#Conversations Violinisti: per Linus Roth un disco antilockdown sognando la libertà

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Versatile, curioso, open minded e appassionato. Linus Roth, violinista di origine tedesca, trasforma l’improvviso smarrimento dovuto allo stop obbligato dall’emergenza sanitaria in energia propulsiva. Nasce così un nuovo lavoro discografico “Virtuoso Dances”: una raccolta di pagine per violino e pianoforte, incise con il pianista argentino José Gallardo per l’etichetta Evil Penguin Classic, che spaziano da Bartók a Szymanowski, passando per Stravinsky, Piazzolla, Brahms, Wienawskie Bazzini.

Un premio Echo Klassik, nel 2006, per il suo debutto con EMI e uno successivo, nel 2017, per la registrazione dei concerti per violino di Šostakovič e Čaikovskij con la London Symphony Orchestra diretta da Thomas Sanderling, Roth deve parte della propria notorietà a livello internazionale alla particolare attenzione dedicata alla riscoperta dell’opera di Mieczysław Weinberg, compositore polacco di cui nel 2019 si è festeggiato il centenario della nascita. All’attività solistica, accompagnato da blasonate compagini orchestrali e sotto la guida di note bacchette (tra cui Gerd Albrecht, Herbert Blomstedt, Andrey Boreyko e Manfred Honeck), Roth affianca quella cameristica (con nomi del calibro di Nicolas Altstaedt, Gautier Capuçon, Albrecht Mayer, Andreas Ottensamer e Itamar Golan), didattica e di direttore artistico.

L’incontro con il violino divenuto compagno di vita: come e quando è avvenuto?

«Mia madre era un’insegnante di violoncello in una scuola di musica. Avevo 6 anni quando portò a casa un piccolo violino. Fu una grande sorpresa! Mio ​​padre era direttore di coro, organista e insegnante di musica così come mia madre, ma lei insegnava anche violoncello; insomma la musica era sempre presente a casa nostra e per questo desiderai fortemente di suonare uno strumento. È stato il talento di mia madre come insegnante a far nascere e sviluppare il mio interesse per il violino: per me è stato come giocare a un gioco per bambini. E presto mi trovò un’insegnante di violino capace dello stesso approccio. Così vissi le lezioni di violino come un gioco, con tanto di adesivo o palloncino come premio quando facevo qualcosa di particolarmente buono».

Recentissima l’uscita del suo album “Virtuoso Dances” per l’etichetta Evil Penguin: come nasce questo progetto in cui è affiancato dal pianista argentino José Gallardo? 

«Quando nella primavera del 2020 è iniziato il lockdown, tutti i concerti sono stati cancellati, all’improvviso ho avuto parecchio tempo (facevo 60-70 concerti all’anno, oltre all’insegnamento). Così ho ripreso il taccuino in cui annoto molte idee, anche per le registrazioni. Il programma Virtuoso Dances sembrava essere la prima cosa giusta da fare. Dopotutto, per un artista è necessario rimanere produttivo in qualche modo, esternare i propri sentimenti e condividerli con il pubblico. Questa è la nostra vocazione! Non c’era dubbio sul fatto che l’avrei voluto registrare con José, nonostante avessi collaborato anche con altri grandi pianisti. Avevamo già eseguito questi brani in innumerevoli concerti, suoniamo insieme da più di 20 anni! Non abbiamo nemmeno più bisogno di provare, soprattutto perché, semplicemente, ci conosciamo davvero bene musicalmente. Il Grand Tango di Piazzolla doveva essere incluso. José lo suona in modo particolare: ogni volta che lo eseguiamo è diverso, lui improvvisa attorno alle note scritte. Ed è come ricevere un regalo, ogni volta diverso: sempre una meravigliosa sorpresa».

Ha ricevuto importanti premi come ECHO KLASSIK come Best Newcomer, nel 2006, per il CD di debutto con l’etichetta EMI, e un secondo premio ECHO, nel 2017, per una registrazione dei concerti per violino di Šostakovič e Čaikovskij con la London Symphony Orchestra e Thomas Sanderling: quale il significato di queste esperienze per la sua crescita professionale?

«Mandai una registrazione alla Emi e fui contattato da uno dei principali produttori dopo che sentì un mio concerto: così fui invitato a produrre il mio primo cd. Era il 2004 e vinsi l’Echo, il premio della German Phono Academy. Da allora trovai sempre più interessante registrare, lo concepisco come parte dello sviluppo di un artista e così ho continuato. Dopo aver registrato tutto il repertorio per violino di Weinberg in 6 cd, Šostakovič n.2 e Čaikovskij con la London Symphony mi sono sembrati una pietra miliare, e ho avuto la fortuna di vincere un ulteriore premio. Certo, questi riconoscimenti sono stati importanti, ma sarei altrettanto felice dei miei cd senza. Cerco di suonare per ogni produzione discografica meglio di quanto abbia fatto fino alla precedente, proprio come per ogni concerto».

Solista e camerista: come vive queste due differenti modalità del “parlare” il linguaggio della musica?

«In effetti il linguaggio è lo stesso, è semplicemente musica. Forse è l’approccio che cambia: quando eseguo un concerto con orchestra cerco di fare musica da camera con il direttore e i musicisti, sempre consapevole però che lo faccio da solista, ossia che, in qualche misura, sono io a guidare la performance. Ma è molto diverso se esegui i concerti di Berg, Brahms o Beethoven, in cui la scrittura è molto “intrecciata” con l’orchestra, o Paganini invece, dove l’orchestra è davvero l’accompagnamento. Quindi in realtà l’approccio dipende molto dai pezzi stessi. Lo stesso vale per la musica da camera: ci sono brani in cui il primo violino è molto esposto, come per esempio l’ottetto di Mendelssohn – è quasi una voce solista mentre le altre accompagnano. Mentre in altri casi le diverse voci hanno uguale rilevanza».

L’importanza del suo nome a livello internazionale non deriva solo dal repertorio standard, ma anche dalla scoperta o riscoperta di opere cadute immeritatamente nell’oblio…

«È importante mantenere una mentalità aperta e dare una possibilità a pezzi meno conosciuti. In questo modo ho scoperto la straordinaria musica di Mieczyslav Weinberg. Ho conosciuto prima il suo Trio con pianoforte, poi ho scoperto 7 sonate con pianoforte, 3 per violino solo, un concertino con orchestra da camera e un concerto con orchestra sinfonica. Avevo registrato tutto entro la fine del 2014 e sono molto felice che ora, finalmente, anche artisti più famosi come Kremer abbiano scelto di registrare ed eseguire il concerto per violino di Weinberg. Credo che sia uno dei più grandi compositori del Novecento, accanto a Berg, Shostakovich, Bartok e Prokofiev!».

Ha frequentato la classe preparatoria di Nicolas Chumachenco alla Musikhochschule di Friburgo, in Germania, prima di proseguire gli studi con Bron e, successivamente, con Ana Chumachenco a Zurigo e Monaco. Anche Salvatore Accardo, Miriam Fried e Josef Rissin hanno avuto su di lei un’influenza importante. Ha poi ricevuto una borsa di studio dalla Anne-Sophie Mutter Foundation. Quanta importanza hanno avuto questi incontri nella sua formazione?

«Accanto ai miei genitori devo tutto ai miei insegnanti. Nicolas Chumachenco mi ha dato molte delle basi quando avevo 12-15 anni, Bron mi ha poi fatto diventare un violinista che sa stare sul palco – ha davvero la capacità di insegnare questo! E Ana Chumachenco mi ha aiutato moltissimo a trovare la mia voce e insegnato a seguire il mio istinto. La considero la mia “influenza” più significativa. Ho anche seguito delle magnifiche masterclass con il Maestro Accardo a Siena e a Cremona – custodisco e cerco di mantenere vive soprattutto la sua dedizione all’Urtext e la sua integrità musicale, che ho avuto modo di sperimentare anche in numerosi progetti cameristici insieme. Così come Anne-Sophie Mutter ha avuto un ruolo importante poiché è sempre stata molto esigente con me, ma anche un incredibile stimolo e un grande sostegno. Sono molto felice che ci esibiamo ancora insieme di tanto in tanto».

Nell’ottobre 2012 la nomina a professore di violino al “Leopold-Mozart-Zentrum” dell’Università di Augsburg e a Direttore Artistico del X Concorso Internazionale di Violino Leopold Mozart. Ma quali sono oggi le caratteristiche fondamentali di un bravo violinista?

«Le stesse di sempre: lavorare sulla propria tecnica per riuscire a comunicare quello che si vuol dire in musica. Essere fedeli a sé stessi, soprattutto alla propria personalità. Cercare di migliorare ogni giorno, perché non si può stare fermi: o il livello sale o scende».

In qualità di fondatore e direttore artistico dell’International Festival Ibiza Concerts e, dal 2020, direttore artistico del Music Festival Schwäbischer Frühling a Ochsenhausen, quali ritiene siano i segreti per conquistare nuovi ascoltatori? E qual è la sua visione del futuro della musica classica?

«Da un lato penso che la musica classica non attirerà mai la gran parte delle giovanissime generazioni (devi sviluppare la capacità di star fermo per un certo tempo e, semplicemente, ascoltare la musica e permetterle di arrivare a “toccarti”). D’altra parte, c’è ancora molto da fare con orchestre e promotori che offrono alle scuole la possibilità di avere artisti in visita, cosa che considero importante. Il mio festival a Ibiza si svolge in un luogo famoso per altre cose oltre alla musica classica: la scena internazionale dei DJ, i club, le feste ecc. Tuttavia, dopo solo due edizioni il festival è già ben consolidato. La musica classica non perde mai il suo scopo e le persone che l’hanno ascoltata una volta non potranno fare a meno di tornarci».

Attualmente suona il violino Stradivari “Dancla” del 1703 (un generoso prestito della fondazione musicale della L-Bank Baden-Württemberg). Quali sono le caratteristiche di questo strumento? E come descriverebbe il ​​suo rapporto con questo strumento?

«Ho avuto la possibilità unica che questa banca abbia accettato nel 1998 di acquistare lo strumento che avrei scelto. Ho preso tempo e provato molti strumenti tra cui Stradivari, del Gesù e anche Bergonzi. Ricordo di aver riportato al rivenditore alcuni strumenti eccellenti dicendo “è uno strumento straordinario, ma semplicemente non è per me o non è il mio”. Potrebbe sembrare arrogante in qualche modo, ma ha avuto senso quando ho avuto modo di provare lo Stradivari “Dancla” del 1703. Mi è bastato solamente accordarlo per poter dire al proprietario che era esattamente lo strumento che stavo cercando. L’ho capito immediatamente. Sono davvero grato che la banca abbia deciso di acquistarlo e prestarmelo».

Quali i suoi sogni per il futuro per la musica e, in genere, per la vita?

«Sogno di fare di nuovo musica per una sala gremita, senza mascherine o controlli di alcun tipo. In realtà sogno la libertà che abbiamo vissuto tutti prima di marzo/aprile 2020, e lotterò per il nostro diritto a riaverla!».

 

Luisa Sclocchis

 

 

In cover: Linus Roth (ph. © Dan Carabas)

 

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