#Conversations Paolo Bordogna: il futuro della lirica fra le incertezze di un tempo feroce

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Dove l’emergenza sanitaria sembra recedere, avanzano coraggiosamente i primi segnali di ripartenza del mondo musicale. Ma quale concreta tutela esiste per i lavoratori dello spettacolo? Quali difficoltà minano il futuro di questa categoria? Come reagire e cosa rettificare? Dopo molto discutere – nelle aule di Montecitorio e in quelle virtuali delle video conference – non è tutt’oggi chiaro come sarà possibile salvare i teatri italiani, costretti ineluttabilmente a «soffrire le lacrime di un tempo feroce» (prendendo a prestito un verso di Fernando Bandini). Per riflettere su questi temi scottanti, ascoltiamo l’opinione di Paolo Bordogna, baritono milanese acclamato in tutto il mondo per le sue straordinarie interpretazioni del repertorio belcantistico – il 18 agosto sarà a Pesaro in Piazza del Popolo insieme ad Alfonso Antoniozzi e Alessandro Corbelli per L’ABC del Buffo, attesissimo appuntamento del ROF 2020.

I lavoratori dello spettacolo italiani: una categoria scarsamente tutelata?

«Durante l’emergenza sanitaria i lavoratori dello spettacolo intermittenti non sono stati “messi in sicurezza”. Non mi riferisco solo a cantanti e musicisti. Nella categoria rientrano anche direttori d’orchestra, registi, maestri collaboratori, scenografi, light designer, costumisti, sarti, parrucchieri, ispettori, macchinisti. Tutti loro si sono visti cancellare importanti produzioni, da un momento all’altro, senza ricevere alcun indennizzo: il che è equivalso a prendere coscienza del fatto che, in fin dei conti, ai loro contratti precedentemente stipulati non è stato dato alcun valore. Questo ritengo vada contro ogni etica. E risulta sconcertante se si considera che nel resto d’Europa i teatri non hanno messo le mani avanti scomodando la clausola della “forza di causa maggiore” – pur nella obiettiva eccezionalità del momento. D’altro canto, fra le tante misure poste in essere dal nostro Governo, è bene ricordare che noi artisti non rientriamo nel Decreto #CuraItalia. Perché siamo pochi? Ammettiamo pure di essere in pochi, d’accordo… però siamo una nicchia importante: siamo una eccellenza del nostro Paese».

Come ha affrontato questo periodo critico?

«In un certo senso, io sono un privilegiato in quanto, dopo tanti anni di sacrifici e studio, sono arrivato ad avere una carriera stabile: ciò mi garantisce certamente maggiori sicurezze, soprattutto in questo periodo, ma non per questo sono sereno. Non lo sono perché vedo un’Italia ferita, anche culturalmente. Non lo sono, poi, perché quello che sta venendo messo più a rischio è il futuro di tutti i giovani artisti italiani: penso, in particolare, al futuro dei miei giovani colleghi cantanti che da pochi anni hanno intrapreso questa articolata e – adesso più che mai – difficile carriera. Il bonus di 600 euro erogato dallo Stato non ha più subito un incremento, come invece si vociferava. Cosa ancora più grave: per i parametri richiesti, la stragrande maggioranza degli artisti lirici non vi ha potuto accedere. Mi chiedo, dunque, con quali forze economiche e soprattutto con quale morale può oggi un ragazzo affrontare le sfide quotidiane e pianificare il proprio avvenire. Ci troviamo davvero di fronte a una sfida senza precedenti».

Ma i cantanti sono scesi in campo.

«Sì, negli ultimi mesi i cantanti sono usciti dal loro mondo di talco e parrucche, scendendo finalmente in campo, e in maniera significativa. Lo hanno fatto per difendere il loro avvenire e la loro carriera, chiedendo a chi ne ha la facoltà di rivedere e rettificare molte cose».

In tal senso, le iniziative di Assolirica (Associazione Nazionale Artisti della Lirica) hanno avuto e hanno un peso rilevante. Pochi giorni fa è stato nominato il nuovo Presidente, Gianluca Floris.

«Senza dubbio! Assolirica, di cui anche io faccio parte, lotta da cinque anni per i diritti degli artisti. In continuità con quello che è stato fatto nell’ultimo periodo della precedente gestione, il nuovo Direttivo sta lavorando per aprire l’associazione a tutte le professioni afferenti all’opera lirica. L’unione fa la forza».

Quali sono le principali richieste degli artisti italiani?

«Sostanzialmente, rivedere l’intero sistema e ripensarne le regole. Questo grave momento di crisi dovrebbe spronarci a rinnovare le cose. Dal 1989 esiste una Carta Europea dei Diritti dei Lavoratori: bene, il comparto dei lavoratori autonomi dello spettacolo dal vivo dovrebbe ispirarsi a quella. Basta con le clausole vessatorie! È necessario rimettere mano ai contratti, prevedendo diritti di riproduzione audio-video e soprattutto nuove normative sui debiti pregressi e sui pagamenti. Sì, perché – forse la maggior parte delle persone non lo sospetta neppure – un cantante lirico solitamente non viene certo pagato in anticipo, né durante le prove o le recite, ma solo dopo alcuni mesi dal termine di un allestimento. Con l’aggravante che nel frattempo tutti i costi di viaggio, vitto e alloggio (sempre in splendide città d’arte italiane, che notoriamente sono carissime), unitamente alle spese per le lezioni con i pianisti accompagnatori, sono a suo carico. Questo significa che ogni cantante, in partenza, deve sobbarcarsi di spese esorbitanti (sempre se è in grado di sostenerle!) con la speranza di recuperare le cifre in un futuro ipotetico, non ben definito. Le cose una volta non andavano esattamente così: io sono di quelli che si ricordano quando il cachet veniva pagato fra un atto e l’altro di una recita… ma erano altri tempi».

Dal 15 giugno siamo entrati in una fase di generale ripartenza. Qual è in questo momento la migliore strada da percorrere?

«Come molte istituzioni ci stanno insegnando, quella dei concerti di musica da camera – o per ensemble ristretti – è un primo passo e una modalità vincente. Rispettare le norme vigenti diventa, in tal modo, molto più facile. Dal mio punto di vista, però, la riapertura del 15 giugno è stata un’apertura falsa o per lo meno un’apertura fittizia. Cosa significa, ad esempio, permettere all’Arena di Verona di pianificare un festival ma con l’obbligo tassativo di prevedere sulle gradinate un numero decisamente inferiore di spettatori (da circa quattordicimila a solo 1.000, sperando che nel prossimo futuro venga consentita una maggiore apertura, grazie alla discrezionalità concessa alle Regioni dall’ultimo Dpcm)? Per una azienda – sì, ogni teatro e fondazione lirica è una azienda a tutti gli effetti – significa andare in perdita. Quante realtà italiane ce la faranno a resistere?».

 Progetti futuri?

«Dopo l’imminente impegno al Rossini Opera Festival di Pesaro in agosto, a settembre sarò in Francia per un Barbiere di Siviglia; poi a Bilbao per un Turco in Italia e più tardi, spero, a Bergamo. Nel frattempo, preparo un suggestivo programma cameristico, con brani di compositori – italiani e non – meno frequentati. Dovrebbe essere questo l’obiettivo di ogni buon artista: allargare costantemente i propri orizzonti».

 

Attilio Cantore

 

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