Non sempre per lasciare il segno occorrono tinte forti. Talvolta sono sufficienti la grazia e la delicatezza di un acquerello. Hera Hyesang Park, soprano sudcoreano dalla voce adamantina, lascia il segno e lo fa con l’eleganza di una xilografia, con la raffinatezza dell’arte della sua terra. “Energia benedetta e positiva”, il significato del suo secondo nome. Lei, solare, riflessiva e di grande forza d’animo. Un perfetto mix di modernità e tradizione, di gioiosa intraprendenza e timida riservatezza. Reduce dalla recente uscita del suo album di debutto per Deutsche Grammophon, si racconta e ci racconta della sua carriera in rapida ascesa e di questa importante novità.
Riconosciuta internazionalmente come uno dei soprani più talentuosi “accattivante musicalmente quanto teatralmente”, come scrive il Financial Times. Come è avvenuto il suo incontro con la musica classica e l’opera?
«A 10 anni circa facevo parte di un coro ed è allora che ho imparato il significato del “fare musica insieme” senza far prevalere il proprio ego e senza pressioni ma per puro piacere. Non avevo idea di quante responsabilità avrebbe richiesto essere una cantante d’opera. Il mio inizio è stato davvero semplice, amavo cantare e gradualmente volli imparare di più. Durante gli studi alle scuole superiori vidi la Traviata per la prima volta: fu incredibile, rimasi affascinata dai costumi stupendi e dalle voci meravigliose. Tutto questo era oltre la mia immaginazione. Ecco, credo che quello fu il momento in cui iniziai a sognare seriamente di diventare una cantante d’opera».
L’Hildegard Behrens Foundation Award, nel 2018, il primo premio del Gerda Lissner Foundation International Competition, nell’aprile 2016; il secondo premio e premio del pubblico del Montreal International Musical Competition, nel 2015; e secondo premio della sezione femminile dell’International Operalia competition di Placido Domingo nel 2015. Quale è stato il significato di questi riconoscimenti per la crescita della sua carriera?
«Tutti i concorsi a cui ho partecipato sono stati certamente utili ma non li ho mai affrontati con spirito competitivo o vissuti come trampolini per il successo. Il mio scopo è sempre stato incontrare colleghi provenienti da tutto il mondo, trarre ispirazione, imparare, entrare in contatto con fantastiche giurie, porre domande e raccogliere commenti e consigli. Sono molto grata per aver ricevuto questi riconoscimenti ma non è mai stata una priorità la vittoria: per questa ragione credo di essermi divertita molto e aver ottenuto più di quanto mi aspettassi».
Lo scorso maggio 2020 ha firmato un contratto esclusivo con Deutsche Grammophon e al 29 gennaio risale l’uscita del suo album di debutto con i Wiener Symphoniker diretti da Bertrand de Billy: come è nato il progetto?
«Firmare un contratto con Deutsche Grammophon è stato assolutamente un privilegio al di là dei miei sogni. La registrazione è avvenuta durante la pandemia, eravamo in emergenza sanitaria, era luglio, e non è stato semplice trovare la tempistica giusta e l’orchestra perfetta e adatta per quel momento. Fin dal primo giorno della registrazione ognuno di noi, reduce da un periodo trascorso in casa e mosso da un incredibile desiderio di fare musica insieme, ha sprigionato gioia ed energia travolgenti. Così, nonostante fosse il mio primo album e avessi molte ragioni per essere nervosa, pensai che dovevo cantare come sapevo fare, senza ansia. In questo mi aiutò molto il presidente della Deutsche Grammophon che in una email, il giorno prima della registrazione, mi rassicurò dicendomi che tutto sarebbe andato bene. Il suo supporto fu davvero prezioso e riuscii a vivere felicemente il tempo trascorso con loro».
Sulla scelta del titolo “I am Hera”?
«Il titolo “I am Hera” viene da una lunga storia: ero a New York, frequentavo il Metropolitan Young Artist Program. Come giovane artista e ragazza coreana, arrivata in America per studio, sentii affetto intorno a me ma anche grande pressione, tanto da iniziare a chiedermi, sopraffatta: “perché io, perché hanno scelto me, cosa devo fare, quali sono i miei doveri per ispirare altre persone, me lo merito davvero?” Queste domande divennero continue. Inoltre, i miei colleghi comunicavano con i professori molto più liberamente di quanto non facessi io che, proveniente da una cultura fortemente gerarchica, trovavo manifestazioni di arroganza e maleducazione le loro repliche talvolta polemiche. Mi rendevano nervosa, contrariata e terribilmente confusa. Mi spiegarono che era normale in America ma fu difficile da concepire per una ragazza coreana abituata a un rispetto tale per le indicazioni degli insegnanti da contemplare come replica quasi unicamente il si. Iniziai a desiderare di essere come loro, più libera di esprimermi, e ad imitare le ragazze americane o europee. Credevo che mi avrebbe reso la vita più semplice. Finché, quasi alla fine del Met Young Artist Program, arrivò il crollo: avevo perso me stessa, la mia identità. Avevo dimenticato di essere coreana e a mio agio essendo educata, gentile e riservata. Realizzai finalmente quanto fossi unica, insostituibile. E ho compreso l’importanza dell’accettarmi, dell’accettare le mie origini. Mi sono sentita finalmente forte. Avevo ritrovato me stessa. Questa è la ragione per cui ho voluto condividere con il mondo questo pensiero “tu sei abbastanza, ama te stesso, non hai bisogno di cercare di essere qualcun altro, tu sei speciale”. E questo è il messaggio che vuole esprimere “I am Hera”».
L’album comprende arie di Bellini, Gluck, Händel, Mozart, Pergolesi, Puccini e Rossini insieme a musica della sua terra d’origine. Su questa scelta?
«Sono più felice di poter supportare altre persone piuttosto che “ottenere tutta la luce” e brillare da sola. Inizialmente ho pensato a qualche ruolo da diva ma con la pandemia ho ritenuto non fosse il momento di mostrare quanto io fossi meravigliosa ma che la priorità fosse trasmettere gioia. Per questo ho preferito pensare a ruoli molto importanti e necessari sul palco ma che non catturano tutta l’attenzione del pubblico. Mentre la scelta di musiche coreane è legata alle mie origini ma vuol essere anche una sfida. Al Met, al Bayerische Staatsoper o in ogni cd store di classica, non ho mai visto molti asiatici sulle copertine. Per questo riconoscevo che fosse una cosa naturale studiare il repertorio italiano, tedesco, francese, russo, spagnolo e inglese. Ma Deutsche Grammophon ha scelto me, quindi ora vorrei poter a mia volta avvicinare le persone alla nostra musica e alla nostra cultura: il mondo è unito e anche noi abbiamo compositori meno conosciuti, sappiamo come cantare e come amare la musica».
Dopo gli anni alla Seoul National University il trasferimento a New York dove frequenta la Juilliard School of Music poi il Metropolitan Opera’s Lindemann Young Artist Development Program. Come vive a New York una ragazza coreana?
«Inizialmente ero molto confusa. I miei genitori mi hanno sempre insegnato a essere riservata, a non condividere ciò che penso, a essere umile e modesta e a non cercare sempre di essere protagonista: questa è l’umiltà, questa è la modestia. Penso quindi di aver provato confusione riguardo ai concetti di sicurezza di sé e modestia. Da principio ho pensato che essere modesto significasse non essere abbastanza sicuro, per poi comprendere che si tratta in realtà di cose molto diverse: si può essere sicuri e allo stesso tempo molto umili, modesti e grati. Studiando all’estero, facendo molte esperienze e vedendo quanti meravigliosi colleghi e cantanti d’opera fossero umili ma anche sicuri sul palco, ho imparato molto. Da allora so come esprimere me stessa e come esprimere di più nella mia musica».
Considerata un soprano tra i più apprezzati ma anche una donna attraente, elegante e affascinante. Tanto che il suo stile ha catturato l’attenzione della direttrice di Vogue, Anna Wintour, che ha scelto l’abito Giambattista Valli da lei indossato al Gala del Met di New York nel 2018. Quanto è importante oggi l’immagine per una cantante d’opera?
«Credo sia un ulteriore privilegio, non so veramente perché ma la vita mi ha portato in quell’ambiente. Apprezzo molto la moda e ho grande ammirazione per le persone che lavorano in questo settore. Quando ero giovane pensavo che l’opera fosse la forma d’arte più affascinante, la più elegante, ma ora ho capito che ogni settore è fatto di persone che meritano grande rispetto. L’opera è una delle arti che amo ma se posso sognare in grande mi piacerebbe esplorare, comunicare, imparare ed essere ispirata da persone che operano in campi molto diversi. Credo che ogni persona abbia un talento, una qualità meravigliosa. E sono molto curiosa».
Un ruolo che sente più affine alla sua personalità?
«Amo cantare Rosina; a Glyndbourne ho cantato Rosina oltre 15 volte senza mai stancarmi. Amo il suo essere un po’ come Gilda che crede che il Duca di Mantova non sia ricco, che sia uno studente umile e povero. Ecco, Rosina scopre che il suo amato è un conte e reagisce dicendo “tu non mi avrai…mi hai ingannato”. Mi piace la sua umiltà…il fatto che non le importasse della ricchezza ma che volesse unicamente essere felice. Amo la sua personalità forte e luminosa. È alla ricerca della felicità e non perde la speranza. E poi adoro Mozart e sarò onorata di cantare qualsiasi ruolo mozartiano».
Riferimenti tra i grandi soprani del passato?
«Direi Luisa Tetrazzini, ho un suo libro di tecnica che ho letto tante volte. Tecnicamente parlando trovo molto interessante osservare le voci d’opera del passato. Apprezzo la Tetrazzini, così come Caruso. Poi devo molto a Mariella Devia – non penso di poterla definire una cantante del passato perché canta ancora meravigliosamente – mi ha molto aiutato: sai quando studi e una indicazione può cambiare la tua visione e tutto inizia a diventare chiaro? I suoi suggerimenti sono stati preziosi e la ammiro davvero. Così come ammiro la voce di Maria Callas: lei era coraggiosa, impavida e capace di dare tutto sul palco. Non è facile, penso, soprattutto nella vita moderna. Non credo di poter fare lo stesso ma vorrei imparare dal suo esempio».
Sogni e speranze per il futuro nella musica e nella vita?
«Vorrei essere una persona utile al mondo perché ho ricevuto tanto e sono grata per questo. Quindi, se un giorno potessi, mi piacerebbe fare volontariato, aiutare gli altri: dare una speranza a persone che vogliono imparare musica ma non possono. Sento il dovere di diffondere ciò che ho ricevuto e spero di avere l’opportunità di farlo. Poi, mi piacerebbe crescere, non smettere mai di crescere. È il mio obiettivo».
Luisa Sclocchis