeli, ricorda la sua musica, certo caduti, comunque ancora con ali che prima o poi ci permetteranno di riprendere il volo», nelle parole di Moppi.
Luisa Sclocchis
DEBUSSY
Le jeune Debussy
Matteo Fossi
Hortus 1 cd 2017
Artistico: ★★★★ Tecnico: ★★★★★
Dopo un’incisione dedicata a Brahms, Schumann e Schubert, l’ultima uscita discografica del pianista fiorentino Matteo Fossi si impernia sul repertorio del francese Claude Debussy nel centenario della morte, e in particolare a un periodo ben definito del suo repertorio, quello giovanile. I brani qui proposti infatti rientrano nel periodo che va dal 1890 al 1904. Tra di loro «si possono ritrovare le basi di tutto ciò che sarebbe arrivato da lì in poi».
Ci sono i tre cicli più celebri e frequentati nel repertorio del primo Debussy, Suite Bergamasque, Pour le piano e Estampes. Evidenziano il debito del compositore nei confronti del Barocco francese e, soprattutto nell’ultimo dei tre cicli, la fascinazione per l’Estremo Oriente e per la Spagna tipica di quegli anni.
Sono inframezzati da brani decisamente meno noti, a cui Fossi sostiene però di essere particolarmente legato, come D’un cahier d’esquisses, un vero e proprio abbozzo pittorico senza il quale, forse, La mer sarebbe stato decisamente diverso, o Rêverie, che trasuda Art Nouveau, o brani che reinventano forme care a Chopin come la Mazurka o il Valse Romantique, per finire con l’ultimo brano in senso cronologico, Masques; forse una rievocazione delle feste galanti e dei personaggi mascherati che le popolavano.
Un percorso che Fossi attraversa con naturalezza, buon gusto e “spirito francese”; grazie anche all’ausilio di un ottimo pianoforte Fazioli che ne caratterizza la sonorità moderna ma duttile, in una spirale di evocazione del primo Novecento.
Claudia Abbiati
HINDEMITH
Symphonic Matamorphosis, Nobilissima Visione, eccetera
Wdr Symphony Orchestra, Marek Janowski
Pentatone 1 sacd (Ducale) 2017
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★
In vita Paul Hindemith (1895-1963) fu l’alfiere maggiore della musica tedesca moderna, oggetto anche di censure in patria – il Ministro per la Propaganda e l’Illuminazione del Terzo Reich (il demone Goebbels) lo bollò come bolscevico atonale; mentre in America, dove fu costretto a riparare, divenne nella pubblicistica locale “il Brahms del Ventesimo secolo”.
Nel trittico di opere scelte da Janowski per questo omaggio hindemithiano, provenienti dal periodo pre-bellico e bellico, il contrappunto stretto delle aspre Kammermusiken aveva lasciato posto alle più suggestive combinazioni concertanti. Per i duri e puri del modernismo iconoclasta, le atmosfere primitive francescane del balletto per Mjasin e il piacere di scrivere per una grande orchestra (la Boston Symphony di Serge Kusevickij) indicavano l’indebolimento dell’ispirazione e il compromesso con il mercato nordamericano.
Il destino di Hindemith fu spesso quello di essere frainteso, così come il suo nome era deformato ai due lati dell’Oceano Atlantico (Hindemith raccolse le storpiature in un taccuino: Mr. Hindemina, Hindewich, Hinderemith, Herr Professor Hinthernit, Segnor Hindemill, Dr. Dindemith, Monsieur Hidelmit, Paul Meredith). Con lo stupendo suono dell’Orchestra Sinfonica della Wdr (già Radio Colonia) e la sapiente guida di Marek Janowski, l’Hindemith dei fertili anni Trenta e Quaranta suona ancora con grande freschezza – ortografia e pronuncia corrette comprese.
Giovanni Gavazzeni
LOCATELLI
L’Arte del violin
Lisa Jacobs, The String Soloists
Cobra 1 cd (New Arts International) 2016
Artistico: ★★★★ Tecnico: ★★★★★
Locatelli si trasferì ad Amsterdam nel 1729, e vi rimase fino al 1764, anno della morte. Ci lavorò come libero professionista, condizione piuttosto eccezionale nel XVIII secolo. La sua autonomia gli offrì il modo di tirare i confini di un suo mondo musicale poliedrico. Qui convivevano il “teatro” senza voce del Pianto d’Arianna, i Concerti “alla Corelli” – i Grossi op. 4 – e le Introduzioni nello stile delle Sinfonie delle Opere buffe napoletane.
Nel 1733, pubblicò una delle raccolte più significative del primo ‘700: L’Arte del violino. Dodici concerti per violino, archi e continuo sul modello vivaldiano ma in cui l’aspetto del virtuosismo è portato a vertici rimasti insuperati nel corso del secolo grazie alla presenza di ventiquattro capricci ad libitum per violino solo, inseriti nel primo e nel terzo movimento di ciascun Concerto. Sono appunto questi ultimi l’elemento più caratterizzante della raccolta che dal punto di vista stilistico riflette i segni del passaggio verso una sensibilità galante.
Di ampio formato, spesso più lunghi dei movimenti che li contengono, i capricci testimoniano il forte legame di Locatelli con la bizzarria barocca e al contempo con un virtuosismo iperbolico del quale si nutrirà Paganini. Qui, dei Concerti nn. 1, 2 e 4 la giovane violinista olandese Lisa Jacobs offre un’interpretazione luminosa, limpida, pulita, ma fin troppo educata, che alla fine penalizza il Locatelli che scardina gli argini formali, le consuetudini stilistiche, che intreccia labirinti sonori, che insegue nuove frontiere, che talvolta si confronta con la mobilità sintattica ed espressiva della parola cantata e recitata.
Massimo Rolando Zegna
LISZT
Sonata in B minor
Michele Campanella
Vdm 1 cd 2017
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★
A Michele Campanella, parole sue, sta stretta la definizione di “pianista lisztiano”; ma nonostante sia un artista versatile e dalle molteplici passioni musicali alla fine si ritorna sempre lì, a quel Franz Liszt che l’ha reso celebre nel mondo e che ancora oggi è fondamentale nella sua vita da interprete.
Questo cd, del resto, non fa che confermare la sua maestria nell’affrontare queste pagine. Anche con l’ausilio di strumenti come lo Steinway “settantamila” del 1892 che, dopo un minuzioso restauro conservativo, è tornato a nuova vita nel 1997 e viene concesso in uso, oltre che a Campanella, solo a Ratko Delorko. E così riflettori puntati sulla maestosa Sonata in si minore, di cui tanto si è detto e scritto («solo cieco rumore», sentenziò lapidaria Clara Schumann), dagli echi faustiani e debitrice dell’ultimo Beethoven.
Ma questo disco contiene molti altri riferimenti alla mistica, alla letteratura e alla mitologia. L’affascinante Ballata n. 2 che apre il disco è legata al mito greco di Ero e Leandro, le Leggende sono ispirate a due episodi delle vite di San Francesco d’Assisi e di San Francesco di Paola, mentre i piccoli Klavierstücke S192/R60 disegnano sfumature malinconiche.
Un percorso che, afferma lo stesso Campanella nelle note del booklet, nella sua complessità tecnica e formale non risulta vacuamente flamboyant ma guarda alla trascendenza. Lo sguardo dell’esecutore, profondo conoscitore del repertorio, non può che condurci con maestria in questo mondo, grazie al suono antico e prezioso dello Steinway d’epoca e al suo ampio bagaglio culturale. Eccellente.
Claudia Abbiati
MAHLER
Simphonie Nr. 9
Swedish Radio Symphony Orchestra, Daniel Harding
Harmonia Mundi 1 cd (Self-Tàlea) 2016
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★
Alla ricca tradizione interpretativa della Nona Sinfonia di Mahler, infoltitasi moltissimo negli ultimi decenni s’aggiunge ora questa edizione diretta da Daniel Harding con l’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese. L’intesa di Harding con il complesso che dirige dal 2007 si manifesta in questa registrazione. La Sinfonia forse più enigmatica e dunque anche più impegnativa dal punto di vista dell’interpretazione è affrontata in un approccio tanto coraggioso quanto consapevole che tenta di fare i conti con le ambivalenze profonde che la sostanziano.
Da un lato, il senso di compendio di un’intera cultura sinfonica e musicale giunta ormai all’inesorabile tramonto con la componente di addio, retrospettiva e nostalgica, che necessariamente lo accompagna; dall’altro, il rilancio modernista delle tecniche compositive e di scrittura orchestrale e le sperimentazioni formali di un pensiero che avrà ampie e risonanti ripercussioni sulle generazioni successive, a iniziare da Schöenberg e Berg.
Harding imprime alla sua lettura una tensione narrativa e drammaturgica vividissima, riuscendo a rendere con cristallina trasparenza e profondità le tessiture più dense e complesse, lavorando con sottigliezza sulle trame contrappuntistiche e sciogliendo con naturalezza i nodi più intricati nel corso del primo e del quarto movimento. Piace e convince, poi, la febbrile e nervosa inquietudine che Harding riesce a far emergere anche dai passaggi più lirici come una filigrana continua.
Cesare Fertonani
MARCHITELLI
Trio Sonatas
Hortensia Virtuosa, Giovanni Rota
Da Vinci, 1 cd (Egea) 2017
Artistico: ★★★★ Tecnico: ★★★★
Quasi un perfetto sconosciuto, Pietro Marchitelli. Nato nel 1643 in provincia di Chieti, entrò nel Conservatorio di Santa Maria di Loreto nel 1657. Come violinista, la sua carriera ebbe come sfondo prevalentemente Napoli. Fu primo leggio in diverse istituzioni musicali della città partenopea (tra cui la Cappella Reale di Palazzo, dove mantenne la sua carica per un cinquantennio) amico di Alessandro Scarlatti, per quanto considerato il fondatore della scuola violinistica napoletana Marchitelli venne presto dimenticato.
È affidato all’ensemble Hortensia Virtuosa, guidato dal violino di Giovanni Rota, il compito di contribuire a riscoprire parte della produzione del musicista di origini abruzzesi, che Charles Burney riteneva essere «uno dei più grandi violinisti d’Europa». Nel disco, interpretato da una formazione che si muove su traiettorie filologiche, vengono riportate alla luce cinque Sonate a tre, a fianco della Sinfonia in sol minore. Due violini, violoncello, cembalo e\o organo, per sonate ugualmente divise in quattro movimenti, spesso precedute da un’introduzione lenta e solenne, che svelano il loro più rigoroso gioco contrappuntistico nel secondo movimento.
Pietro Marchitelli è senza dubbio un figlio del ‘600 e della scuola antica, oltre che esponente di spicco della musica napoletana: eppure, anche nel rigore formale che lo contraddistingue, emergono a tratti elementi di novità e una più moderna sensibilità, i cui echi Corelli avrebbe portato a piena maturità nelle dodici sonate dell’op.V.
Edoardo Tomaselli
MOZART
Piano Concertos 25 & 27
Piotr Anderszewski, Chamber Orchestra of Europe
Warner 1 cd (Warner) 2018
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★
Un pianista dai tempi volutamente dilatati, Piotr Andersewski; la sua prima incisione dei Concerti per pianoforte di Mozart risale infatti al 2002, con la registrazione del n. 24 e del n. 21. Quattro anni più tardi è stata la volta del K 466 e del K 453; adesso esce per Warner una nuova registrazione, con il n. 27 K 595 in sib maggiore e il n. 25 K 503 in do maggiore. Per questo disco, il pianista di origini polacche ha scelto il doppio ruolo di solista e direttore, al fianco e alla guida della Chamber Orchestra of Europe.
Per Amadeus avevamo recensito nel 2015 la sua riuscita incisione delle Suites Inglesi (Warner), e ora si torna ad ascoltare Mozart. Due capolavori per tracciare un percorso nello spirito di un genio. E Andersewski sceglie un approccio quantomai classico, che non si affida mai a scelte interpretative estreme. Il suo è un Mozart levigato, da scoprire nei dettagli, sostenuto da un suono orchestrale concepito come cameristico.
Per questo la scelta di incidere nel doppio ruolo di solista e direttore: è l’idea che il pianoforte dialoghi intimamente con un ristretto numero di strumenti, mentre si fanno più leggere le trame d’insieme, in un dialogo serrato tra tastiera, archi e fiati. Di Andersewski è l’indovinata cadenza che chiude il primo movimento del K 503, mentre mozartiana quella del concerto in sibemolle. Una lettura frutto di un lavoro di ricerca durato anni, che nelle parole dello stesso Andersewski è tuttora in corso, e lungi dall’essere concluso. È il suono della grande tradizione, su uno sfondo di particolari e finezze che comunque rendono uniche queste registrazioni.
Edoardo Tomaselli
MUSORGSKIJ
Pictures at an Exhibition
Orchestra Filarmonica della Calabria, Filippo Arlia
Warner 1 cd (Warner) 2017
Artistico: ★★★★ Tecnico: ★★★★
La Calabria non è certo il posto dove ti aspetti di incontrare i Quadri di un’esposizione di Musorgskij, stante la cronaca di ordinaria follia e sopraffazione a cui la criminalità organizzata costringe la popolazione indigena. La ragione della Russian connection in Calabria è presto detta.
Filippo Arlia, che esegue prima al pianoforte la versione originale e poi dirige la trascrizione per orchestra di Murice Ravel, è nato a Belmonte Calabro, versante cosentino di quel Tirreno, le cui «tempestose, sonanti e torbid’onde» cantò il suo concittadino, Galeazzo di Tàrsia, raffinato lirico petrarchesco e spietato signorotto locale. Non ancora trentenne, Arlia guida l’Istituto musicale della limitrofa Nocera Terinese, intitolato a Čajkovskij. La popolazione studentesca dell’Istituto (ottocento allievi) è un sesto degli abitanti di tutto il borgo.
Il fatto che in una sede così periferica si investa tanto in musica merita encomi e sostegno convinto. Colà, infatti, opera l’Orchestra Filarmonica della Calabria (composta di studenti e professori), realtà che offre futuro e speranze a chi ha scelto la dura via dello studio e dell’arte, compiendo un atto di coraggio non da poco in quelle terre difficili. Warner Classics pubblica il loro primo disco (la duplice versione dei celeberrimi Quadri) e segnala non solo una realtà encomiabile, ma dimostra la serietà degli intenti, la professionalità di questi ragazzi (e non) di Calabria.
Giovanni Gavazzeni
MOZART
Don Giovanni
Christian Senn, Renato Dolcini , Silete Venti, Simone Toni
Warner 3 cd + 1 dvd (Warner) 2018
Ha scritto bene Angelo Foletto, quando ha parlato di questo Don Giovanni come di un «capitolo della storia critica dell’esecuzione moderna del capolavoro di Mozart», sostenuto da un’«esecuzione provocatoriamente e intelligentemente eccentrica». Ma è necessario un passo indietro nel 2017, quando il progetto Don Giovanni è andato finalmente in scena, frutto e sintesi dell’unione di più forze.
In primo luogo la visione musicale del direttore Simone Toni, che ha deciso di riportare a teatro (e registrare) la prima versione dell’opera mozartiana, basata sull’autografo praghese del 1787. Una versione modificata nelle successive riprese europee. E a detta del direttore milanese, si tratta di una stesura molto più dirompente di quella più frequentemente registrata. Complici i musicisti dell’ensemble Silente Venti, e un valido cast di cantanti, emerge un Don Giovanni che ha molti elementi di unicità.
Può non piacere, ma suona così diverso dal solito da sembrare quasi inedito. Nel 2017 è andato in scena a Milano e a Firenze (in collaborazione con Fornasetti e le sue scenografie); adesso arriva la registrazione. Un approccio filologico che è solo il punto di partenza. Sempre Foletto sottolinea come l’ascolto del disco scaraventi letteralmente al centro del palcoscenico. Accade grazie alla strepitosa ripresa sonora, ma qui i tempi sono serrati, il suono è asciutto, tagliente, esplosivo.
E poi la musica, la parola, l’uno aderente all’altro, l’uno al livello dell’altro quasi strumenti e voce fossero un unicum. Don Giovanni corre verso il suo destino senza pause o indecisioni: la musica con lui. Una tensione estrema dove tutto è estremamente chiaro, senza mai una sillaba fuori posto. Un brivido, insomma: di quelli che non capitano spesso.
Edoardo Tomaselli
PROKOF’EV
Visions of Prokof’ev
Lisa Batiashvili, Chamber Orchestra of Europe, Yannick Nézet-Séguin
Dg 1 cd (Universal) 2017
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★
Visions of Prokof’ev è il titolo di questo album dedicato al rapporto del grande compositore russo con il violino. Oltre ai due Concerti, l’op. 19 e l’op. 63, il programma contiene tre trascrizioni per violino e orchestra realizzate per Lisa Batiashvili dal padre Tamás, la Danza dei cavalieri da Romeo e Giulietta, il Gran valzer da Cenerentola e la Grande marcia dell’Amore delle tre melarance.
Prokof’ev è autore che si presta assai bene all’arte interpretativa, sottile e sensibile, di Lisa Batiashivili. La violinista ne rende con intensità avvolgente oppure più distaccata e lunare la vena lirica; ma è anche capace di coglierne e valorizzarne con bravura gli umori, l’ironia e il sarcasmo in ogni sfumatura. Le interpretazioni lasciano il segno per limpidezza di suono, assoluta precisione di intonazione ed eleganza; quest’ultima mai frivola ma sempre sostanziale. Al punto da apparire naturalmente connaturata al gesto esecutivo, sia esso un colpo d’arco o un modo di pronunciare una frase, un passaggio tecnico o la distensione di una melodia cantabile.
Dall’interpretazione dei due Concerti Prokof’ev esce soprattutto come un autore dalla lingua più ricca e dalla tavolozza espressiva assai più diversificata di quanto non accada di norma e il merito di ciò va anche alle attenzioni di lettura alle quali Yannick Nézet-Séguin porta la Chamber Orchestra of Europe, in un’interazione con la solista che ha più della musica da camera che non dell’accompagnamento orchestrale a un virtuoso.
Cesare Fertonani
RANZATO
Musica per violino e pianoforte
Paolo Mora, Milo Martani
Tactus 1 cd (Egea) 2018
Artistico: ★★★ Tecnico: ★★★★★
Non si finirà mai di scartabellare fra i minori; e di trovarvi del buono, alla faccia di una “minorità” che è tale al cospetto di certi giganti incommensurabili. Nella biblioteca del Conservatorio di Como c’è un bel fondo musicale appartenuto a Virgilio Ranzato, nato a Venezia nel 1883 e scomparso appunto a Como nel 1937: ivi frugando, s’è visto bene che il maestro era l’autore non solo del popolare Paese dei campanelli ma anche di parecchia altra musica di valore (cui forse ha nuociuto la fama stessa dell’operetta).
Eccola qua, distillata dall’archetto di un violinista che certo ha in repertorio anche Brahms e di un pianista che non scalpita ma sa seguire e reggere tutti i giochi del solista. Si tratta di venti pezzi, per una somma di 68’ e 11”. Qualcosa può superare i 7 minuti, qualcos’altro appena il minuto; il resto aggirandosi sui 2, 3 e 4. Sono Danze, Romanze, pezzi caratteristici dai nomi più svariati. Triste la Berceuse, come la propriamente detta Serenata triste, e bell’e melodiche le preghiere, la Meditativo (Massenet alle spalle, con quella di Thai?), la Canzone dell’amore destinata a un film, pardon a un “dramma cinematografico” intitolato La canzone del fuoco.
Gustosissimi i casi descrittivi: Il cuculo, dove Mora e Martina immettono anche una certa dose di ironia; La farfalla intorno al lume, una sorta di moto perpetuo piccoletto ma difficoltoso; Il tamburello sardo, onomatopeico e così ben reso dall’andirivieni di forti e piani voluto dagli affiatatissimi interpreti. Nato l’anno di Casella, perché Ranzato non può partecipare alla famosa generazione dell’Ottanta?
Piero Mioli
SCHÖNBERG, BOULEZ
Pascal Gallois conducts Prague Modern
Dmitri Vassilakis, Prague Modern Ensemble, Pascal Gallois
Stradivarius 1 cd (Milano Dischi) 2017
Artistico: ★★★★ Tecnico: ★★★★★
Schönberg e Boulez: l’accostamento di questo programma del Prague Modern Ensemble diretto da Pascal Gallois è sfizioso. Il compositore austriaco muore nel 1951; un anno dopo il ventisettenne Boulez sfogherà i suoi furori iconoclasti in un articolo, intitolato Schönberg è morto. È la constatazione, da parte delle giovani e rampanti generazioni appena uscite dalla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, della fine di un’intera epoca che arrivava dal tardo ‘800, da Wagner, Brahms, Mahler e Strauss.
Tuttavia, al di là di quell’autopromozionale e giovanile requiem saggistico il Boulez interprete dirigerà molto negli anni a venire Schönberg e, tra le altre pagine, anche il sestetto Verklärte Nacht, pezzo forte della presente registrazione che comprende invece di Boulez Dérive 1 per ensemble, la Troisième Sonate e il Fragment d’une ébauche per pianoforte.
La qualità delle esecuzioni pone in luce la cultura cameristica degli strumentisti del Prague Modern Ensemble e la bravura solistica di Dmitri Vassilakis, alle prese con le difficoltà proibitive della Troisième Sonate, mentre Pascal Gallois ha modo di dispiegare, assai più nella resa di Verklärte Nacht che non nella secchezza del gioco di strutture sia pure affascinanti dal punto di vista sonoro e timbrico di Dérive 1, la sostanza di un pensiero interpretativo lucido e propositivo, connotato da un approccio analitico modernista indubbiamente persuasivo.
Cesare Fertonani
WAGNER
Organ Masterpieces
Massimo Gabba
Elegia 1 cd (Milano Dischi) 2018
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★★
Nel 1894, l’organista inglese Edwin Henry Lemare (1865- 1934) si recò al festival wagneriano di Bayreuth. Folgorato dalla musica del compositore tedesco, ottenne il permesso dalla vedova Cosima di eseguire all’organo il primo atto del Parsifal: lo fece il 1° marzo 1898 nella chiesa londinese di St. Margaret.
Le trascrizioni organistiche di Lemare delle pagine wagneriane rappresentano una delle vette del sinfonismo organistico. L’iridescenza timbrica della policroma tavolozza orchestrale venne meticolosamente trasposta sui monumentali strumenti che Lemare concepì con l’organaro Austin (un po’ come, in Francia, Lefébure-Wély o Messiaen fecero con Cavaillé-Coll). In questa preziosa incisione Massimo Gabba si cimenta, sul giovane organo Mascioni di Alessandria (dotato di tuba da 8’), con l’Ouverture dell’Olandese volante, il Preludio del Tristano e Isotta, l’Ouverture dei Maestri cantori di Norimberga, il Coro dei pellegrini del Tannhauser e l’Ouverture del Rienzi.
Pagine profondamente impervie, dall’equilibrio delicato, un repertorio “organistico” con il quale è facile fallire. Eppure qui i trascendentali arrangiamenti lemariani sono affrontati con energico e convincente piglio: tanto le peripezie tecniche presenti ai manuali (come il thumbing, esecuzione simultanea su due tastiere con una sola mano), quanto quelle al pedale (talvolta a due voci, tal’altre addirittura con glissati). A completamento del cd, altre tre trascrizioni wagneriane di Westbrook, Brewer e Dubois. Un Wagner “organistico” di pregio.
Mattia Rossi
KARLSSON
Midsummer Night’s Dream
Mihalcea, Nilson, Brodbeck, Royal Swedish Ballet, Anna von Hausswolff vocals; Alexander Ekman coreografia, Tommy Pascal regia video
BelAir 1 dvd (Ducale) 2016
Artistico: ★★★ Tecnico: ★★★★
Si direbbe la sua cifra personale: Alexander Ekman prende il titolo di un grande classico, suscita le aspettative del pubblico, e produce invece straniamento rivelando un teatro coreografico plurale di gesti, stili, oggetti scenografici, voci, piani narrativi. Lo aveva già fatto con A Swan Lake, del 2014: il celeberrimo balletto ottocentesco era evocato, per essere però allontanato. Ora, nella più recente produzione coreografica, Ekman gioca con il titolo shakespeariano di Midsummer Night’s Dream.
Attenzione però: i contenuti dello spettacolo svedese si dirigono altrove. La festa della notte di mezza estate, che in Svezia si celebra tra il 19 e il 25 giugno di ogni anno, è tripudio di vita che esplode e si afferma in natura, per la terra e per l’uomo. E l’invenzione scenico coreografica di Ekman è basica, espressione di una ritualità del mondo moderno, appiattita sostanzialmente, ma folklorica nella sua immediatezza collettiva e nella sua atemporale allegoricità. Gli scivolamenti nell’acqua di A Swan Lake, qui, si ripropongono nel fieno.
Poi, è il sogno: «ognuno ha un sogno pazzo», scrive Ekman, «un concetto ideale per una mente creativa: puoi fare ogni cosa ti piaccia». La seconda parte dello spettacolo sviluppa una dimensione onirica in cui, fuor di metafora, il palcoscenico accoglie tutti i livelli spartendo il piano della finzione teatrale tra musicisti, soggetto sognante, abitanti del sogno, in una disorganicità multipla di modi e sensi performativi… come accade nei sogni.
Ida Zicari
RIMSKIJ-KORSAKOV
The Tale of Tsar Saltan
Mikhail Vekua, Edward Tsanga, Irina Churilova, Albina Shagimuratova, Mariinskij Orchestra & Chorus, Valerij Gergiev; Alexander Petrov regia, Anna Matison regia video
Mariinsky 1 dvd + 1 blu-ray disc (Ducale) 2015
Artistico: ★★★★★ Tecnico: ★★★★
Per celebrare l’amato poeta nazionale Puskin, Rimskij- Korsakov e il suo librettista di fiducia Vladimir Belskij, trasformarono la Fiaba dello Zar Saltan in una lunga opera. Quadri incorniciati da fanfare squillanti e introduzioni sinfoniche magistrali che descrivono le meraviglie della fiaba; l’onnipossente forza del mare che trasporta la botte con lo zarevic Guidon verso l’isola incantata di Bujan, i carillon ipnotici delle campane ortodosse e i festosi ritmi brillanti del folclore popolaresco.
Il Mariinsky nel riprendere l’opera già nel 2005 ha optato per una scelta antiquaria: le scene sono quelle dipinte nel 1937 da Ivan Bilibin. Incantevole l’idea di proiettare nelle introduzioni spezzoni dell’ultimo cartone animato del patriarca del cartoon russo, Ivan Ivanov-Vano come anticipazioni di quanto avviene nella scena successiva. Per alcuni commentatori queste scelte sono museali e anacronistiche.
In attesa di letture registiche meno chiare, godiamo dei colori sgargianti dell’Orchestra del Mariinskij sotto la guida del camaleonte Gergiev. Direzione che tiene giustamente ad esaltare l’eleganza dello strumentale che mescola Mendelssohn e Wagner al nazionalismo russo. Compagnia vocale tutta solida, dove primeggiano la zarina Militrisa della Churilova e il vocalismo seducente della Principessa Cigno della Shagimuratova.
Giovanni Gavazzeni