Daniele Gatti e la Mahler Chamber Orchestra incantano Bologna

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di Federico Lanzellotti

Un pubblico entusiasta ha accolto mercoledì 19 aprile, al Teatro Manzoni, la Mahler Chamber Orchestra diretta da Daniele Gatti. L’appuntamento, terzo della rassegna “Grandi Interpreti” del Bologna Festival ha mantenuto l’eccezionale livello qualitativo e l’alto indice di gradimento dei precedenti concerti. Precisione, lucentezza del suono, impeccabile affiatamento fra gli esecutori fanno della Mahler una delle orchestre più apprezzate del panorama internazionale: fondata nel 1997, grazie all’impegno di Claudio Abbado, e già diverse volte ospite a Bologna, l’orchestra è attualmente impegnata in una tournée che pone in accostamento le sinfonie di Schubert con pezzi della Seconda Scuola di Vienna. Sul podio la sapiente bacchetta di Daniele Gatti, direttore di rara sensibilità e di sempre riconfermato successo.

La rigogliosa freschezza della Sinfonia n. 3 D. 200 di Schubert ha aperto la serata. L’esecuzione nitida e la perfetta intesa tra gli strumentisti ha sottolineato l’incontenibile brio di questa pagina del 1815, anno in cui Schubert è appena diciottenne. Daniele Gatti, atteso dal pubblico di Bologna con il consueto calore, ha assecondato con gesto sobrio e raffinato la dimensione “cameristica” dell’ensemble, imprimendo la propria interpretazione con autorevolezza, ma discrezione. La celebrazione del dettaglio e del suono rotondo ed espressivo ha caratterizzato il cuore del programma che ha visto, incastonati tra la Terza e la Sesta Sinfonia di Schubert, il Langsamer Satz e i Fünf Sätze op. 5 di Webern. L’accostamento è risultato gradevolissimo ed ha permesso al pubblico bolognese di ascoltare due trascrizioni weberniane di grande fascino. Composto nel 1905, ma eseguito solo nel 1962, il Langsamer Satz (trascrizione per orchestra d’archi di Gerard Schwarz) ha avvolto gli ascoltatori in una sospensione di impalpabile Sehnsucht. La vasta gamma di sfumature – in seno al circolo schönberghiano il pezzo fu definito «Tristano e Isotta condensato in 11 minuti» – è stata enfatizzata da un’interpretazione d’eccezione, tanto profonda da commuovere, e da un’orchestra luminosissima e coinvolgente. 

All’intensa e suggestiva espressività della pagina giovanile, pregna di echi mahleriani e non immemore della lezione wagneriana e brahmsiana, ha fatto da contrasto il puntillismo e la concisione dei Fünf Sätze per quartetto d’archi (trascrizione per orchestra d’archi dell’autore). Anche nelle pagine weberniane la bacchetta di Gatti ha dosato con maestria timbri, dinamiche e respiri, permettendo alle prime parti, spesso impegnate in più o meno estesi ed intensi a solo, di dispiegare le proprie qualità espressive, contribuendo in modo determinante all’interpretazione complessiva.

La dimensione cameristica offerta dall’ensemble è risultata godibilissima anche nell’esecuzione della Sinfonia n°6 D. 589 di Schubert. Definita “La Piccola” per distinguerla dalla n. 9 D.944 che Schumann aveva tosto ribattezzato “La Grande”, la Sinfonia è in realtà ricchissima di sorprese e manifesta estesamente i tratti personali del compositore, sfiorando persino momenti di “estrosità” nella gestione dei motivi e dei timbri. Il direttore ha puntualmente sottolineato i dettagli di maggior fascino con un particolare attenzione verso le punte di humour che il compositore instilla nel IV movimento. L’intesa celestiale fra gli esecutori e l’equilibrio tra l’ideale cameristico e quello più prettamente orchestrale non ha fatto rimpiangere l’assenza di strumenti storici, che pur avrebbero costituito una valore aggiunto, in particolare nella timbrica dei fiati, cui Schubert affida pregnanti a solo. L’antecedente del primo tema dell’Allegro, interamente affidato ai legni, ne fornisce un esempio estremo e straordinario. Un concerto eccezionale che certamente resterà impresso nella memoria del pubblico che, a fine serata, ha ripetutamente chiamato sul palco il direttore.

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