Il tema della leadership al femminile è abbastanza dibattuto anche nel mondo della musica, e in Italia forse più che altrove. Fra gli ambiti più discussi, la direzione d’orchestra occupa un ruolo predominante giacché sempre più donne scelgono di esprimere il proprio talento studiando e praticando questa affascinante disciplina musicale. Solo il talento non basta, è ovvio. Occorre preparazione, competenza e una solida capacità empatica. Gianna Fratta, personalità di spicco nel panorama musicale italiano e internazionale, risponde pienamente a queste peculiarità artistiche. Pianista, direttrice d’orchestra, 47 anni, è docente di Elementi di Composizione al Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia e visiting professor alla Sungshin University di Seul dove insegna opera workshop e pianoforte. Ha un repertorio vastissimo che include musica sinfonica e operistica. È stata la prima donna a salire sul podio di istituzioni prestigiose fra cui i Berliner Symphoniker e ha diretto orchestre fra le più rinomate al mondo. Abbiamo avuto l’occasione di raggiungerla telefonicamente e di parlare del suo percorso artistico in una piacevole conversazione.
Lei è fra le primissime musiciste italiane a scegliere la direzione d’orchestra. Come è nata e qual è stata l’occasione che l’portata a fare questa scelta?
«Più che da un’occasione o da una scelta ponderata, in realtà tutto è iniziato da un’emozione. A otto anni entrai in Conservatorio di Milano, sede staccata di Como, per studiare pianoforte che già studiavo da quando avevo cinque anni. Il direttore Marcello Abbado, in presenza di meriti speciali, consentiva l’iscrizione prima della quinta elementare, cosa un po’ eccezionale a quei tempi. Alla fine dell’anno il mio maestro mi invitò ad un concerto in cui lui suonava con l’orchestra. Andai con i miei genitori e finito il concerto non dissi loro quanto mi fosse piaciuto ascoltare il pianoforte né mi espressi sulla bravura del mio maestro, ma quanto fossi rimasta colpita dall’orchestra e che il posto più bello per ascoltare quei suoni era sicuramente quello del direttore. Non avevo la percezione che dirigere fosse un mestiere maschile o femminile e da subito pensai che avrei voluto stare in mezzo ai suoni dell’orchestra. Fortunatamente ho avuto il vantaggio di aver scoperto questo interesse da bambina e di aver avuto due genitori che, non occupandosi di musica e scevri da qualunque pregiudizio, mi hanno lasciata libera di percorrere questa strada. Ho studiato tanto diplomandomi in pianoforte, composizione, musica corale e direzione di coro e, infine, in direzione d’orchestra, perseguendo il sogno nato da bambina, all’età di nove anni».
Quali sono stati i suoi primissimi passi nella direzione d’orchestra?
«Il mio percorso è stato abbastanza lento e sono contenta di questo perché mi ha consentito di arrivare di fronte ad orchestre importanti con maggiore consapevolezza e preparazione. Mi sono diplomata in direzione d’orchestra a venticinque anni, quindi già abbastanza adulta. Non ho fatto una carriera – già la parola non mi piace -, ma un percorso vero e proprio. Nei primi tempi ho lavorato tanto con orchestre giovanili. Non era semplice proporsi e quando ho iniziato, oltre vent’anni fa, rispetto ad oggi c’era più resistenza nei confronti della direzione al femminile. Tuttavia, ho cercato strategie alternative e i primi passi li ho mossi invitando direttori artistici in occasioni musicali in cui proponevo programmi particolari. Nella mia città, dove insegno in Conservatorio dall’età di diciannove anni, mi capitò di dirigere Il Re di Umberto Giordano. In quell’occasione invitai il direttore artistico del Teatro dell’Opera di Roma, Mauro Trombetta, il quale venne a Foggia per ascoltare l’ultima e poco conosciuta opera del compositore pugliese nel teatro a lui intitolato. Due mesi dopo quella rappresentazione fui invitata a dirigere al Teatro dell’Opera. Molto lentamente, queste strade mi hanno portato a dirigere orchestre di primissimo livello in Italia e nel mondo».
Oggi la leadership femminile in molti ambiti professionali come nella musica, è visto ancora come un problema e non come un’opportunità. Tante giovani musiciste vorrebbero dedicarsi alla direzione d’orchestra ma incontrano molta resistenza. I tempi sono abbastanza maturi, secondo lei, per dare in questo ambito professionale più spazio alle donne?
«Sull’argomento a fine estate scorsa è stato pubblicato il libro interessante di Ilaria Giani: Direttrici senza orchestra (edito dalla Libreria Musicale Italiana). Il problema c’è; è numerico e incontestabile, come si evince dai dati oggettivi e molto attendibili riportati nel libro che attestano la quasi assenza delle donne nei ruoli importanti della direzione d’orchestra. Le donne che scelgono di studiare direzione d’orchestra oggettivamente sono numericamente meno rispetto agli uomini, ma non così di meno rispetto all’assenza quasi totale nei ruoli istituzionali. Non c’è una direttrice d’orchestra in nessuna delle fondazioni liriche italiane e la presenza di direttrici artistiche è estremamente bassa. Il cambiamento culturale e sociale a tal riguardo è ancora lungo. Pensiamo alle difficoltà che incontravano donne concertiste o compositrici cento anni fa. I cambiamenti sono lunghi e sono certa che fra duecento anni, non si discuterà più di questo perché sarà diventato del tutto normale e naturale vedere sul podio una donna».
Speriamo, però, che ciò avvenga molto prima di duecento anni.
«Io non ci credo molto perché i cambiamenti avvengono in modo molto lento. Sono più di trent’anni che monitoro la situazione della direzione d’orchestra al femminile e il miglioramento finora non è stato così evidente. Quando io ho iniziato a dirigere eravamo pochissime; ora siamo un po’ di più, ma sia in Italia che nel mondo parliamo del due, tre per cento rispetto ai direttori uomini. Ci sono realtà in cui dirigono solo uomini e parlo di ruoli istituzionali. In Italia se guardiamo alle ICO, agli enti lirici, ai teatri di tradizione, a tutte le istituzioni concertistiche o operistiche, la presenza di direttrici d’orchestra non è tale da far sperare che fra cinquant’anni sarà il cinquanta per cento. Tuttavia, sono convinta che il cambiamento ci sarà e saranno le donne e gli uomini insieme a farlo perché questo percorso non riguarda solo le donne. Deve farlo la società».
Il 2021 è iniziato con un carico notevole di aspettative. Da oltre un anno il mondo dello spettacolo sta vivendo enormi difficoltà e a pagare il prezzo più alto sono i giovani. Cosa pensa in merito?
«Innanzitutto sono favorevole alla riapertura dei teatri, con il dovuto distanziamento e il rispetto delle norme anti covid previste. Si sente parlare di strutturare lo streaming, ma questo vuol dire uccidere lo spettacolo dal vivo, tutto il settore musicale in generale ora fermo, gli artisti di tutti i generi e gli stili musicali, ma soprattutto i giovani, che non hanno spazio e opportunità. Come operatrice culturale e come artista mi sento offesa, non in senso personale perché per mia fortuna faccio concerti, all’estero in posti dove si possono fare, insegno, ma come cittadina di una Italia che sta distruggendo una filiera che andava valorizzata, sostenuta e aiutata».
In copertina: Gianna Fratta (ph. credits: Mimmo Attademo)
Gabriella Fumarola