Dialogues des Carmélites: peccato per le scene

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Il Teatro Comunale di Bologna ha allestito una singolare messinscena dei Dialogues des Carmélites, di Francis Poulenc. Uno spettacolo riuscito, nonostante una scelta rischiosa in tema di scenografie. Ecco la recensione di Amadeus

Sandrine Piau è Soeur Constance nei Dialogues des Carmélites andati in scena al Comunale di Bologna
Sandrine Piau è Soeur Constance nei Dialogues des Carmélites andati in scena al Comunale di Bologna

Il Teatro Comunale di Bologna ha coprodotto col Théâtre des Champs-Élysées e con La Monnaie di Bruxelles un toccante allestimento del capolavoro di Francis Poulenc, i Dialogues des Carmélites, opera mai vista nella sala del Bibiena.

Le scene

Il regista Oliver Py e lo scenografo Pierre-André Weitz hanno collocato l’azione, scabra, entro una scena astratta e versatile. Era composta da un assortimento di pannelli semoventi grigio su grigio, solcati da suggestive fenditure luminose. Un giudizio? Memorabile la regìa delle luci di Bertrand Killy; evocativa la semplicità visiva nel movimento dei pannelli. Ma all’atto pratico le pretese scenotecniche dello spettacolo hanno messo a dura prova l’apparato macchinistico del Comunale. Si è notata qualche improvvida cesura nella necessaria continuità musicale tra le dodici scene, quattro per ciascun atto.

Una scelta rischiosa

In particolare una protratta interruzione tecnica ha raffreddato l’effetto della scena nella cella dell’infermeria alla fine del prim’atto (una scena clou nello spettacolo). Era stata concepita come se lo spettatore vedesse a volo d’uccello il letto della Priora agonizzante. Ribaltando di 90 gradi la visione, il giaciglio della morente diventa l’immagine di una straziante crocifissione, cui ha dato raccapricciante evidenza canora Sylvie Brunet.

Ma anche la semplice croce luminosa che, nelle intenzioni dello scenografo, si sarebbe dovuta manifestare quasi d’incanto al primo ingresso nel convento, mediante lo scorrimento laterale e longitudinale dei quattro pannelli principali, ha tardato a prendere forma.

Una buona prova, nonostante tutto

Poco male. La valenza simbolica di questa come delle altre icone visive suggerite dallo spettacolo – tra di esse una peregrina Ultima Cena leonardesca – è apparsa pienamente congeniale al terso tessuto sonoro del “dialogo” di Bernanos e Poulenc. Il quale si è potuto valere di due fattori: primo, la trasparente, intensa concertazione di Jérémie Rhorer; secondo, una compagnia a perfetto agio nella sillabazione lieve e duttile dello stile canoro francese, più cameristico che melodrammatico.

Sarà pur vero che (come disse nel 1957 Fedele d’Amico recensendo la prima dell’opera) «niente somiglia tanto a una carmelitana quanto un’altra carmelitana». Ma il pregio raro della partitura di Poulenc sta per l’appunto in questo sommesso e sempre più rarefatto cicaleccio spirituale; nell’esecuzione bolognese è risultato nitidissimo. Spiccavano Hélène Guilmette (Soeur Blanche), la sbarazzina Sandrine Piau (Soeur Constance), il compassato Loïc Félix (l’Elemosiniere), ma anche il coro di casa, istruito da Andrea Faidutti.

Giuseppina La Face Bianconi

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