Un Teatro Valli gremito ha accolto lo scorso 16 gennaio il rientro in Italia della Mahler Chamber Orchestra. Seconda delle tre date della breve tournée italiana che l’ha vista acclamata interprete di un programma monografico su Robert Schumann anche il 15 al Teatro Comunale di Ferrara e il 17 al Teatro Grande di Brescia.
Sul podio, Daniele Gatti, consulente artistico dell’ensemble. Tre serate dedicate alla memoria di Claudio Abbado, suo fondatore, nel quinto anniversario della morte. La celebre compagine orchestrale, denominata Chamber per la sensibilità cameristica che ne caratterizza i musicisti, provenienti da una ventina di differenti paesi, nasce infatti nel 1997 su impulso di Claudio Abbado e di alcuni membri della Gustav Mahler Jugendorchester.
Nota per la peculiarità di orchestra internazionale “itinerante”, a lungo in residenza artistica a Ferrara Musica, svolge la sua attività prevalentemente in tournée e rappresenta un esemplare modello organizzativo per la sua struttura democratica: è governata dal consiglio dell’orchestra in collaborazione con la direzione avente sede a Berlino. Immaginate ora di essere avvolti dalla musica. Di cogliere l’incredibile affiatamento, la tensione tangibile e la precisione con cui la magistrale esecuzione della MCO ha saputo rendere la personalità di ogni singolo strumento.
La lettura di due delle quattro sinfonie composte da Robert Schumann, la n. 2 op. 61 in do maggiore e la n. 4 op. 120 in re minore ha coinvolto, trascinato, estasiato e stregato il pubblico in sala. L’eleganza del fraseggio, il dialogo tra le sezioni, ma soprattutto la compattezza sonora e l’amalgama timbrico, fanno di questo ensemble un vero gioiello nel panorama musicale classico internazionale. «Io credo nell’immaginazione… Non sono un pensatore profondo: non riesco mai a seguire conseguentemente il filo che ho ordito talvolta con abilità. Sono un poeta? Diventarlo è impossibile! Lo decideranno i posteri».
Difficile pensare queste parole di Schumann dopo aver sentito tanta poesia sprigionata dalle sue pagine. Della Sinfonia n. 2 in do maggiore per orchestra, op. 61 di Schumann, eseguita per la prima volta a Lipsia, nella Gewandhaus Saal il 5 novembre 1846, diretta da Mendelssohn, frutto doloroso di anni tormentati (1845/46), appaiono chiari il senso di grazia e ottimismo, la conquistata vittoria artistica a fronte di terribili sofferenze interiori. Nella attenta e partecipata lettura di Gatti emergono estrema dovizia di particolari e grande fedeltà all’autore. Un lavoro di cesello tangibile nella cura del dettaglio pensata, condivisa ed espressa dai suoi.
Il programma prosegue con la Sinfonia n. 4 in re minore op. 120, concepita nella sua prima versione tra maggio e settembre del 1841 ed eseguita per la prima volta a Lipsia, nella Gewandhaus Saal, il 6 dicembre dello stesso anno, in cui il rigore dell’architettura sonora lascia spazio a geniali e travolgenti incoerenze che fanno di questo autore uno dei massimi esponenti del romanticismo in musica. Nata come “fantasia sinfonica”, come tentativo di superamento della struttura sinfonica tradizionale, appare improntata su un utilizzo del materiale tematico che ritorna ciclicamente nei diversi movimenti.
Al 1851 risale il suo rifacimento ad opera dello stesso Schumann, una sorta di collegamento dei quattro movimenti in un unico flusso continuo. Dalla qualità dell’esecuzione emerge evidente la conferma della notevole l’intesa della MCO con Gatti. Intesa nata con la collaborazione del 2010, quando l’attuale neodirettore del Teatro dell’Opera di Roma ed ex del Teatro Comunale di Bologna, la diresse nella ‘Lulu’ di Alban Berg ai Wiener Festwochen.
Immagine di copertina Ph. A. Anceschi