Jeu de cartes
Aula del pianoforte, un allievo sfida il Maestro Greb con la frase vietatissima: “Non mi piace Debussy…”
Luigi non fa in tempo a pentirsi di essere entrato in aula che il Maestro Greb lo fulmina: «Ovviamente anche tu sei così?». Lo sguardo lanciato da Gualtiero, rannicchiato sullo sgabello del pianoforte, non rassicura affatto lo sventurato che prende tempo: «Ehm… così come?». Come uno a cui non piace Debussy.
Greb sembra sul punto di esplodere ma cerca di contenersi mentre sibila: «Rovinato, inquinato dal cosiddetto stile classico. Anche tu incapace di ascoltare e basta! Senza frapporre tra te e la partitura quell’orizzonte di aspettative che la retorica dei viennesi ha quasi imposto come unico modo di concepire la musica, come se la musica fosse una cosa accaduta due secoli fa a Vienna mentre è sempre dappertutto come dice giustamente Nicholas Cook».
Debussy non è per tutti
Greb è inarrestabile. «Introduzione (se proprio si vuole), primo tema o gruppo di temi, ponte modulante, secondo tema e via così, elaborazione, ripresa, coda (se ti va) e bla bla bla”, sempre questa idea narrativa, questa drammaturgia di contrasti, conciliazioni, cadenze armoniche, coerenze strutturali». Luigi non visto fa in tempo a sussurrare all’amico: «Ma cosa hai fatto?», e l’altro: «Gli ho detto che non capisco Debussy, che non mi piace…». Luigi trasecola: «NON TI PIACE? Ma sei matto?».
Greb incalza: «Ma la vita non è così, la natura non è così: guardate il cielo!», e gira bruscamente la testa dei due verso la finestra. «Vedete? È piovuto da poco, gli alberi grondano acqua; un accenno di arcobaleno da un lato, quel frammento è ancora grigio mentre più in alto il sole riprende a emettere bagliori incerti ma scintillanti. Colori imprevedibili. Nessuno può sapere tra poco come tutto questo si trasformerà.
Questo è Debussy. Il vero grande rivoluzionario che straccia quella lezione e ci dona un ascolto vergine, un paesaggio sonoro inaudito. Per la prossima volta l’analisi del Primo libro dei suoi Preludi. E imparate ad ascoltare la musica e non ad essere ascoltati da lei»
Michele dall’Ongaro