#Conversations Raffaele La Ragione e il mandolino di Beethoven

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Talento da vendere, passione per la ricerca musicologica e trasversalità del repertorio. Ecco i “segni particolari” che meglio definiscono l’identità artistica di quello che può essere considerato a tutti gli effetti come una delle punte di diamante della jeune école mandolinistica italiana. Musicista dallo schietto fascino partenopeo, Raffaele La Ragione è nato a Napoli nel 1986 ma attualmente vive a Brescia. È stato salutato dalla critica francese come il Gustav Leonhardt del mandolino (Le Monde) dopo l’uscita di Beethoven and his Contemporaries (Arcana, marzo 2020), il suo nuovo progetto discografico realizzato insieme al fortepianista torinese Marco Crosetto. Nelle interpretazioni di La Ragione si respira a ogni tratto una sensibilità estrema per il timbro, l’emozione del suono, un gusto per la poesia e una seducente intensità lirica. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per conoscerlo meglio e sapere qualcosa di più sul nuovo cd, in vista di una serie di concerti che, a breve, lo vedranno protagonista: a Torino e Milano per il festival MITO (8 e 18 settembre) e a Napoli per la Fondazione Pietà de’ Turchini, in occasione di Piano City Napoli 2020 (11 settembre).

 

Passione per il mandolino e per la ricerca musicologica: un connubio inscindibile.

«Il mio rapporto con il mandolino risale a quando ero giovanissimo. Nel momento in cui decisi di trasferirmi a Bologna per frequentare il DAMS – mi sono poi laureato con una tesi sulla tradizione liutaria e musicale della famiglia napoletana dei Calace – ho dovuto necessariamente trasferire anche gli studi di mandolino, entrando nella classe di Ugo Orlandi – dapprima al Conservatorio di Padova e poi a quello di Milano. Il problema di ogni mandolinista classico è quello di scontrarsi con una limitata disponibilità di materiali: per questo motivo la ricerca delle fonti, il rapporto diretto con i manoscritti, l’approfondimento dei fattori organologici e performativi sono qualcosa che mi ha sempre accompagnato. Certo, in una società frenetica, uno studio del genere potrebbe sembrare poco economico, anche rispetto al tempo impiegato…»

…però la prassi storicamente informata si impone, d’altro canto, come una necessità.

«Sicuramente! Per affrontare un certo tipo di repertorio bisogna porsi delle domande piuttosto serie ed effettuare una attenta analisi delle partiture: le edizioni, come si sa, non sempre sono fedeli. Interrogare le partiture significa arrivare a formulare molte ipotesi, con l’obiettivo di trovare un’unica soluzione».

Spesso una lettura può risultare così pertinente da assumere non solo il valore di una retrospettiva del passato ma, in qualche modo, di un oroscopo per il futuro.

«Mi viene in mente il caso della Sonatina in in do minore WoO 43/1, dedicata alla contessina Josephine von Clary Aldringen. Nella ripresa, Beethoven scrive delle variazioni che successivamente cancella (non si sa il perché!). Di questa breve sezione musicale, che dura circa un minuto e mezzo, io e Marco Crosetto abbiamo preferito offrire all’ascoltatore la versione con le “diminuzioni” originariamente scritte dal grande compositore di Bonn, divergendo in tal modo da tutte le altre incisioni di questo brano».

Il suo nuovo disco parla del rapporto di Beethoven con il mandolino. Ma qual era la tipologia di mandolino a cui Beethoven pensava?

«La mia preoccupazione è sempre quella di eseguire ogni brano con lo strumento verosimilmente – e storicamente – più adeguato. In questo caso, non c’è alcun dubbio che la letteratura mandolinistica beethoveniana si riferisca a uno strumento accordato per quinte. A cavallo fra Sette e Ottocento è assai probabile che in Austria circolassero tanto il mandolino napoletano quanto quello bresciano (o cremonese), diffuso nella zona del Lombardo-Veneto. Per il disco ho scelto di utilizzare quest’ultima tipologia, con corde di budello realizzate appositamente per me – dopo lunghe ricerche e molte chiacchierate insieme – da Mimmo Peruffo, una vera leggenda fra i cordai, fondatore della azienda Aquila Corde».

Beethoven and his Contemporaries, che da più parti sta ricevendo entusiastiche recensioni, si configura come tappa fondamentale del suo percorso artistico, inaugurando la collaborazione con l’etichetta discografica Arcana.

«Il 250° anniversario della nascita di Beethoven era un richiamo troppo forte. Ma nell’imbastire il programma del cd per la Arcana non volevo d’altronde perdere la preziosa occasione di portare alla ribalta capolavori meno noti del repertorio mandolinistico. Così, oltre alla Grande Sonata op. 37 (1810) di Hummel, un pezzo estremamente virtuosistico dedicato al dilettante Francesco Mora de Malfatti, presentiamo anche la splendida Sonata in re maggiore op. 9 (1804) del poliedrico virtuoso bresciano Bartolomeo Bortolazzi».

Figura interessantissima quella di Bortolazzi: mandolinista, cantante, compositore, didatta che dal “vecchio continente” si trasferì improvvisamente in Brasile, oscillando tra musica e politica, fra teatro e massoneria.

«Sì, la figura di Bortolazzi è sorprendente. Nato sulla sponda occidentale del lago di Garda da una famiglia di fabbricatori di carta, decise di non proseguire le orme del padre ma di fare l’artista, girovagando per l’Europa e trovando successo a Vienna, Lipsia, Dresda e Londra. Incontrò anche il favore di Hummel, che gli dedicherà un Concerto per mandolino. Ma a un tratto Bortolazzi decide di interrompere la sua brillante carriera. Perlopiù ignorati dalla musicologia, i successivi anni della sua vita furono estremamente avventurosi, testimonianza di un immigrante italiano dalle abilità sociali straordinarie».

Negli anni ha lavorato con grandi direttori, fra cui il compianto Claudio Scimone e Myung-Whun Chung.

«La mia prima registrazione ufficiale risale al 2007 con i Solisti Veneti: un best off dei brani che all’epoca stavano portando in concerto. Lascio solo immaginare cosa volesse dire per un ragazzo trovarsi di fronte a Claudio Scimone… Così è stato poi anche con il maestro Chung, per un Romeo e Giulietta in Corea: fu la mia prima tournée internazionale».

Ma non solo classica… Nella custodia del suo strumento c’è spazio anche per spartiti della tradizione napoletana e di altri generi musicali.

«Beethoven e “Maruzzella”, potremmo dire!…» ironizza. «Io sono napoletano e, naturalmente, il repertorio mandolinistico tradizionale partenopeo è a me molto caro, rappresentando la fotografia di un periodo storico indubbiamente importante, un “sottobosco” che non viene considerato mai abbastanza. Insieme all’amico e collega Nunzio Reina (il mandolinista storico dell’Orchestra Italiana, oggi docente al Conservatorio “Piccinni” di Bari) e al MOTUS Mandolin Quartet nel 2017 avevo inciso un cd monografico sul repertorio cameristico di Raffaele Calace (1863-1934). Poco più tardi fu proprio Nunzio, che decise di intraprendere una diversa strada, a fare il mio nome a Renzo Arbore per sostituirlo. Così, dal 2018 mi onoro di collaborare con un grande artista che rappresenta la storia della canzone italiana. Lavorare con Arbore è per me una esperienza unica! Consiglio a tutti di trovarsi in una realtà del genere. Per un musicista classico come me, d’altronde, suonare di fronte a trentamila persone è qualcosa di assolutamente sbalorditivo e davvero emozionante. È sorprendente, poi, come da Udine a Palermo la reazione del pubblico sia la stessa. Renzo Arbore sa unire davvero tutti: con lui non esistono differenze di latitudine».

 

Attilio Cantore

 

In copertina: Raffaele La Ragione all’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli | © Barbara Trincone

 

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