#Conversations Labyrinth: un disco “da sogno” per David Greilsammer pianista radicale e poetico

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Luigi Di Fronzo

Dal mito greco di Dedalo al bosco infinito del Finnegans Wake di Joyce e all’Aleph di Borges, il labirinto è sempre stato lo specchio in cui l’uomo va alla ricerca di una verità assoluta. Disseminando tracce su un sentiero apparentemente logico, abbinando gioco, allegoria e artificio creativo per rendersi conto che il centro non verrà mai raggiunto. Di recente un pianista e direttore fra i più eclettici e audaci come l’israeliano David Greilsammer ha dedicato a questo tema una registrazione che dipana percorso circolare. Labyrinth appunto, il titolo del cd uscito alla fine del 2020.

Diciamo subito una cosa, prima ancora di discuterne con lui. Un prodotto così libero nella scelta del materiale non poteva che arrivare da questo solista 43enne, nato a Gerusalemme da una famiglia di cinque fratelli, tutti artisti. Cresciuto e poi entrato nella professione in un ambiente cosmopolita tra Parigi, Ginevra e Tel Aviv, prima di passare alla Juilliard School. «I nostri genitori ci hanno sempre detto che lottare per l’arte e la cultura è sempre importante e che la nostra società ha bisogno di questo per sopravvivere: più arte e cultura significa in sintesi meno disagio e violenza», racconta.

«In questo il ruolo di Gerusalemme, città di profonda bellezza e grandi contraddizioni è stato cruciale: uno luogo fra i più spirituali del pianeta, ma al tempo stesso terribilmente complicato in termini politici, religiosi e sociali. Crescendo lì, mi sono reso conto quanto sia importante il dialogo fra due culture opposte e anche per questo ho sempre cercato dei punti di contatto fra stili diversi. In fondo i miei hanno sempre lottato per la pace tra Israeliani e Palestinesi, portandoci sempre alle grandi dimostrazioni a favore del dialogo fra i due popoli».

Personalità vulcanica e scalpitante, nei suoi trascorsi didattici Greilsammer si è subito reso conto che il vortice di proposte che gravitano in Occidente mostra due imperdonabili lacune: per un pianista le frange estreme del repertorio (vale a dire la musica antica e la contemporanea) vengono lasciate spesso ai margini, travolte e dissipate dalla sciatta indifferenza della programmazione artistica.

E ancor di più che lo stanco rito da concerto (pandemia permettendo) non consente quasi mai argini autentici di libertà, estro e fantasia che lo mettano seriamente in discussione. Al solista o al direttore viene chiesto il più delle volte di firmare un contratto, entrare in sala, fare un bell’inchino, suonare due/tre/quattro/cinque brani ben strutturati e per lo più di repertorio, magari non necessariamente affini fra loro. Quindi congedarsi sotto l’auspicabile diluvio di applausi e rifugiarsi fra le mura di casa. Di fronte a questa logica ancorata a un pensiero di una sconcertante banalità intellettuale, Greilsammer ha iniziato sin dalle sue prime attività professionali a scalpitare con una certa generosità intellettuale.  Scompigliando i programmi (si veda uno dei suoi cd che accosta il sonatismo di Scarlatti alle invenzioni timbriche del pianoforte preparato di Cage), celebrando il genio di Mozart in modo avvincente (l’esecuzione nel 2008 a Parigi di tutte le sue Sonate in una lunga maratona di un giorno, piuttosto che dei suoi 27 Concerti come solista/direttore in una sola stagione) ma anche inscenando curiose perfomance coreografiche.

Ad esempio, in Dance of the Sun con la sua Geneva Camerata che guida da 8 anni: tutti in piedi come all’epoca di Luigi XIV, inscenando qua e là movimenti di danza come all’apice di una festa alla reggia di Versailles, in un’eccitante fusione fra musica, teatro e arti visive. «La missione più importante adesso è quella di aprire la “classica” ad altri stili e a diverse forme d’arte. Dobbiamo smetterla di formulare i concerti come un secolo fa, altrimenti il pubblico sarà lo stesso e i giovani se ne starannoben lontani», aggiunge. «Dobbiamo invece essere radicali, guardare al futuro e mettere insieme diversi linguaggi nel dialogo fra barocco e contemporanea, classica e jazz, rock e romanticismo. Spesso mi chiedo, come posso essere al tempo stesso radicale e poetico? Soltanto seguendo questi due elementi che mi ispirano profondamente posso centrare l’obiettivo di farla diventare meno élitaria, non solo per gli “happy few”». In linea con la natura dei progetti e la sua estetica va dunque a collocarsi quest’ultimo disco, Labyrinth.

Nel booklet del disco Greilsammer si intrattiene sulle ragioni profonde, anche psicologiche che hanno accompagnato da quando era ragazzo la visione labirintica, apparsa in un sogno fatto intorno ai 15 anni. «Ero in piedi, circondato dalle mura di un immenso e infinito labirinto, mai avevo visto un edificio così straordinario: sia terrificante che miracoloso». A un certo punto però, ecco il bisogno impellente di cercare una via d’uscita, di fuga. «Correvo in questo interminabile labirinto aprendo porte, tornando indietro, poi ancora incominciando e perdendomi di nuovo, fino a sentirmi via via più spaventato». Fin quando dei suoni bizzarri, attraenti, astratti gli danno una traccia «come stelle in una galassia» illuminando la strada e guidandolo. Nasce così questo viaggio costellato di simboli. «Nonostante il suo aspetto ipnotico, il labirinto è una struttura che esige dal suo visitatore la necessità di agire nell’immediato: una volta dentro devi andare avanti, tornare indietro, ricominciare, osservare, decidere, cambiare direzione, correre, fermarsi bruscamente, riflettere. Bisogna tener presente che nelle mie registrazioni ho sempre immaginato di creare punti d’incontro imprevisti, che mai però avevano toccato la mia vita. Stavolta invece è stato tutto molto più impegnativo: ci ho messo 5 anni ad elaborare questo album, prima suonandolo dal vivo e poi davanti ai microfoni, perché ho capito che per sciogliere le immagini di un incubo avrei dovuto esprimerlo con i suoni, condividendo l’insolita esperienza con il pubblico».

Così il percorso musicale cancella ogni senso cronologico e spazio-temporale attraverso sei momenti di sosta, brevi capitoli o trittici. E ogni volta due brani di un compositore incorniciano un terzo: ad esempio la toccante poesia in Sul sentiero di rovi di Janàček (La piccola civetta non è volata via e La parola viene meno) fa da contorno a una trascrizione del barocco francese (Les sourdines dall’Armides di Lully), due scatenate e liriche Bagatelle dall’op.126 di Beethoven abbracciano le sonorità da carillon di The Magic Circle of Infinity di Crumb e la ferocia timbrica di due Études di György Ligeti delimita il ricamo imitativo di un Contrapunctus dall’Arte della Fuga di Bach. Ancora, l’immobilismo timbrico di Satie avvolge una Fantasia di Emanuel Bach, il singulto puntillistico del contemporaneo Ofer Pelz avvolge una Ciaccona di Marin Marais, mentre il visionario Scriabin di Pieces Vers la flamme funge da contrasto con la rappresentazione barocca della nascita degli elementi, il dirompente Le Chaos di Rébel. Solo al centro del labirinto con il brano numero 1, svetta il faro solitario di El amor y la muerte, dalle Goyescas di Granados. «Lavorare insieme ai compositori viventi è uno dei traguardi più importanti per un interprete. Noi dobbiamo essere più interessati al linguaggio corrente e a ciò che accade intorno a noi, ogni giorno. Gli autori che vivono oggi hanno più risposte rispetto agli artisti del passato, per questo ho ritenuto opportuno incorporali nel mio labirinto. Quanto alla selezione, volevo proprio che alternasse stili diversi per dare il senso di grande disorientamento nel vortice di un labirinto: i brani commissionati a Pelz esprimono ansia, spirito selvaggio, mentre Kern ha curato l’arrangiamento del Chaos di Rébel (incredibile se si pensa che sia stato scritto 350 anni fa). E fondere passato e presente ha finito per creare un effetto strano, ancor più misterioso».

Alla fine, inevitabilmente il discorso con lui si chiude sul tragico infuriare della pandemia. «L’album peraltro è venuto fuori nel pieno del lockdown, quasi a riflettere l’attuale disorientamento del mondo. Per l’arte e la cultura è un momento catastrofico, anche se ci dà la possibilità di ripensare a un cambiamento. Ma io credo che quando questa enorme crisi mondiale sarà finita il nostro modo dovrà reinventarsi qualcosa di molto diverso, a partire dall’attenzione per l’ambiente». A cosa sta lavorando? «A nuovi progetti multidisciplinari fra musica, danza e teatro, anche con la mia Geneva Camerata che è una formazione atipica, molto eclettica. Avrei dovuto portare la mia performance di musica e danza anche in Italia, speriamo presto».

 

Luigi Di Fronzo

 

 

In cover: David Greilsammer (ph. © Yannick Perrin). Per entrare nell’universo labirintico dell’ultimo lavoro discografico per pianoforte solo di Greilsammer, ascoltate la Spotify Playlist di Amadues dedicata

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