Che il patrimonio musicale e coreutico del Messico sia inestimabile è un dato assodato. Tra i diversi generi, per importanza e longevità, lo “huapango” occupa un posto predominante.
Con tutta probabilità, il suo nome deriva dalla parola “cuauhpanco” che, in lingua nahuatl, allude a qualcosa posto sopra il legno, in riferimento proprio a una piattaforma dove danzare.
È possibile distinguere almeno tre forme differenti: quella classica, conosciuta anche com “son huasteco”, vede protagonisti tre musicisti con violino e due chitarre, la huapanguera e la jarana huasteca, intenti a eseguire una melodia poggiata su ritmi intricati, dettati dal battere a terra dei piedi. Sono invece più numerosi i musicisti che eseguono il “norteño”, anche in questo caso un ballo frenetico e veloce, nel quale compaiono diverse voci strumentali come sassofono, fisarmonica, basso e batteria, senza dimenticare il “bajo sexto”, chitarra a 12 corde messicana. Infine, e non certo per importanza, per lo huapango mariachi, sopraggiungono una moltitudine di artisti.
Uno dei brani più rappresentativi dello huapango è “Cucurrucucú paloma”, scritto del 1954 da Tomás Méndez: sì, proprio quella citata in svariati film e ripresa da ancor più cantanti, tra i quali Franco Battiato ne “La voce del padrone”.
Immagine di copertina: Pedro Infante